Revisionismo

Il revisionismo è una linea di pensiero o di condotta di chi sostiene la necessità di correggere opinioni e tesi correnti o dominanti in campo ideologico, politico o storico ritenute scorrette sulla base di una revisione documentale.

Esempi di revisionismi[modifica | modifica wikitesto]

Diversi sono gli esempi di revisionismo:

Revisionismo della prassi marxista[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Revisionismo del marxismo.

La parola Revisionismo è utilizzata per indicare una revisione radicale delle idee di Karl Marx e di Friedrich Engels in materia di lotta di classe e di dittatura del proletariato.

In questo senso revisionisti sono i movimenti europei socialisti che, in opposizione al movimento comunista, hanno auspicato sin dal XIX secolo la trasformazione in senso socialista dello Stato borghese nel rispetto delle libertà politiche e nell'accettazione del metodo democratico. Per questa ragione storicamente in campo politico revisionismo è sinonimo di socialismo riformista. Ma esistette pure un revisionismo di sinistra identificabile nel sindacalismo rivoluzionario.

In seguito alla trasformazione marxista-leninista dei movimenti comunisti, revisionismo è diventata anche l'accusa che i partiti comunisti, che fino a tutti gli anni settanta del 1900 si ispiravano alle direttive di Mosca, rivolgevano non solo alla Socialdemocrazia europea ma anche a tutti quei partiti comunisti che non riconoscevano il primato e le direttive del PCUS.

Accuse di revisionismo furono, ad esempio, portate dai sostenitori della politica staliniana al maresciallo Tito per la sua re-interpretazione del comunismo nel suo paese (l'allora Jugoslavia) e poi a Nikita Khruščёv per il ripudio del principio marxista-leninista della inevitabilità della guerra e per l'accettazione della coesistenza pacifica.

Il governo della Repubblica Popolare Cinese nel 1976, con la scomparsa del leader Mao Tse-tung, indicò come revisionisti i partiti comunisti italiano e sovietico, respingendo i rispettivi telegrammi di cordoglio.

Revisionismo storiografico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Revisionismo storiografico.

«Vi sono Paesi in cui "revisionismo" ha conservato un significato negativo e porta cucito sul petto, anche quando passa da un contesto all'altro, un marchio d'infamia. Sono quelli il cui linguaggio politico è stato marcato da una lunga presenza comunista. In Italia ad esempio, l'aggettivo "revisionista" quando fu applicato alle opere di Renzo De Felice sul fascismo conteneva una nota di biasimo, era pronunciato a bocca storta e suggeriva implicitamente ai lettori la stessa cautela che i preti raccomandano ai loro allievi nel momento in cui debbono autorizzare la lettura di un libro interdetto.
Non credo di essere più revisionista di quanto debba essere abitualmente un qualsiasi studioso di storia. Ma se rifiutassi di fregiarmi della parola concederei un punto al gergo comunista e darei un contributo al cattivo uso che della parola si è fatto in Italia per molti anni. Ecco quindi le "confessioni di un revisionista".»

La storia - in quanto scienza umana - quando vede applicato il metodo scientifico alla propria materia è intimamente revisionista.

«ogni storico è un revisionista ma la sua preoccupazione ed il codice deontologico connesso alla sua professionalità gli impongono di operare applicando una appropriata metodologia, di applicare un corretto trattamento delle fonti e di operare analiticamente senza preconcetti.»

L'uso politico che continuamente viene fatto delle vicende storiche, tuttavia, impone spesso obtorto collo coloriture di fazione alle tesi revisioniste, che per questo spesso non vengono dibattute per il loro intrinseco valore scientifico, ma solo per le ricadute politiche che esse possono avere, in particolare quando queste coincidano con una critica delle basi storico-mitiche di un potere politico costituito. Un esempio di revisionismo storico in tal senso può essere considerato lo smascheramento della cosiddetta "Donazione di Costantino" ad opera del filologo Lorenzo Valla.[senza fonte]

A causa del fatto che analogamente al revisionismo anche alcune correnti di pensiero che negano in tutto o in parte l'olocausto ebraico durante la seconda guerra mondiale "revisionano" in qualche maniera una visione del passato, queste vengono definite "revisionismo dell'olocausto". Tale corrente viene però definita "negazionismo dell'olocausto" dai detrattori, ma in realtà bisogna considerare che qualunque revisionismo nega in qualche modo qualcosa introducendo nuove informazioni e spesso sostituendole a quelle considerate sbagliate, riduttive o di parte.

