Dobrugia

Dobrugia
(RO) Dobrogea
(BG) Добруджа (Dòbrudža)
Dobrugia – Stemma
Alba sui campi coltivati in Dobrugia
StatiBandiera della Romania Romania (Dobrugia settentrionale)
Bandiera della Bulgaria Bulgaria (Dobrugia meridionale)
TerritorioEuropa orientale
Superficie23 260[1][2] km²
Lingueromeno, bulgaro
Fusi orariUTC+2
La Dobrugia (in verde scuro) all'interno della Romania e Bulgaria (in verde chiaro)

La Dobrugia (in romeno Dobrogea; in bulgaro Добруджа?, Dòbrudža; in turco Dobruca) è una regione storica dei Balcani che, dal XIX secolo, è ripartita tra la Bulgaria e la Romania. Situata tra il fiume Danubio inferiore e il mar Nero, comprende il delta del Danubio, la costa rumena e la parte più settentrionale di quella bulgara. Il territorio della Dobrugia si compone della Dobrugia settentrionale, facente parte della Romania, e della Dobrugia meridionale, inclusa nella Bulgaria.

La regione rumena di Dobrogea rientra a livello amministrativo nei distretti di Costanza e Tulcea, occupando 15.485 km² contando una popolazione di poco inferiore a 900.000 abitanti.[3] Le città principali sono Costanza, Tulcea, Medgidia e Mangalia. L'emblema locale è rappresentato con due delfini nello stemma della Romania.

La regione bulgara della Dobrudža appare divisa tra le regioni amministrative di Dobrič e Silistra; fanno eccezione quattro insediamenti (Ponevo, Rainino, Terter e Madrevo), localizzati nel distretto di Razgrad e un centro del distretto di Varna (General Kantardžievo). Questa sezione si distribuisce su un'area vasta 7.412 km², con una popolazione complessiva di circa 310.000 persone: gli agglomerati urbani principali sono Dobrič e Silistra (che sono anche capoluoghi regionali).[4]

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

Steppe e terreni agricoli presso l'altopiano centrale della Dobrugia

Ad eccezione del delta del Danubio, che è una zona paludosa situata a nord-est, la Dobrugia si presente come collinare, con un'altitudine media di circa 200-300 metri. Il punto più alto è il picco Țuțuiatu (Greci) sui monti Măcin, con un'altezza di 467 m. L'altopiano della Dobrugia copre la maggior parte della parte rumena, mentre un altro sito rilevante dal punto di vista geografico, la piana del fiume Ludogorie, si trova in Bulgaria. Tra gli specchi d'acqua, uno dei principali è il lago Razelm, in Romania: altri specchi costieri poco profondi di acqua salmastra si trovano a ridosso del mare.[1]

Clima[modifica | modifica wikitesto]

Coste rocciose di Kaliakra: sono caratteristiche della sezione meridionale della Dobrugia

La Dobrugia si trova nella zona climatica temperata continentale; il clima locale è determinato dall'afflusso di aria oceanica da nord-ovest e nord-est e aria continentale dal bassopiano sarmatico. Il terreno relativamente pianeggiante e la posizione geografica facilita l'afflusso di aria calda e umida in primavera, estate e autunno da nord-ovest, nonché quello di aria polare settentrionale e nord-orientale in inverno. Anche il mar Nero esercita un'influenza sul clima della regione, in particolare nel raggio di 40-60 chilometri dalla costa. Le temperature medie annuali variano da 11 °C nell'entroterra e lungo il Danubio, a 11,8 °C sulla costa e a meno di 10 nelle parti più alte dell'altopiano. La regione costiera della Dobrugia meridionale è la più arida della Bulgaria, con precipitazioni annuali che si attestano intorno ai 450 millimetri.

La Dobrugia è una regione ventosa e in passato conosciuta per i suoi mulini a vento: le raffiche spirano assai spesso provenendo da nord o nord-est. La velocità media del vento è circa due volte superiore alla media in Bulgaria. A causa delle scarse precipitazioni e della vicinanza al mare, i fiumi nella Dobrugia sono generalmente brevi e con bacini di ridotta dimensione.[1]

Ambiente naturale[modifica | modifica wikitesto]

La riserva naturale danubiana di Srebărna, Bulgaria

La Dobrugia ospita una ricca fauna. Il lato rumeno che comprende il delta del Danubio ospita ancora numerosi uccelli acquatici (comprese alcune specie di pellicani e, nello svernamento, circa il 90% della popolazione mondiale dell'oca collorosso (Branta ruficollis), animale fortemente minacciato, l'otarda maggiore (Otis tarda), e una fauna ittiologica in riduzione per via della privatizzazione dei diritti di pesca. L'urbanizzazione sfrenata, con tutto ciò che ciò implica, minaccia tutti gli ambienti naturali ancora presenti: per ridurre la portata dell'impatto antropico, è stata istituita la Riserva della Biosfera del Delta del Danubio che, con mezzi a disposizione ridotti, fa il possibile per limitare i danni. La situazione geopolitica ai confini orientali dell'Unione Europea impedisce ai due direttori della riserva, uno rumeno e l'altro ucraino, di collaborare quanto necessario, poiché il valico di frontiera autorizzato più vicino si trova a 250 chilometri a ovest, fuori dalla Dobrugia e dal delta del Danubio.[5][6][7]

Nella parte bulgara, le foreste di lecci e siepi frangivento sono state meglio conservate rispetto alla parte rumena, che spesso si è trasformata in steppa, a volte anche semi-desertica a causa del disboscamento. Tra gli arbusti di media taglia e la boscaglia vivono la poiana codabianca (Buteo rufinus), la poiana calzata (Buteo lagopus) e lo smeriglio (Falco columbarius), che contribuiscono a regolare il numero dei roditori presenti in loco per via della massiccia presenza di colture di cereali. Ma se in Romania tutte le zone Natura 2000 proposte dagli scienziati sono state validate dalle autorità, in Bulgaria invece solo la metà ha subito tale sorte dal Ministero dell'Ambiente, il quale, peraltro, ha dimezzato l'area proposta per la riserva naturale di capo Kaliakra.[6][7]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio della Dobrugia ospitò esseri umani sin dal Paleolitico medio e superiore, come dimostrano i resti di Babadag, Slava Rusă e Enisala.[8][9] Le comunità del Paleolitico costruivano utensili in silice, alcuni dei quali ritrovati anche in anfratti locali, e si nutrivano di frutta, pesce e altri animali cacciati: nello stesso periodo scoprirono il fuoco, inventarono l'arco con le frecce e cominciarono a servirsi di fragili imbarcazioni in legno per solcare i fiumi. Nel Neolitico, il territorio era occupato dai membri della cultura di Hamangia (dal nome di un villaggio sulla costa di Dobrugia), quella boiana e quella di Karanovo.[8] Alla fine del quinto millennio a.C., sotto l'influenza di alcune tribù e culture egeo-mediterranee, fece la sua comparsa nella regione la cultura Gumelniţa. Nell'età del rame, le popolazioni che migrarono dal nord del Mar Nero, legate al mondo kurgan, si mescolarono con i locali, creando la prima cultura di Cernavodă.[8][10] Sotto l'influenza della seconda ondata Kurgan, emerse anche la seconda cultura Cernavodă II: la combinazione della prima Cernavodă e di quella di Ezero permise la fioritura della terza cultura di Cernavodă. La regione ebbe contatti commerciali con il mondo mediterraneo sin dal XIV secolo a.C., specie con Micene, come testimoniato da una spada e da alcuni oggetti vari scoperto a Medgidia.[8][11]

Mikra Skythia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Scythia Minor.

Storia antica[modifica | modifica wikitesto]

Rovine della prima colonia greca nella regione, Istros

Durante la prima età del ferro (VIII-VI secolo a.C.), ci fu una maggiore differenziazione delle tribù locali dei Geti dai più numerosi Traci. Nella seconda parte dell'VIII secolo a.C., i primi segni di relazioni commerciali tra la popolazione indigena e i Greci apparvero sulle rive del golfo di Halmyris (oggi il lago Sinoe).[8]

Nel 657/656 a.C. i coloni di Mileto fondarono una colonia nella regione, Istros.[12] Nel VII e VI secolo a.C., altre colonie greche furono fondate sulla costa dobrugiana (Callatis, Tomis, Mesembria, Dionysopolis, Parthenopolis, Aphrodisias, Eumenia ecc.) e, nel V secolo a.C., finirono sotto l'influenza della Lega di Delo, passando in tale parentesi da oligarchia a democrazia.[13] Nel VI secolo a.C., i primi gruppi di Sciti iniziarono a fare capolino nella regione. Due tribù getiche, i Crobyzi e i Terizi, oltre alla città di Orgame (Argamum), venivano menzionate nel territorio dell'attuale Dobrugia da Ecateo di Mileto (540–470 a.C.).[14]

