Umberto Improta

Umberto Improta

Umberto Improta (Napoli, 13 agosto 1932Roma, 28 gennaio 2002) è stato un funzionario e prefetto italiano. Fu responsabile dell'ufficio politico della questura di Roma nei primi anni '70, poi passò all'UCIGOS, quindi fu questore a Milano. Ebbe l'incarico di prefetto di Napoli, sua città natale e infine, già in pensione, fu nominato commissario straordinario durante la gestione dell'emergenza dei rifiuti in Campania.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Fu protagonista di molte inchieste di punta: fu Improta, ad esempio, a condurre le indagini che portarono alla scoperta del covo in cui le Brigate Rosse tenevano nascosto il generale statunitense James Lee Dozier, rapito a Verona il 17 dicembre 1981 e liberato il 28 gennaio 1982, al culmine delle indagini, con un'incursione di elementi del Nucleo operativo centrale di sicurezza.

Accuse alla sua squadra[modifica | modifica wikitesto]

Era a capo della squadra detta "Ave Maria" che si occupava di interrogare, talvolta anche con metodi brutali, i detenuti per terrorismo politico: in essa vi erano anche, come funzionari e dirigenti delle squadre di poliziotti, Salvatore Genova, Oscar Fioriolli, Luciano De Gregori, e Nicola Ciocia (futuro questore[1] e membro dell'UCIGOS, presente al ritrovamento del corpo di Aldo Moro, e soprannominato da Improta "professor De Tormentis").[2] I giornalisti che raccolsero testimonianze di torture (come Pier Vittorio Buffa), furono brevemente arrestati con accuse di calunnia.[3]

Genova, pentito di quegli atti (nel frattempo caduti in prescrizione), ha rilasciato numerose dichiarazioni confermando le accuse degli stessi brigatisti e riferendo di uso massiccio di waterboarding e tortura dell'acqua (cosiddetto metodo dell'"acqua e sale") contro brigatisti in prigioni clandestine (come villette di proprietà di agenti), ma anche di violenze sessuali contro brigatiste e compagne di presunti terroristi, pestaggi e abusi psicologici contro militanti e sospetti fiancheggiatori arrestati, oltre alle normali tecniche di interrogatorio.[2][4] Queste pratiche sarebbero state autorizzate (specie per il sequestro Dozier, dove sarebbe stata la tortura inflitta a Elisabetta Arcangeli a portare il suo compagno, il brigatista Ruggero Volinia, a rivelare l'ubicazione del covo) direttamente dal ministro Virginio Rognoni, ma sarebbero proseguite anche dopo la liberazione del generale, a scopo punitivo e repressivo.[2][5][6] Questi atti furono denunciati anche nelle testimonianze di diversi brigatisti e sospetti fiancheggiatori, tra cui Enrico Triaca (detto il "tipografo" delle BR), i citati Volinia e Arcangeli, Paola Maturi, Emanuela Frascella[7], Nazareno Mantovani.[8]

La deputata radicale Rita Bernardini presentò un'interrogazione parlamentare nel 2012, per fare chiarezza sui metodi usati dalle squadre speciali di polizia negli anni di piombo e sull'assenza del reato di tortura nell'ordinamento italiano,[8] (reato recepito poi nel 2017)[9].

Incarichi successivi[modifica | modifica wikitesto]

Già in pensione, Improta fu nominato commissario straordinario per la crisi dei rifiuti in Campania: rimase in carica dall'11 febbraio 1994[10] al mese di marzo 1996. Morì nel 2002 e al suo funerale presenziò anche il generale Dozier.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Piero Corsini, Lo sbirro. Umberto Improta, vita e indagini, Laurus Robuffo, 2004 ISBN 88-8087-423-3
  • Nicola Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata, Sperling e Kupfer, 2011

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