Secondo diversi critici il negazionismo avrebbe forti affinità con la cosiddetta "teoria (o sindrome) del complotto".[senza fonte]

Negazionismo dell'olocausto[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Negazionismo dell'Olocausto.

«C’è un legame di continuità tra la politica nazista di occultamento delle prove del genocidio e le attività di alcuni presunti storici che da qualche tempo tentano di convincere il mondo che la Shoah sia la “grande impostura del ventesimo secolo”. Secondo questi autori, Auschwitz e le camere a gas naziste non sarebbero altro che un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere riparazioni di guerra alla Germania sconfitta, allo scopo di finanziare lo stato di Israele. Solitamente ci si riferisce ad essi con l’etichetta di revisionisti (appellativo con cui essi stessi amano autodefinirsi), ma la storiografia ufficiale preferisce chiamarli negazionisti. Il motivo è semplice: mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa. Se il progresso scientifico consiste nell’avvicendarsi di paradigmi, allora ogni sostenitore di un nuovo paradigma è revisionista: Copernico era revisionista rispetto al sistema tolemaico, i sostenitori dell’innocenza di Dreyfus erano revisionisti rispetto a coloro che emisero il verdetto di colpevolezza nel 1894, e così via..»

Il revisionismo sull'Olocausto è un ambito che tende ad assumere caratteristiche scientifiche o antiscientifiche che spesso si confondono e si sovrappongono fra di loro. In genere il revisionismo scientifico tende ad analizzare le fonti e le modalità della persecuzione antiebraica tedesca, senza argomenti preconcetti. Il revisionismo antiscientifico (o parascientifico) invece parte dal presupposto che lo sterminio di milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale non sia mai avvenuto (o sia avvenuto in proporzioni enormemente minori a quanto conclamato) e pertanto viene definito più propriamente negazionismo.

Principale argomento del negazionismo sull'olocausto:

  • Sull'olocausto, il negazionismo sostiene, con varie argomentazioni, che esso non sarebbe mai avvenuto, pur accettando che una persecuzione vi sia stata, ma sostanzialmente quasi "indolore" fin quando la Germania, devastata dalla guerra, non ha potuto più assicurare cibo e assistenza sanitaria agli internati nei ghetti e nei lager, che avrebbero quindi iniziato a morire in gran copia, ma sempre in un numero molto inferiore ai 4 o 6 milioni comunemente accettati dalla storiografia ufficiale.

Il "padre del negazionismo" è considerato Paul Rassinier. Il punto focale del movimento negazionista è costituito dall'Institute for Historical Review, dal periodico di tale istituto e dal congresso annuale tenuto e popolato da studiosi tra i quali il direttore dell'istituto Mark Weber, David Irving, Robert Faurisson, Ernst Zündel, Germar Rudolf e David Cole.

Le posizioni scientifiche revisioniste sull'Olocausto invece dividono gli studiosi in due gruppi, chiamati essenzialmente "intenzionalisti" e "funzionalisti"

Lo stesso argomento in dettaglio: Funzionalismo e intenzionalismo.

Altri esempi di "negazionismi"e loro rapporto col revisionismo storiografico[modifica | modifica wikitesto]

Altri esempi di negazionismi si hanno nei casi di persecuzioni e stermini contro popolazioni minoritarie o sconfitte e ci sono aspri dibattiti sulle cifre e le modalità di persecuzione, come ad esempio nei seguenti casi:

  • Armeni durante la grande guerra (da parte dei turchi ottomani e dei curdi)
  • Montagnard in Vietnam dopo la riunificazione del Paese (da parte dei vietcong)
  • Italiani d'Istria e Dalmazia nel 1943-1947 (da parte degli iugoslavi e dagli ambienti della sinistra italiana)
  • Tibetani dopo l'occupazione cinese nel 1953 (da parte dei cinesi popolari)
  • Tedeschi dei territori passati alla Polonia e dei Sudeti nel 1945 (da parte di polacchi e boemi)
  • Desaparecidos argentini durante la dittatura militare del 1976-1983 (da parte dei sostenitori della dittatura militare)

In Turchia, in particolar modo, la legge proibisce di parlare di "genocidio armeno" e punisce come diffusione di notizie false e tendenziose il dibattito e la denuncia circa l'uccisione di un numero di armeni oscillante fra i 700.000 e il milione e mezzo fra 1915 e 1917.