Nel 514 o 512 a.C. il re Dario I di Persia sottomise i Geti che vivevano nella regione nel corso della sua campagna a nord del Danubio.[15] Intorno al 430 a.C., il regno degli Odrisi sotto Sitalce estese il suo dominio alle foci del Danubio, mentre nel 429 i Geti dalla regione presero parte a una campagna odrisa nel Regno di Macedonia.[16] Nel IV secolo a.C., gli Sciti portarono la regione sotto il proprio dominio; nel 341–339 a.C., uno dei loro re, Atea, combatté contro Istros, sostenuta da un Histrianorum rex (probabilmente un sovrano getico locale), ma fu poi battuto da Filippo II di Macedonia, il quale in seguito estese il suo dominio sulla Dobrugia.[17]

Antiche città e colonie in Scythia Minor

Nel 313 a.C. e, di nuovo, nel 310-309, le colonie greche guidate da Callatis, sostenute da Antigono I Monoftalmo, si ribellarono al dominio macedone: le insurrezioni furono soppresse da Lisimaco, il diadoco di Tracia, che avviò anche una spedizione militare contro Dromichete, il sovrano dei Geti a nord del Danubio, nel 300.[18] Nel III secolo a.C., le colonie sulla costa di Dobrugia rendevano omaggio ai basilei Zalmodegikos e Moskon, che probabilmente governavano anche la Dobrugia settentrionale; nello stesso arco temporale, i Celti si stabilirono nel nord della regione e, alla fine del III secolo e all'inizio del II secolo a.C., giunsero anche i Bastarni nell'area del delta del Danubio.[18] Nel frattempo, la regione fu testimone di alcuni conflitti: nel 260 a.C., Bisanzio perse la guerra con Callatis e Histria per il controllo di Tomis, mentre intorno al 200, il re di Tracia Zoltes invase più volte la provincia, ma fu sconfitto da Rhemaxos, il quale divenne il protettore delle colonie greche.[19]

I primi studiosi greci come Erodoto sembrano aver considerato la regione come un'estensione sud-occidentale della Scizia, una pratica seguita anche in un'iscrizione del II secolo a.C., che registra un provvedimento emanato a Histria in cui ci si riferisce alla regione che circonda la città greca appunto come Scizia.[20] Tuttavia, il toponimo Μικρά Σκυθία (Mikra Skythia), solitamente tradotto come Scizia minore (Scythia minor), sembra essere diventato il nome per la regione specifica più tardi conosciuta come Dobrugia. Il primo impiego noto di quest'ultima espressione si rintraccia nella prima Geografia di Strabone (I secolo d.C.). I Greci apparentemente distinguevano la zona dalla "Scizia maggiore", posta a nord del delta del Danubio.[20]

Intorno al 100 a.C., il re Mitridate VI del Ponto estese la sua autorità sulle città greche della Dobrugia. Tuttavia, nel 72-71 a.C., durante la terza guerra mitridatica, queste città furono occupate dalle forze di Marco Terenzio Varrone Lucullo, il proconsole romano di Macedonia.[21] Gaio Antonio Ibrida intervenne, ma fu sconfitto dai Geti e dai Bastarni vicino a Histria: dopo il 55 a.C. i Daci sotto il re Burebista conquistarono la Dobrugia e tutte le colonie greche sulla costa: tale operazione bellica si può considerare come il compimento della politica pontica volta a espandersi lungo il litorale del mar Nero.[22] Il loro governo terminò nel 44 a.C.[22]

Epoca romana[modifica | modifica wikitesto]

Il monumento Tropaeum Traiani presso Adamclisi che commemora la vittoria romana sui Daci (ricostruzione moderna)

Nel 28-29 a.C. Rholes, un sovrano getico della Dobrugia meridionale, parteggiò per il proconsole di Macedonia, Marco Licinio Crasso, in funzione contraria ai Bastarni.[23] Dichiarato "amico e alleato del popolo romano" da Ottaviano, Rholes assistette Crasso nella conquista degli stati di Dapyx (nella Dobrugia centrale) e Zyraxes (nel nord della regione), rendendo in virtù della sua azione la Dobrugia una porzione del regno cliente degli Odrisi, mentre le città greche sulla costa passarono sotto il dominio diretto del governatore di Macedonia.[23] Nel 12 d.C. e nel 15 d.C., gli eserciti getici riuscirono per un breve periodo a conquistare le città di Aegyssus e Troesmis, ma il re Odrisio Remetalce I li sconfisse con l'aiuto dell'esercito romano.[24]

Nel 15 d.C. fu istituita la provincia romana della Mesia, mentre la Dobrugia, sotto il nome di Ripa Thraciae, rimase parte del regno odrisiano: le città greche sulla costa formavano una praefectura orae maritimae.[24] Nel 46 d.C., la Tracia divenne una provincia romana e i territori dell'attuale Dobrugia furono assorbiti nella provincia della Mesia. I Geto-Daci invasero più volte la regione nel I secolo d.C., soprattutto tra il 62 e il 70. Nello stesso periodo, la base della flotta romana del Danubio (classis Flavia Moesica) si trasferì a Noviodunum.[25] La praefectura fu annessa alla Mesia nell'86 e, nello stesso anno, Domiziano spartì la Moesia, essendo la Dobrugia inclusa nella parte orientale, Moesia Inferior.[26]

Nell'inverno del 101-102 il re dei Daci Decebalo guidò una coalizione di Daci, Carpi, Sarmati e Buri in direzione della Moesia Inferior: l'esercito invasore fu sconfitto dalle legioni romane sotto l'imperatore Traiano all'altezza del fiume Jantra: seguì la fondazione di Nicopolis ad Istrum al fine di commemorare la vittoria.[27] Uno degli scontri maggiori si verificò vicino all'odierno centro di Adamclisi, nella zona meridionale della Dobrugia; l'ultima vittoria è stata commemorata dal Tropaeum Traiani, eretto nel 109 sul sito, e dalla fondazione della città di Tropaeum. Dopo il 105, la Legio XI Claudia e la Legio V Macedonica furono assegnate alla Dobrugia, rispettivamente a Durostorum e Troesmis.[28]

Nel 118 Adriano intervenne nella regione per sedare una ribellione sarmata; nel 170 Costoboci invase la Dobrugia, attaccando Ibida, Ulmetum e Tropaeum.[29] La provincia fu generalmente stabile e prospera fino alla crisi del III secolo, che portò all'indebolimento delle difese e numerose invasioni barbariche. Nel 248 una coalizione di Goti, Carpiani, Taifali, Bastarni e Asdingi, guidata da Argaito e Gunterico, devastò la Dobrugia.[30] Durante il dominio di Decio la provincia patì in modo significativo l'attacco dei Goti scatenato dal re Cniva.[31] Attacchi barbari seguirono nel 258, 263 e 267, ma fu nel 269 che ebbe luogo una battaglia quando la flotta di Goti alleati, Eruli, Bastarni e Sarmati attaccò le città sulla costa, inclusa Tomis.[1] Nel 272 Aureliano sconfisse i Carpi a nord del Danubio e si stabilì in parte vicino a Carsium: lo stesso imperatore pose fine alla crisi della provincia avviando opere di ricostruzione.[32]

Durante il regno di Diocleziano, la Dobrugia passò amministrativamente come una provincia separata, chiamata Scizia e parte della diocesi della Tracia. Dalla capitale Tomis, Diocleziano trasferì la Legio II Herculia a Troesmis e la Legio I Iovia a Noviodunum. Nel 331-332 Costantino I sconfisse i Goti che colpirono la provincia, ma la Dobrugia fu nuovamente devastata dagli Ostrogoti nel 384-386.[33] Sotto gli imperatori romani Licinio, Giuliano l'Apostata e Valerio Valente, le città della regione andarono riparate o ricostruite.

Dominio bizantino[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la divisione dell'impero, la Dobrugia fu assorbita dall'impero romano d'oriente. Tra il 513 e il 520, la regione partecipò a una rivolta contro Anastasio I: il suo fomentatore principale, Vitaliano, originario di Zaldapa nella Dobrugia meridionale, sconfisse il generale bizantino Ipazio vicino a Kaliakra.[34] Durante il dominio di Giustino I, gli Anti e gli Slavi invasero la regione, ma Germano Giustino li sconfisse; nel 529, il comandante dei Gepidi Mundo respinse una nuova invasione dei Bulgari e degli Anti.[35] I Kutriguri e gli Avari invasero la regione diverse volte fino al 561-562, quando i secondi, sotto Baian, stabilendosi a sud del Danubio come foederati.[36] Durante il regno di Maurizio Tiberio, gli slavi devastarono la Dobrugia, radendo al suolo gli insediamenti di Dorostolon, Zaldapa e Tropaeum. Nel 591/593, il generale bizantino Prisco cercò di fermare le invasioni assaltando e sconfiggendo gli slavi sotto Ardagast nel nord della provincia.[37] Nel 602 durante l'ammutinamento dell'esercito bizantino nei Balcani sotto Foca, una grande massa di slavi attraversò il Danubio, stabilendosi a sud del corso d'acqua.[37] La Dobrugia rimase sotto il libero controllo dei romei e fu riorganizzata durante il regno di Costantino IV come Thema Scythia.[38]

Primo impero bulgaro[modifica | modifica wikitesto]

Monumento dedicato ad Asparuh, il fondatore del primo stato bulgaro, a Dobrič; la Dobrugia faceva parte della conquista di Asparuh nel VII secolo

I risultati delle ricerche archeologiche indicano che la presenza bizantina nelle zone interne della Dobrugia e sulle rive del Danubio si ridusse alla fine del VI secolo, sotto la pressione delle invasioni barbariche. Nelle fortificazioni costiere sulla sponda meridionale del Danubio, l'ultima moneta bizantina ritrovata risale al tempo degli imperatori Tiberio II Costantino (574–582) e Eraclio (610–641). Dopo quel periodo, tutti gli insediamenti dei romei interni andarono demoliti dagli invasori e si spopolarono.[39]

Alcuni degli insediamenti degli antichi slavi a sud del Danubio sono stati scoperti in Dobrugia nei dintorni di Popina, Garvăn e Nova Černa: questi sono stati datati tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo.[39] Queste terre divennero la principale area di insediamento dei bulgari alla fine del VII secolo.[40]

Secondo il trattato di pace del 681, firmato dopo la vittoria bulgara sui bizantini nella battaglia di Ongal, la Dobrugia divenne parte del Primo Impero bulgaro.[41] Poco dopo, i bulgari fondarono la città di Pliska, che divenne la loro prima capitale, vicino al confine meridionale della Dobrugia e, al contempo, ricostruirono Madara come importante centro religioso pagano.[42][43] Secondo la Cronaca apocrifa bulgara, dell'XI secolo, lo zar Ispor "accettò lo zarato bulgaro", creò "grandi insediamenti, tra cui Drastar sul Danubio", "delle alte mura dal fiume al mare", "la città di Pliska" e "popolò le terre di Karvuna".[44]

Secondo gli storici bulgari, durante il VII-X secolo, la regione fu fortificata mediante la costruzione di una vasta rete di fortezze e bastioni in terra e legno.[44] Intorno alla fine dell'VIII secolo iniziò la costruzione di numerose nuove fortezze in pietra e mura difensive.[45] I bulgari ricostruirono anche alcune delle rovine bizantine nelle fortezze (Kaliakra e Silistra nell'VIII secolo, Madara e Varna nel IX).[46] Secondo Barnea, tra gli altri storici, durante i successivi tre secoli di dominazione bulgara, i bizantini controllavano ancora la costa del Mar Nero e le foci del Danubio e, per brevi periodi, anche alcune città.[47] Tuttavia, gli archeologi bulgari notano che le ultime monete bizantine trovate, considerate una testimonianza della presenza romea, risalgono a Kaliakra dal tempo dell'imperatore Giustino II (565–578), a Varna dal tempo dell'imperatore Eraclio I (610–641) e a Tomis dal governo di Costantino IV (668–685).[48][49]

All'inizio dell'VIII secolo, Giustiniano II si recò in Dobrugia per chiedere aiuto militare al khan bulgaro Tervel: stando alla sua iscrizione conservata nella Santissima Chiesa dei quaranta martiri a Veliko Tărnovo.[50] La posizione di quest'edificio non è chiara, sebbene le teorie principali lo collocano a Silistra o a Păcuiul lui Soare.[51] Si sono scoperte varie iscrizioni bulgare in pietra dell'Alto medioevo in Dobrugia, inclusi racconti storici, inventari di armamenti, frammenti di edifici e testi commemorativi.[52] In questa fase, Silistra acquisì il ruolo di importante centro ecclesiastico bulgaro, poi episcopato nell'865 e sede del patriarca trace alla fine del X secolo.[53] Nell'895, le tribù magiare guidate da Budjak invasero la Dobrugia e la Bulgaria nordorientale: un'antica iscrizione slava, rinvenuta a Mircea Vodă, menziona in qualità di župa Dimitri (Дѣимитрѣ жѹпанѣ), un feudatario locale prominente nel sud della regione nel 943.[54]

Dalla seconda parentesi bizantina alla dominazione mongola[modifica | modifica wikitesto]

La Bulgaria nella seconda metà del XIII secolo. I punti rossi mostrano la portata della rivolta di Ivailo

Con il sostegno finanziario dell'imperatore bizantino Niceforo II di Costantinopoli, Svjatoslav I di Kiev acconsentì ad assistere i romei nella propria guerra contro i bulgari: il ruteno surclassò i suoi avversari guidati da Boris II e procedette ad occupare l'intera Bulgaria settentrionale. Occupata la Dobrugia nel 968, trasferì la capitale della Rus' di Kiev a Pereyaslavets, nel nord della regione, ma rifiutò di consegnare le sue conquiste balcaniche ai bizantini.[55] Di conseguenza, i patti prima raggiunti decaddero e i bizantini, sotto Giovanni I Zimisce, riconquistarono la Dobrugia nel 971.[56][57]

Secondo alcuni storici, subito dopo il 976 o nel 986, la parte meridionale della Dobrugia finì inclusa nello stato bulgaro allora governato da Samuele.[58][59] Nell'anno 1000, un'armata bizantina comandata da Teodorocano si riappropriò l'intera Dobrugia, organizzando la regione come Strategia di Dorostolon e, dopo il 1020, come Paristrion (Paradounavon).[2]

Tra il X e il XI secolo, per prevenire attacchi a cavallo da nord, i romei costruirono tre bastioni dal mar Nero fino al Danubio.[60][61] Secondo gli archeologi e gli storici bulgari, queste fortificazioni potrebbero essere state costruite molto prima ed erette dal Primo impero in risposta alla minaccia delle incursioni dei Cazari.[62][63]

Dal X secolo, i bizantini accettarono piccoli gruppi di peceneghi stabilitisi in Dobrugia, anche se presto sorsero dissidi: nella primavera del 1036, i popoli giunti da est devastarono gran parte della regione, distruggendo i forti di Capidava e Dervent e bruciando Dinogeţia.[64] Nel 1046 i bizantini accettarono i peceneghi sotto Kegen stabilendosi nel Paristrion (una zona localizzata nei pressi dell'odierno confine orientale tra Bulgaria e Romania) come foederati.[65] I nomadi provenienti dall'Asia centrale non tennero sempre comportamenti pacifici e imperversarono variamente nella regione fino al 1059, quando Isacco I Comneno si assicurò in modo saldo la Dobrugia e la Tracia.[66]

Nel 1064, un'invasione degli oghuz interessò la regione. Tra il 1072 e il 1074, quando Nestore (nuovo stratego del Paristrion) si trovava a Dristra, scoprì che il sovrano pecenego, Tatrys, decise di allestire i preparativi per una ribellione, culminata con alcune schermaglie nel 1078.[66] Nel 1091, si ha notizia di tre governanti autonomi, probabilmente peceneghi, menzionati nell'Alessiade: Tatos (Τατοῦ) o Chalis (χαλῆ), nell'area di Dristra (probabilmente ci si riferiva alla stessa persona che fomentò la ribellione qualche decennio prima, ovvero Tatrys), Sestlav (Σεσθλάβου) e Satza (Σατζά) nell'area di Vicina, situata sul Danubio.[67][68][69]

Frattanto, anche i cumani si trasferirono in Dobrugia intorno al 1094 e la propria influenza nella regione perdurò fino all'avvento dell'impero ottomano.[70][71] Nel 1187 i bizantini persero il controllo della zona a favore del restaurato impero bulgaro. Nel 1241, i primi gruppi tatari, comandati da Kadan, invasero la Dobrugia, innescando una sequela infinita di tumulti nella regione.[72][73] Intorno al 1263–1264, l'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo concesse il permesso al sultano Kaykaus II di stabilirsi nell'area con un gruppo di selgiuchidi giunti dall'Anatolia: un missionario derviscio, tale Sarı Saltuk, figurava come autorità centrale di questa comunità.[74][75] La sua tomba localizzata a Babadag, che prese da lui il nome, costituisce ancora meta di pellegrinaggio per i fedeli musulmani.[75] Le cronache arabe del XIII secolo indentificavano la Dobrogea con l'espressione Şakji e gli abitanti valacchi quali al-Awalak e ulaqut.[76] Nel 1265, l'imperatore bulgaro Costantino Tikh Asen ingaggiò 20.000 tatari per attraversare il Danubio e attaccare la Tracia bizantina.[77][78] Sulla via del ritorno, i tartari costrinsero la maggior parte dei selgiuchidi, incluso il loro capo Sarı Saltuk, a trasferirsi al fianco dei kipčaki in Cumania.[79]

Nella seconda parte del XIII secolo, l'Orda d'Oro dell'impero mongolo razziò e saccheggiò continuamente la Dobrugia: l'incapacità delle autorità bulgare di far fronte alle numerose incursioni costituì la motivazione principale alla base dell'insurrezione guidata da Ivailo (1277–1280) e scoppiata nella Bulgaria orientale.[80][81] L'esercito di Ivailo sconfisse i tartari, costretti ad evacuare il territorio verso terre sicure; successivamente sconfisse l'esercito di Costantino Tikh e fu incoronato imperatore di Bulgaria.[82]