In Italia il dibattito attorno alle cosiddette "foibe" (cavità carsiche nelle quali venivano precipitati i prigionieri dei partigiani iugoslavi, vivi o morti) vede tuttora la negazione da parte di alcune parti politiche e degli ambienti allogeni sloveni, ossia l'eliminazione sistematica di 3-4000 italiani in Istria e Dalmazia, con lo scopo di decapitare la comunità giuliano-dalmata e fiaccare la sua volontà di resistenza all'invasione iugoslava, oppure costringerla (come è avvenuto) all'emigrazione in massa. Secondo gli ambienti negazionisti, nelle "foibe" sarebbero stati celati i cadaveri di alcune centinaia di "criminali fascisti" e "collaborazionisti" italiani e slavi.

In Germania, il recente annuncio da parte del governo di Berlino di voler dedicare un museo ai cittadini tedeschi espulsi da Slesia, Pomerania e Prussia e dai Sudeti, ha provocato vivaci proteste da parte del governo polacco.

È importante notare che tali negazionismi si configurano come "storia ufficiale". Il revisionismo storiografico, di conseguenza, risulta essere la loro antitesi, una costante insidia alla sopravvivenza di questi costrutti.

Politica revisionistica[modifica | modifica wikitesto]

La politica revisionistica caratterizzò numerosi stati europei alla conclusione della Prima Guerra Mondiale. Sia i vincitori che gli sconfitti, per varie ragioni, continuarono a rivendicare territori e popoli che a seguito dei trattati di pace, secondo l'avviso dei propri governi non erano stati assegnati equamente. Questo stato di cose creeranno ad attriti sempre più gravi ed estesi che porteranno alla Seconda Guerra Mondiale. I vari territori maggiormente contesi furono:

  • Transcarpazia: km². 12.800; con lo smembramento del regno d'Ungheria la Rutenia carpatica passò alla nuova repubblica cecoslovacca (1918), finché con l'accordo di Monaco (1938), il governo ceco fu costretto su pressione tedesca a riconoscere un governo autonomo ruteno a Uzgorod, costituito da Ucraini filotedeschi. Nel novembre 1938 la parte sud ovest del territorio ruteno ritorna all'Ungheria, quando quattro mesi dopo, approfittando dell'occupazione tedesca di Praga, gli Ungheresi si annettono tutta la regione fino all'ottobre 1944.
  • Slesia: nel 1919 l'alta Slesia prussiana fu data alla Cecoslovacchia con la città di Hultschin (km². 4.423), mentre la restante parte orientale, a seguito di plebiscito, fu ripartita tra la Polonia con Katowice e il suo distretto di 5.230 km². e la Germania che la divise nelle due province di Alta (Oppeln) e Bassa Slesia (Breslavia).
  • Hlucin (Hultschin): città della Slesia ceduta dalla Germania alla Cecoslovacchia col suo distretto (km². 328) nel 1919 è contestata dalla confinante Polonia quando è nuovamente annessa dalla Germania con i Sudeti nel 1939.
  • Teschen: la città ceduta dall'Austria alla Polonia, nel 1919 divenne oggetto di grave controversia con la Cecoslovacchia per la vicina frontiera, finché venne divisa a metà dalla Conferenza degli ambasciatori (28 luglio 1920), quando approfittando dell'occupazione di Praga le truppe polacche occuparono anche l'altra metà, fino all'occupazione tedesca.
  • Jaworzno: il 10 agosto 1920 il distretto di Spisz fu assegnato in parte alla Polonia ed in parte con la città alla Cecoslovacchia. Il governo polacco tuttavia non riconosce tale suddivisione e ricorse alla Società delle Nazioni, finché si arrivò ad un accordo per concedere facilitazioni economiche e commerciali sulla frontiera (6 maggio 1924).
  • Posnania: la città e il distretto prussiano di Poznan (Posen) per km². 27.443, nel dicembre 1918 votò per l'annessione alla Polonia. In particolare con l'ascesa del nazismo, si appuntarono le mire revisioistiche tedesche a causa della forte minoranza tedesca che continuò a risiedervi, finché nel 1939 con l'invasione della Polonia fu annessa al III Reich che vi operò una forte germanizzazione della popolazione. Alla fine della Guerra, dopo il 1945 quasi 700mila tedeschi furono obbligati a lasciare la regione e a trasferirsi in Germania.
  • Danzica: la città portuale col suo distretto di km². 1952 fu data dichiarata "città libera" sotto la diretta amministrazione della Società delle Nazioni nel 1919, in territorio doganale polacco. Ma la presenza in città di una maggioranza tedesca e l'assenza di un accordo per definire il c.d. "corridoio polacco" tra Germania e Polonia, fu una della cause della Seconda Guerra Mondiale.
  • Transilvania: ceduta dall'Ungheria alla Romania nel 1918, ne fu sempre contestato il possesso, finché col secondo arbitrato di Vienna Ciano-Ribbentrop (30 agosto 1940) la porzione settentrionale ritorna all'Ungheria fino al 1944.
  • Cecoslovacchia: la nuova repubblica, nata dallo smembramento dell'Impero austro-ungarico, entra in conflitto con la Germania nazista che dal 1933, perseguendo una politica di Pangermanesimo, intendeva riunire tutti i territori marginali di popolazione tedesca (Rand Gebieten) in un "Grande Reich". I tedeschi dei Sudeti si organizzarono in un partito nazista locale e il lassismo politico delle potenze occidentali permisero ai tedeschi di annettere l'intera regione montuosa (ottobre 1938), operazione preliminare che porterà all'occupazione di Praga cinque mesi dopo e l'annessione della Boemia, mentre la Slovacchia, proclamatasi indipendente si accorda per porsi sotto il protettorato tedesco con il governo di mons. Giuseppe Tiso.
  • Finlandia: divenuta indipendente dal 1917, si oppose alla continue richieste sovietiche di cedere la Carelia e la base militare di Hankö. Attaccata nel 1939 dalle preponderanti forse militari di Stalin nella c.d. "Guerra d'inverno", dovette cedere gran parte della Carelia, Hankö e Vyborg con la pace di Mosca (1940). Per recuperate i territori perduti, si allea alla Germania e nel 1941 sferra una controffensiva che le permette di recuperare buona parte dei territori perduti fino all'armistizio del 1944.
  • Lituania: repubblica indipendente dalla Russia (1918) entra presto in conflitto con la Polonia che annette parte dei territori assegnati fino agli accordi del 1938. Nel 1939 è costretta a cedere alla Germania Memel, città portuale assegnata nel 1924, e sei mesi dopo è occupata e annessa alla Russia sovietica (1940).
  • Lettonia: nuova repubblica nata nel 1918, riesce a respingere i sovietici nel 1920. Nel 1936 dopo anni di governi deboli ed instabili ci fu il colpo di stato di Ulmanis che abolisce la costituzione che cerca di mantenerne invano la neutralità tra Berlino e Mosca, fino all'occupazione sovietica dell'agosto 1940.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Super User, Emergenza negazionismo! di Enrico Neami, su leganazionale.it. URL consultato il 17 gennaio 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Domenico Losurdo, Il revisionismo storico. Problemi e miti, Roma-Bari, Laterza, 1996.
  • Angelo del Boca (a cura di), La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, Vicenza, Neri Pozza, 2010.
  • Luciano Canfora, L'uso politico dei paradigmi storici, Roma-Bari, Laterza, 2010.
  • Claudio Vercelli, Il negazionismo. Storia di una menzogna, Roma-Bari, Laterza, 2013.
  • Marco Testa, Il revisionismo storico. Le opinioni di studiosi e intellettuali, Cesena, Historica edizioni, 2013.

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