La guerra con i tartari proseguì: nel 1278, dopo una nuova invasione tartara in Dobrugia, Ivailo fu costretto a ritirarsi nella robusta fortezza di Silistra, dove resistette a un assedio di tre mesi.[83] Nel 1280 la nobiltà bulgara, che temeva la crescente influenza dell'imperatore contadino, organizzò un colpo di stato; Ivailo dovette fuggire dal suo nemico, il tartaro Nogai Khan, che in seguito lo uccise.[82] Nel 1300 Tokta, nuovo khan dell'Orda d'Oro, cedette la Bessarabia all'imperatore Teodoro Svetoslav.[84]

Fortezza di Kaliakra, centro precipuo del Principato autonomo di Dobrugia

Autonomia dobrugiana nel XIV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1325, il patriarca ecumenico nominò Metodio metropolita di Varna e Carvona: dopo questa data, Balik/Balica è menzionato come governatore locale nella Dobrugia meridionale.[85][86][nota 1] Nel 1346, quest'ultimo sostenne Giovanni V Paleologo nella sua contesa per il trono di Costantinopoli contro Giovanni VI Cantacuzeno e spedì un corpo d'armata al comando di suo figlio Dobrotitsa/Dobrotici e di suo fratello, Teodoro, per aiutare la madre di Giovanni Paleologo, Anna di Savoia.[85][86] Per il suo coraggio, Dobrotitsa ricevette il titolo di "stratego" e poi sposò la figlia del megaduca Alessio Apocauco.[87][88] Dopo la riconciliazione dei due pretendenti, scoppiò una disputa territoriale tra la suddivisione amministrativa dobrugiana e l'impero bizantino per il porto di Midia (oggi Kıyıköy): nel 1347, su richiesta di Giovanni V Paleologo, l'emiro Bahud-din Umur, bey di Aydın, guidò una spedizione navale contro Balik, distruggendo i porti marittimi della Dobrugia. Balik e Teodoro morirono durante lo scontro e Dobrotitsa, che aveva dunque a quel punto perso il fratello, assunse il ruolo di sovrano.[89][90]

Principato di Dobrotici/Dobrotitsa durante il 1370

Tra il 1352 e il 1359, con il crescupolo del dominio dell'Orda d'Oro nella Dobrugia settentrionale, fece la sua comparsa una nuova entità, controllata dal principe tataro Demetrio, che si proclamò protettore delle foci del fiume Danubio.[91]

Nel 1357 Dobrotitsa viene menzionato in qualità di despota su un vasto territorio, comprese le fortezze di Varna, Kozeakos (vicino a Obzor), e Emona.[86] Nel 1366, Giovanni V Paleologo visitò Roma e Buda, cercando di ottenere sostegno militare per le sue campagne. Al suo ritorno, finì prigioniero a Vidin per mano di Ivan Alessandro, zar di Tarnovo, il quale temeva che le nuove alleanze fossero indirizzate contro il suo regno.[92] La crociata anti-ottomana sotto Amedeo VI di Savoia, sostenuta dalle repubbliche di Venezia e Genova, seguì una rotta alternativa affinché si liberasse l'imperatore bizantino. Dobrotitsa cooperò con i crociati e, dopo che gli alleati conquistarono diversi forti bulgari sul mar Nero, Ivan Alessandro liberò Giovanni e negoziò un accordo di pace.[93] Il ruolo di Dobrotitsa nel conflitto gli fruttò numerosi vantaggi politici: sua figlia maritò uno dei figli di Giovanni V, Michele, mentre il suo principato estese il suo controllo su alcuni dei forti persi dai bulgari (Anchialos e Mesembria).[94]

Nel 1368, dopo la morte del principe Demetrio, Dobrotitsa fu riconosciuto come governante su Pangalia e altri centri abitati sulla riva destra del Danubio. Nel 1369, insieme a Vladislav I di Valacchia, Dobrotitsa aiutò il principe Sracimir a riprendere il trono di Vidin.[95]

Tra il 1370 e il 1375, alleatosi con Venezia, Dobrotitsa sfidò l'autorità genovese sul mar Nero e tentò una serie di mosse politiche: nel 1376, cercò di imporre suo genero, Michele, come imperatore di Trebisonda, senza successo, sostenne Giovanni V Paleologo contro suo figlio Andronico IV e, nel 1379, la flotta della Dobrugia partecipò al blocco di Costantinopoli combattendo con la flotta genovese.[96]

Nel 1386, Dobrotitsa si spense e gli successe Ivanko/Ioankos; nello stesso anno, questi sottoscrisse un'intesa di pace con Murad I e, nel 1387, firmò un trattato commerciale con Genova. Ivanko perì nel 1388 durante la spedizione del Gran visir ottomano Çandarlı Ali Pascià contro Tarnovo e Dristra, una campagna che portò la maggior parte dei forti di Dobrugia a cadere sotto il dominio ottomano.[97]

Dominio valacco[modifica | modifica wikitesto]

La Dobrugia (Terra Dobrotici) come parte della Valacchia sotto Mircea il Vecchio

Nel 1388-1389, la Dobrugia (Terrae Dobrodicii, come menzionata in un documento del 1390) e Dristra (Dârstor) passarono sotto il controllo di Mircea il Vecchio, sovrano della Valacchia, che sconfisse il gran visir ottomano.[98]

Il sultano ottomano Bayezid I si assicurò la parte meridionale del territorio nel 1393, attaccando ancora infruttuosamente Mircea un anno dopo. Nella primavera del 1395, il signore valacco riprese possesso di una porzione dei territori perduti in Dobrugia con l'aiuto dei suoi alleati ungheresi: tuttavia, gli ottomani riconquistarono l'area nel 1397 e la governarono fino al 1404, salvo un breve periodo di interruzione quando nel 1401 Mircea surclassò nettamente gli invasori.[99]

La sconfitta del sultano Beyezid I per mano di Tamerlano ad Ankara nel 1402 inaugurò una fase di anarchia nell'impero, tanto che Mircea ne approfittò per organizzare una nuova campagna anti-ottomana: nel 1403 occupò il forte genovese di Kilia, sul delta del Danubio e, nel 1404, poté imporre di nuovo la sua autorità in Dobrugia.[99] Nel 1416, Mircea fomentò la rivolta contro il sultano Mehmet I, guidata da Sheikh Bedreddin nell'area di Deliorman, nel sud della Dobrugia.[100]

Dopo la morte di Mircea nel 1418, suo figlio Mihail I tentò di arginare i più numerosi attacchi diretti dagli ottomani, rimanendo infine ucciso in una battaglia nel 1420. Quell'anno, il sultano Mehmed I condusse personalmente la conquista definitiva di Dobrugia dai turchi, mentre la Valacchia conservò solamente le foci del Danubio, anche se non per molto tempo.[99]

Alla fine del XIV secolo, il viaggiatore tedesco Johann Schiltberger descrisse queste terre come segue:[101]

«Ero in tre regioni e tutte e tre si chiamavano Bulgaria. [...] La terza Bulgaria è lì, dove il Danubio sfocia nel mare [Nero]. La sua capitale si chiama Kaliakra.»

Dominio ottomano[modifica | modifica wikitesto]

I principali porti sviluppatisi sul mar Nero tra il XIII e il XVII secolo

Occupata dagli ottomani nel 1420, la regione rimase sotto il controllo orasmio fino alla fine del XIX secolo. Inizialmente organizzata come udj (provincia di confine) e inclusa nel sangiaccato di Silistra, divenne parte dell'Eyalet di Rumelia e più tardi, sotto Murad II o Solimano il Magnifico, il sangiaccato di Silistra e i dintorni andarono organizzati come un eyalet separato.[102][103] Gruppi di turchi, arabi e popoli tartari si stabilirono nella regione in varie fasi, gli ultimi dei quali soprattutto tra il 1512 e il 1514. Nel 1555, esplose una rivolta guidata dal "falso" (düzme) Mustafa, un usurpatore che aspirava al trono turco, contro l'amministrazione di Istanbul in Rumelia e raggiunse presto la Dobrugia, malgrado venne repressa efficacemente dal beilerbei di Niğbolu.[104][105]

Nel 1603 e nel 1612, la regione subì le incursioni dei cosacchi, che diedero alle fiamme Isaķči e razziarono Küstendje.[106] L'impero russo occupò più volte la Dobrugia durante le guerre russo-turche (1771–1774, 1790–1791, 1809–1810, 1829 e 1853), ma l'invasione più violenta fu quella del 1829, che portò allo spopolamento di numerosi villaggi e città.[107] Il trattato di Adrianopoli del 1829 cedette il delta del Danubio all'impero russo, che andò però poi restituito agli ottomani nel 1856, dopo la guerra di Crimea.[107] Nel 1864 la Dobrugia fu inclusa nel Vilayet del Danubio.[108]

Durante il regno di Pietro I di Russia e Caterina la Grande, i lipovani migrarono nella regione del delta del Danubio; seguì, dopo la distruzione dei Sič di Zaporižžja nel 1775, l'insediamento forzato dei cosacchi nell'area a nord del lago Razim da parte delle autorità turche (dove fondarono il Sich del Danubio).[109] Questi furono poi costretti a lasciare la Dobrugia nel 1828.

Nella seconda parte del XIX secolo, i ruteni dell'Impero austriaco si stabilirono anche nel delta del Danubio. Dopo la guerra di Crimea, un gran numero di tartari furono scacciati con la forza dalla penisola, immigrando nell'allora Dobrugia ottomana e stabilendosi principalmente nella valle di Karasu, al centro della regione e intorno a Bābā Dāgh. Nel 1864, i circassi in fuga dall'invasione russa del Caucaso (se ne contavano 400.000 nei Balcani) si stabilirono nella regione boscosa vicino a Bābā Dāgh.[110] Alcuni tedeschi, giunti dalla Bessarabia fondarono colonie in Dobrugia tra il 1840 e il 1892.[111]

A livello demografico, secondo le statistiche dell'esarcato bulgaro, prima del 1824 si contavano 9.364 famiglie bulgare nella Dobrugia settentrionale.[112] Nel 1850, lo studioso Ion Ionescu de la Brad, scriveva in un'opera dedicata alla Dobrugia, la cui produzione fu patrocinata dal governo ottomano, che i traci fossero venuti nella regione "negli ultimi vent'anni circa".[113] Secondo lo studio di tale autore, si contavano 2.285 famiglie bulgare (8.194 cristiane) nella regione, 1.194 delle quali stanziate in Dobrugia settentrionale.[112] Lo storico Ljubomir Miletič afferma che il numero di nuclei familiari bulgari nella Dobrugia del nord fosse pari nello stesso anno a 2.097: la maggior parte di questi ultimi presenti in Dobrugia nel 1900 erano coloni del XIX secolo o loro discendenti.[112][114] Secondo lo knjaz russo Vladimir Cherkasskj, capo del governo russo provvisorio in Bulgaria nel 1877-1878, le comunità bulgare in Dobrugia erano più numerose di quelle rumene.[112] Tuttavia, il conte Shuvalov, rappresentante russo al Congresso di Berlino, affermò che alla Romania dovesse spettare la Dobrugia "più di qualunque altra potenza per via della sua composizione demografica".[115]

L'organizzazione religiosa cristiana della regione rimase sotto l'autorità della Chiesa ortodossa bulgara come garantito da un firmano emesso dal sultano in data 28 febbraio 1870.[116] Tuttavia, l'etnia greca e la maggior parte dei rumeni nella Dobrugia settentrionale rimasero sottoposte all'arcidiocesi greca di Tulça (fondata nel 1829).[117]

1878-1900[modifica | modifica wikitesto]

Le truppe rumene attraversano trionfalmente il Danubio nella Dobrugia settentrionale. Litografia patriottica a colori del 1878

Dopo la guerra del 1878, la pace di Santo Stefano assegnò la Dobrugia alla Russia e al Principato di Bulgaria di recente costituzione.[118] La parte settentrionale, detenuta dalla Russia, passò alla Romania in cambio della Russia ottenendo territori in Bessarabia meridionale, assicurando così un accesso diretto alle foci del Danubio. Nella Dobrugia settentrionale, i rumeni costituivano la maggioranza, con piccoli nuclei di traci presenti nel nord-est (intorno a Babadag), nonché un'importante comunità musulmana (principalmente turchi e tartari) sparsa nella regione.[112]

La Dobrugia dopo il 1878

La parte meridionale, detenuta dalla Bulgaria, fu ridotta lo stesso anno dal trattato di Berlino: su consiglio del delegato francese, una striscia di terra che si estendeva nell'area interna dal porto di Mangalia (mostrato in arancione sulla mappa sopra) fu ceduta alla Romania, poiché la porzione sud-occidentale conteneva un'area soprattutto di etnia rumena.[119] La città di Silistra, situata nel punto più a sud-ovest della zona, rimase legata al mondo bulgaro a causa della nutrita comunità locale. In seguito, la Romania tentò di occupare militarmente il sito, ma nel 1879 una nuova commissione internazionale autorizzò la Romania ad insediarsi solo nel forte di Arab Tabia, che si affacciava su Silistra, ma non quest'ultimo centro.[120]

All'inizio della guerra russo-turca del 1877-1878, si contavano perlopiù turchi, bulgari e tartari nella regione, mentre poco prima della fine del conflitto diversi musulmani evacuarono in altre aree della Bulgaria e della Turchia.[121] Dopo il 1878, il governo rumeno incoraggiò i suoi concittadini situati in altri distretti a stabilirsi nella Dobrugia settentrionale e accettò il ritorno di una parte della popolazione musulmana sfollata a causa del conflitto.[122]

Secondo gli storici bulgari, dopo il 1878 le autorità ecclesiastiche rumene assunsero il controllo su tutte le chiese locali, ad eccezione di quelle di Tulcea e Costanza, le quali poterono ancora celebrare le liturgie in bulgaro.[112] Tra il 1879 e il 1900, i bulgari costruirono 15 nuove chiese nella Dobrugia settentrionale.[123] Dopo il 1880, italiani provenienti dal Friuli e dal Veneto si stabilirono a Greci, Cataloi e Măcin, nel nord della Dobrugia: questi trovavano impiego nelle cave di granito nei monti Măcin, mentre alcuni sono diventati agricoltori.[124] Sofia frattanto incoraggiò l'insediamento dei bulgari nel territorio della Dobrugia meridionale.[125]

Dal XX secolo a oggi[modifica | modifica wikitesto]

Gruppi etnici in Dobrugia intorno al 1918

Nel maggio 1913, le grandi potenze assegnarono Silistra e gli immediati dintorni nel raggio di 3 km alla Romania, in occasione della Conferenza di San Pietroburgo.[126][127] Nell'agosto 1913, dopo la seconda guerra balcanica, la Bulgaria perse la Dobrugia meridionale (in particolare, la zona cosiddetta del quadrilatero) in favore della Romania, evento confermato dal trattato di Bucarest.[128] Con l'entrata della Romania nella prima guerra mondiale dalla parte della Francia e della Russia, gli imperi centrali occuparono tutta la Dobrugia e cedettero il cosiddetto quadrilatero, così come la parte meridionale della Dobrugia settentrionale, alla Bulgaria nel trattato di Bucarest del 1918.[1][2] Tale situazione durò per un breve periodo: quando le potenze alleate emersero vittoriose alla fine della guerra, la Romania riconquistò i territori perduti grazie all'intesa di Neuilly del 1919.[129] Tra il 1926 e il 1938, circa 30.000 aromuni originari della Bulgaria, della Macedonia e della Grecia vennero reinsediati nella Dobrugia meridionale, a fianco ad alcuni megleno-rumeni.[130]

Nel 1923 fu fondata l'Organizzazione Rivoluzionaria Interna della Dobrugia (Vnătrešna Dobrogeanska Revolucionerna Organizacija o VDRO), un'organizzazione nazionalista bulgara: attivi nella Dobrugia meridionale sotto diverse forme fino al 1940, i distaccamenti VDRO ostacolarono il diffuso brigantaggio nella regione, oltre a opporsi all'amministrazione rumena.[131][132] Considerata la natura del genere di operazioni a cui miravano, le autorità rumene bollarono presto la VDRO quale "organizzazione terroristica"; al contrario, i bulgari etnici guardavano con discreta simpatia a quello che, a loro giudizio, appariva un movimento di liberazione. Nel 1925, una parte dei comitati sovversivi bulgari formò l'Organizzazione rivoluzionaria dei dobrugiani (DRO), in seguito subordinata al Partito comunista di Romania.[132] In contrasto con la VDRO, che lottò per l'inclusione della regione nello stato bulgaro, la DRO chiedeva l'indipendenza della Dobrugia e la sua inclusione nel progetto della Federazione Balcanica.[133] I mezzi utilizzati dalla DRO per raggiungere i suoi obiettivi apparivano più pacifici.[133]

Durante la seconda guerra mondiale, la Bulgaria riconquistò la Dobrugia meridionale, in virtù del trattato di Craiova la cui firma fu promossa dalle potenze dell'Asse nel settembre 1940: l'insistenza dei negoziatori rumeni su Balčik e altre città, che avrebbero dovuto a loro parere restare in mano a Bucarest, rimase inascoltata.[134] Come parte del trattato, gli abitanti rumeni (risultavano inclusi nello specifico aromuni e megleno-rumeni rifugiati o coloni di altre regioni della Romania e rumeni autoctoni della regione) furono costretti ad abbandonare il territorio riacquisito, mentre la minoranza bulgara del nord fu espulsa per recarsi in Bulgaria nell'ambito di uno scambio di popolazione.[134] Nel dopoguerra, ai sensi dei trattati di pace di Parigi del 1947, si ripristinò il confine del 1940.[134]

Nel 1948, e ancora nel 1961-1962, la Bulgaria propose una rettifica del confine nell'area di Silistra, consistente principalmente nel trasferimento di una porzione rumena contenente la sorgente d'acqua di quella città. La Romania avanzò una proposta alternativa che non comportava un cambiamento territoriale e, alla fine, la rettifica non ebbe luogo.[135] Le due nazioni, membri dell'Unione europea dal 2007, non hanno effettuato più rivendicazioni territoriali e condividono una demarcazione comune lunga 631,3 km che transita anche per la Dobrugia. Il 5 luglio 2001 fu istituita una commissione di storia inter-accademica congiunta bulgaro-rumena per combattere le derive nazionaliste e protocroniste nella storiografia (in particolare nella scuola) dei due paesi.[136]

In Romania, il 14 novembre è oggi celebrata come giornata della Dobrugia.[137]

Toponimo[modifica | modifica wikitesto]

L'opinione più diffusa tra gli studiosi è che l'origine del termine "Dobrugia" sia da ricercare nella versione turca del nome di un sovrano bulgaro del XIV secolo, il despota Dobrotitsa.[138][139] Era comune per i turchi nominare le aree geografiche sulla scia del nome dei primi governanti (ad esempio, la vicina Moldavia era conosciuta come Bogdan Iflak dai turchi perché amministrata da Bogdan I). Le altre ricostruzioni presentate dagli studiosi non hanno goduto della medesima fortuna.[140]

Abdolonyme Ubicini credeva che Dobrugia stesse per "buone terre", termine derivato dallo slavo dobro ("buono"): tale ipotesi riscosse discreti consensi nel XIX secolo. Una simile derivazione sembra contrastare con la tradizionale descrizione ottocentesca della Dobrugia come terra arida e stepposa; si è sostenuto che questa espressione dipendeva da un punto di vista dei ruteni, che consideravano il delta del Danubio nella Dobrugia settentrionale come un miglioramento significativo rispetto alle lande dell'odierna Ucraina.[141] I.A. Nazarettean combina la parola slava con la tatara budjak ("angolo"), proponendo così l'etimologia "angolo buono".[142]

Una versione corrispondente alle descrizioni contemporanee è stata suggerita da Felix Philipp Kanitz, che associò il toponimo al bulgaro dobrice ("terreno roccioso e improduttivo").[143] Secondo Gheorghe I. Brătianu, l'origine sarebbe legata alla parola turca Bordjan o Brudjars, con cui ci si riferiva ai proto-bulgari; il termine veniva adoperato anche da scrittori arabi.[144]

Uno dei primi usi documentati del toponimo appare il turco Oghuz-name, datato al XV secolo, in cui si fa riferimento alla regione come Dobruja-éli (دوبرجه): il suffisso possessivo el-i indicava che la terra era considerata appartenente a Dobrotitsa.[145] La perdita della particella finale non si palesa come insolita nel mondo turco, in quanto un'evoluzione simile è stata osservata nel toponimo di Aydın, originariamente "Aydın-éli".[145] Un altro antico utilizzo si rintraccia in una traduzione latina del XVI secolo delle Storie di Laonico Calcondila, dove il termine Dobroditia è adoperato per meglio rendere l'originale in greco bizantino Δοβροτίκεω χώρα (Dobrotíkeo cora), ovvero "regione di Dobrotitsa.[141] Nel XVII secolo, veniva citata in più resoconti in varie versioni utilizzate anche da autori stranieri, tra cui Dobrucia, Dobrutča, Dobrus, Dobruccia, Dobroudja e Dobrudscha.[141]

In principio, il toponimo indicava solo la steppa della regione meridionale, situata tra le foreste intorno a Babadag a nord e la linea Silistra-Dobrič-Balčik a sud.[8] Più tardi, il termine assunse valore estensivo, includendo pure la parte settentrionale e il delta del Danubio.[8] Nel XIX secolo alcuni autori adoperarono il nome per riferirsi proprio al territorio compreso tra il ramo più meridionale del Danubio (San Giorgio) a nord e la valle di Karasu (oggi canale Danubio-Mar Nero) a sud.[146]

Stemma[modifica | modifica wikitesto]

L'emblema locale è rappresentato con due delfini nello stemma della Romania.

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

Costumi tradizionali della Dobrugia bulgara

La Dobrugia ha una sua identità culturale ben affermata: si pensi ad esempio, nella popolare tradizione balcanica al Martenitsi (in bulgaro: мартеници), Martis (in greco: Μάρτης) o Mărţişoare (in rumeno), in Dobrugia e solo lì, quando le cicogne arrivano a marzo, i martenitsi/martisoare si appendono su un albero o si gettano verso il cielo in modo che "la fortuna dell'anno sia tanta e spicchi il volo".[147] Dal punto di vista architettonico, anche se le moderne realizzazioni di stile funzionale e internazionale sostituiscono oggi le tradizioni locali, le costruzioni dobrugiane vantano qualche richiamo stilistico greco ancora presente nei vecchi quartieri di Tulcea, Costanza o Kavarna.[148] Se gli abiti tradizionali variavano a seconda delle etnie presenti, invece la cucina e la musica attingevano a fonti comuni, tra cui ingredienti "esotici" portati dai marinai, come mandorle, fichi, olive, capperi. Tra le specialità locali, gli ingredienti più utilizzati prevedono melanzane, peperone e pesce (funzionali anche alla preparazione della zuppa di pesce di alosa o il filetto di storione marinato, noto come saramură). Tra i dolci, si annovera soprattutto la torta con formaggio dolce dobrugiana (Добруджанска Плацинда in bulgaro, Plăcintă dobrogeană in rumeno) e, tra i vini, anche il vino bianco di Murfatlar.[149] Trattandosi di una zona dove ancora si avverte l'influenza turca, si preparano anche l'agnello cotto nel latte o allo spiedo, il baklava e l'halva.

La Dobrugia, come altre regioni costiere, ha attirato nei secoli passati artisti e pittori come Ivan Konstantinovič Ajvazovskij, Francisc Șirato o Nicolae Tonitza vi soggiornarono spesso al fine di immortalare i suoi paesaggi.[150]

Società[modifica | modifica wikitesto]

Evoluzione demografica[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1913, la Dobrugia divenne parte della Romania in seguito al trattato di Bucarest del 1913 che pose fine alla seconda guerra balcanica. La Romania acquisì la Dobrugia meridionale dalla Bulgaria, un territorio con una popolazione di 300.000 abitanti di cui solo 6.000 (2%) erano rumeni.[151] Nel 1913, la Dobrugia settentrionale, controllata dalla Romania, faceva registrare 380.430 abitanti, di cui 216.425 (56,8%) rumeni.[151] Pertanto, quando la Dobrugia passò alla Romania nel 1913, vi erano oltre 222.000 rumeni nella regione su una popolazione totale di 680.000, pari a quasi il 33% della popolazione. Nel 1930, la popolazione rumena all'interno della Dobrugia salì al 44,2%.[152]

Dobrugia settentrionale[modifica | modifica wikitesto]

Etnia 1878[112] 1880[112] 1899[112] 1913[151] 1930[152][nota 2] 1956[153] 1966[153] 1977[153] 1992[153] 2002[153] 2011[154]
Totale 225.692 139.671 258.242 380.430 437.131 593.659 702.461 863.348 1.019.766 971.643 897.165
Rumeni 46.504 (21%) 43.671 (31%) 118.919 (46%) 216.425 (56,8%) 282.844 (64,7%) 514.331 (86,6%) 622.996 (88,7%) 784.934 (90,9%) 926.608 (90,8%) 883.620 (90,9%) 751.250 (83,7%)
Bulgari 30.177 (13,3%) 24.915 (17%) 38.439 (14%) 51.149 (13,4%) 42.070 (9,6%) 749 (0,13%) 524 (0,07%) 415 (0,05%) 311 (0,03%) 135 (0,01%) 58 (0,01%)
Turchi 48.783 (21,6%) 18.624 (13%) 12.146 (4%) 20.092 (5,3%) 21.748 (5%) 11.994 (2%) 16.209 (2,3%) 21.666 (2,5%) 27.685 (2,7%) 27.580 (2,8%) 22.500 (2,5%)
Tartari 71.146 (31,5%) 29.476 (21%) 28.670 (11%) 21.350 (5,6%) 15.546 (3,6%) 20.239 (3,4%) 21.939 (3,1%) 22.875 (2,65%) 24.185 (2,4%) 23.409 (2,4%) 19.720 (2,2%)
Russi-lipovani 12.748 (5,6%) 8.250 (6%) 12.801 (5%) 35.859 (9,4%) 26.210 (6%)[nota 3] 29.944 (5%) 30.509 (4,35%) 24.098 (2,8%) 26.154 (2,6%) 21.623 (2,2%) 13.910 (1,6%)
Ruteni
(ucraini dal 1956)
455 (0,3%) 13.680 (5%) 33 (0,01%) 7.025 (1,18%) 5.154 (0,73%) 2.639 (0,3%) 4.101 (0,4%) 1.465 (0,1%) 1.177 (0,1%)
Tedeschi dobrugiani 1.134 (0,5%) 2.461 (1,7%) 8.566 (3%) 7.697 (2%) 12.023 (2,75%) 735 (0,12%) 599 (0,09%) 648 (0,08%) 677 (0,07%) 398 (0,04%) 166 (0,02%)
Greci 3.480 (1,6%) 4.015 (2,8%) 8.445 (3%) 9.999 (2,6%) 7.743 (1,8%) 1.399 (0,24%) 908 (0,13%) 635 (0,07%) 1.230 (0,12%) 2.270 (0,23%) 1.447 (0,16%)
Rom 702 (0,5%) 2.252 (0,87%) 3.263 (0,9%) 3.831 (0,88%) 1.176 (0,2%) 378 (0,05%) 2.565 (0,3%) 5.983 (0,59%) 8.295 (0,85%) 11.977 (1,3%)

Dobrugia meridionale[modifica | modifica wikitesto]

Etnia 1910 1930[112][nota 4] 2001[155] 2011[156]
Totale 282.007 378.344 357.217 283.395[nota 5]
Bulgari 134.355 (47,6%) 143.209 (37,9%) 248.382 (69,5%) 192.698 (68%)
Turchi 106.568 (37,8%) 129.025 (34,1%) 76.992 (21,6%) 72.963 (25,75%)
Rom 12.192 (4,3%) 7.615 (2%) 25.127 (7%) 12.163 (4,29%)
Tartari 11.718 (4,2%) 6.546 (1,7%) 4.515 (1,3%) 808 (0,29%)
Rumeni 6.348 (2,3%)[nota 6] 77.728 (20,5%) 591 (0,2%)[nota 6] 947 (0,33%)

Città e aree urbane[modifica | modifica wikitesto]

L'intera regione della Dobrugia occupa un'area di 23 260 km² e una popolazione di circa 1,2 milioni, di cui poco più di due terzi del primo e quasi tre quarti del quest'ultima si trova nella parte rumena.[1][2]

Etnia Dobrugia Dobrugia rumena[154] Dobrugia bulgara[156]
Numero Percentuale Numero Percentuale Numero Percentuale
Totale 1.180.560 100,00% 897.165 100,00% 283.395 100,00%
Rumeni 752.197 63,72% 751.250 83,74% 947 0,33%
Bulgari 192.756 16,33% 58 0,01% 192.698 68%
Turchi 95.463 8,09% 22.500 2,51% 72.963 25,75%
Tartaro 20.528 1,74% 19.720 2,20% 808 0,29%
Rom 24.140 2,04% 11.977 1,33% 12.163 4,29%
Russi 14.608 1,24% 13.910 1,55% 698 0,25%
Ucraini 1.250 0,11% 1.177 0,13% 73 0,03%
Greci 1.467 0,12% 1.447 0,16% 20 0,01%

Le città principali sono Costanza, Tulcea, Medgidia e Mangalia in Romania, Dobrič e Silistra in Bulgaria.

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Boschi e terreni agricoli presso l'altopiano della Dobrugia settentrionale

La Dobrugia rumena, i cui terreni sono composti da löss, vede la presenza di frutteti, vigneti (vini di Murfatlar) e pastori dediti al pascolo delle pecore (in genere di razza Merino). La pianura bulgara, a sud, è sede di vaste colture di cereali, estese per centinaia di ettari ciascuno e che hanno la particolarità di essere separate da siepi larghe dai 10 ai 20 metri, piantate alla fine dell'epoca comunista per rallentare l'erosione del suolo. Nonostante un'agricoltura sempre più intensiva, in cui i nitrati contaminano le acque superficiali, queste siepi hanno un'importante funzione di accoglienza e rifugio per la fauna utile all'agricoltura. Inoltre, sono ancora sopravvissute foreste di leccio (Quercus ilex), tanto in Romania che in Bulgaria.[1][157]

Il settore secondario e terziario, con particolare riferimento al turismo sia in spazi verdi che città storiche, sono in via di sviluppo.

Note al testo[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ I nomi dei governanti del Principato di Karvuna sono indicati in questo paragrafo come conosciuti dagli storici odierni rispettivamente in bulgaro e rumeno.
  2. ^ Secondo la divisione amministrativa rumena del 1926-1938 (contee di Costanza e Tulcea), che escludeva una parte dell'attuale Romania (principalmente i comuni di Ostrov e Lipnița, oggi inclusi nel distretto di Costanza) e includevano una parte dell'odierna Bulgaria (rientranti nei comuni si General Toševo e Krušari).
  3. ^ Solo russi: i russi e i lipovani vennero contati separatamente in tale censimento.
  4. ^ Secondo la divisione amministrativa rumena del 1926-1938 (contee di Durostor e Caliacra), che comprendeva una porzione dell'attuale Romania (principalmente comuni di Ostrov e Lipnița, oggi nel distretto di Costanza) ed esclusa una parte dell'odierna Bulgaria (parti dei comuni di General Toševo e Krušari).
  5. ^ Include solo le persone che avevano risposto alla domanda facoltativa sull'identità etnica. La popolazione totale ammontava a 309.151 abitanti.
  6. ^ a b Compresi i cittadini conteggiati come valacchi nel censimento bulgaro.

Note bibliografiche[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g (EN) Dobruja, su Encyclopedia Britannica. URL consultato il 13 maggio 2021.
  2. ^ a b c d (EN) Dobrudja, su encyclopediaofukraine.com. URL consultato il 13 maggio 2021.
  3. ^ (EN) Steven A. Krebs, Settlement in Classical Dobrogea, Indiana University, 2000, p. 48.
  4. ^ (EN) Banco di Roma, The Journal of European Economic History, BdR, 1985, p. 239.
  5. ^ (EN) John M. Fossey, Proceedings of the First International Conference on the Archaeology and History of the Black Sea, J.C. Gieben, 1997, p. 48, ISBN 978-90-50-63478-6.
  6. ^ a b (EN) Carmen Maftei e Alina Barbulescu, Statistical Analysis of Climate Evolution in Dobrudja Region, vol. 2, Londra, luglio 2008, pp. 1-6, ISBN 978-988-17012-3-7. URL consultato il 15 maggio 2021.
  7. ^ a b (EN) Zsolt Kudich e Réka Zsirmon, Nature's havens on the Danube, Danubeparks, Duna-Ipoly National Park, pp. 48-52, ISBN 978-615-5241-13-0. URL consultato il 15 maggio 2021.
  8. ^ a b c d e f g (EN) Sorin-Cristian Ailincai, Before the Greeks. The Early Iron Age in Dobrudja, Mega Publishing HouseEditors, gennaio 2016, pp. 201-236. URL consultato il 14 maggio 2021.
  9. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 13.
  10. ^ (EN) Marija Gimbutas, Bronze Age cultures in Central and Eastern Europe, Walter de Gruyter, 2011, p. 186, ISBN 978-31-11-66814-7.
  11. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 30.
  12. ^ Constantiniu, p. 13.
  13. ^ Grigore Arbore-Popescu, I daci, Electa, 1997, p. 54, ISBN 978-88-43-56018-9.
  14. ^ Alfredo Innocenzi, Il confine dimenticato: Dobrogea, YCP, 2016, p. 152, ISBN 978-88-93-06464-4.
  15. ^ (EN) Steven A. Krebs, Settlement in Classical Dobrogea, Indiana University, 2000, p. 150.
  16. ^ (EN) Gabriele Esposito, Armies of the Thracians and Dacians, 500 BC to AD 150: History, Organization and Equipment, Pen and Sword Military, 2021, p. 35, ISBN 978-15-26-77277-0.
  17. ^ Pippidi, p. 213.
  18. ^ a b Andrei Oțetea, Storia del popolo romeno, 3ª ed., Editori riuniti, 1981, p. 54.
  19. ^ Pippidi, p. 107.
  20. ^ a b Pippidi, pp. 101-102.
  21. ^ Pippidi, p. 141.
  22. ^ a b Pippidi, p. 147.
  23. ^ a b Constantiniu, p. 18.
  24. ^ a b Anna Gallina Zevi, Civiltà romana in Romania, De Luca, 1970, p. 50.
  25. ^ Anna Gallina Zevi, Civiltà romana in Romania, De Luca, 1970, p. 54.
  26. ^ Giovanni Forni, Scritti vari di storia, epigrafia e antichità romane, vol. 2, G. Bretschneider, 1994, p. 838, ISBN 978-88-76-89106-9.
  27. ^ Sabatino Moscati e Antonio Giuliano, Il mondo dell'archeologia, vol. 1, Istituto della Enciclopedia italiana, 2002, p. 814.
  28. ^ (EN) Alfredo Valvo e Gian Enrico Manzoni, Analecta Brixiana, vol. 1, Vita e Pensiero, 2004, p. 146, ISBN 978-88-34-31173-8.
  29. ^ Radu Ardevan e Livio Zerbini, La Dacia romana, Rubbettino, 2007, p. 59, ISBN 978-88-49-81827-7.
  30. ^ Silvio Govi, L'Universo, vol. 46, Istituto geografico militare, 1966, p. 500.
  31. ^ Theodor Mommsen, L'impero di Roma, Il Saggiatore, 2016, p. 158, ISBN 978-88-65-76543-2.
  32. ^ Sylviane Estiot, Ripostiglio della Venèra: nuovo catalogo, L'erma di Bretschneider, 1995, p. 16, ISBN 978-88-70-62892-0.
  33. ^ Ostrogoti, su treccani.it. URL consultato il 13 maggio 2021.
  34. ^ Andrei Oțetea e Andrew MacKenzie, A Concise History of Romania, R. Hale, 1985, p. 125, ISBN 978-07-09-01865-0.
  35. ^ Giorgio Ravegnani, Castelli e città fortificate nel VI secolo, Edizioni del Girasole, 1983, p. 131, ISBN 978-88-75-67132-7.
  36. ^ (EN) Dimitri Obolensky, Byzantium and the Slavs: Collected Studies, Variorum Reprints, 1971, p. 477, ISBN 978-09-02-08914-3.
  37. ^ a b Gian Carlo Menis, Gli Avari: un popolo d'Europa, Deputazione di storia patria per il Friuli, 1995, p. 50.
  38. ^ (EN) Santo Mazzarino, Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana, vol. 2, Edizioni Dedalo, 2003, p. 366, ISBN 978-88-22-00514-4.
  39. ^ a b Vulpe, p. 24.
  40. ^ Enrico Aci Monfosca, Paesi danubiani, balcanici e Turchia, vol. 2, Vallecchi, 1929, p. 127.
  41. ^ Giannantonio Zambon, Basilio II Bulgaroctono, Gruppo Albatros Il Filo, 2019, p. 48, ISBN 978-88-30-60338-7.
  42. ^ Cossuto, p. 49.
  43. ^ (EN) Touring Club Italiano, Bulgaria: Sofia, Plovdiv, Varna, i monasteri ortodossi, i Balcani e il Mar Nero, Touring Editore, 2005, p. 63, ISBN 978-88-36-53318-3.
  44. ^ a b (EN) Tsvetelin Stepanov, Waiting for the End of the World: European Dimensions, 950–1200, BRILL, 2019, p. 216, ISBN 978-90-04-40993-4.
  45. ^ Emanuele Banfi, La formazione dell'Europa linguistica: le lingue d'Europa tra la fine del I e del II millennio, La Nuova Italia, 1993, p. 561, ISBN 978-88-22-11261-3.
  46. ^ Richard Watkins e Christopher Deliso, Bulgaria, EDT srl, 2008, pp. 38-39, ISBN 978-88-60-40306-3.
  47. ^ (RO) Ion Barnea e Stefan Stefanescu, Bizantini, romani și bulgari la Dunărea de Jos, vol. 3, Editura Academiei Republicii Populare Româniae, 1971, p. 11.
  48. ^ (EN) Constantin C. Giurescu, Horia C. Matei e Marcel Popa, Chronological History of Romania, 2ª ed., Editura enciclopedică română, 1974, p. 38.
  49. ^ (EN) Panos Sophoulis, Byzantium and Bulgaria, 775-831, BRILL, 2011, p. 139, ISBN 978-90-04-20696-0.
  50. ^ Edward N. Luttwak, La grande strategia dell'Impero Bizantino, Rizzoli, 2011, p. 191, ISBN 978-88-58-60116-7.
  51. ^ (EN) Vicina Byzantine Citadel, Păcuiul lui Soare Island, su audiotravelguide.ro. URL consultato il 13 febbraio 2021.
  52. ^ (EN) Florin Curta, Southeastern Europe in the Middle Ages, 500-1250, Cambridge University Press, 2006, p. 230, ISBN 978-05-21-81539-0.
  53. ^ (EN) Stefan Stamov, Architecture of the Old Bulgarian Villages, S.Stamov, 2006, p. 9.
  54. ^ (CS) Matice moravská, Časopis Matice moravské, vol. 106, Matice moravská, 1987, p. 272.
  55. ^ Antonio Ferraiuolo, Breve storia della Russia, Passerino Editore, 2020, p. 6, ISBN 978-88-35-88829-1.
  56. ^ Andrei Oțetea, Storia del popolo romeno, 3ª ed., Editori riuniti, 1981, p. 141.
  57. ^ Alfredo Innocenzi, Il confine dimenticato: Dobrogea, YCP, 2016, p. 75, ISBN 978-88-93-06464-4.
  58. ^ Alfredo Innocenzi, Il confine dimenticato: Dobrogea, YCP, 2016, p. 30, ISBN 978-88-93-06464-4.
  59. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 26.
  60. ^ Cossuto, p. 56.
  61. ^ Rădulescu e Bitoleanu, pp. 184–185.
  62. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 102.
  63. ^ (EN) William Gordon East, An Historical Geography of Europe, 2ª ed., Methuen, 1943, p. 176.
  64. ^ (EN) Edward N. Luttwak, La grande strategia dell'Impero Bizantino, Rizzoli, 2011, p. 178, ISBN 978-88-58-60116-7.
  65. ^ Cossuto, p. 35.
  66. ^ a b Nicetas Choniates, Grandezza e Catastrofe di Bisanzio: (narrazione cronologica), vol. 1, Fondazione Lorenzo Valla, 1994, p. 521, ISBN 978-88-04-37948-5.
  67. ^ Oriente moderno, vol. 13-14, Istituto per l'oriente, 1994, p. 208.
  68. ^ Constantiniu, p. 43.
  69. ^ Adrian Rădulescu e Ion Bitoleanu, A Concise History of Dobruja, Editura Științifică și Enciclopedică, 1984, p. 127.
  70. ^ Rădulescu e Bitoleanu, pp. 192–193.
  71. ^ Cossuto, p. 39.
  72. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 194.
  73. ^ Cossuto, p. 41.
  74. ^ (EN) Egdunas Racius e Antonina Zhelyazkova, Islamic Leadership in the European Lands of the Former Ottoman and Russian Empires: Legacy, Challenges and Change Muslim Minorities, BRILL, 2017, p. 31, ISBN 978-90-04-35268-1.
  75. ^ a b Luciano Vaccaro, Storia religiosa dell'Islam nei Balcani, Centro ambrosiano, 2008, p. 378, ISBN 978-88-80-25668-7.
  76. ^ (EN) Victor Spinei, The Great Migrations in the East and South East of Europe from the Ninth to the Thirteenth Century, 2ª ed., Romanian Cultural Institute, 2003, p. 445, ISBN 978-97-38-58945-2.
  77. ^ (EN) Alexandru Madgearu, The Asanids: The Political and Military History of the Second Bulgarian Empire (1185-1280), BRILL, 2016, p. 252, ISBN 978-90-04-33319-2.
  78. ^ Giulio Vismara, Bisanzio e l'Islam: Per la storia dei trattati tra la cristianità orientale e la potenze mussulmane, A. Giuffrè, 1950, p. 67.
  79. ^ Cossuto, p. 55.
  80. ^ Cossuto, pp. 55-56.
  81. ^ Alfredo Bosisio, Il basso Medioevo, vol. 4, Ist. geografico De Agostini, 1968, p. 150.
  82. ^ a b Stanford Mc Krause, Islam: dalle invasioni mongole all'impero timurico, Cambridge Stanford Books, 2020, p. 34.
  83. ^ (EN) István Vásáry, Cumans and Tatars: Oriental Military in the Pre-Ottoman Balkans, 1185–1365, Cambridge University Press, 2005, p. 81, ISBN 978-11-39-44408-8.
  84. ^ (EN) John Van Antwerp Fine, The Late Medieval Balkans: A Critical Survey from the Late Twelfth Century to the Ottoman Conquest, University of Michigan Press, 1994, p. 228, ISBN 978-04-72-08260-5.
  85. ^ a b (EN) John Van Antwerp Fine, The Late Medieval Balkans: A Critical Survey from the Late Twelfth Century to the Ottoman Conquest, University of Michigan Press, 1994, p. 367, ISBN 978-04-72-08260-5.
  86. ^ a b c (EN) David Michael Metcalf, Coinage in South-eastern Europe, 820-1396, 2ª ed., Royal Numismatic Society, 1979, p. 311.
  87. ^ (EN) Donald M. Nicol, The Last Centuries of Byzantium, 1261-1453, Cambridge University Press, 1993, p. 204, ISBN 978-05-21-43991-6.
  88. ^ Alberto Alberti, Ivan Aleksandar (1331-1371), Firenze University Press, 2010, p. 77, ISBN 978-88-64-53182-3.
  89. ^ Cossuto, p. 171.
  90. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 197.
  91. ^ Cristian Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, L'Italia e l'Europa Centro-orientale attraverso i secoli, Museo di Brăila, Istros editrice, 2004, p. 34, ISBN 978-97-39-46941-8.
  92. ^ Paolo Maltagliati, L'impero di Trebisonda: e il mondo dal medioevo all'età contemporanea, Soldiershop Publishing, 2015, p. 108, ISBN 978-88-99-15886-6.
  93. ^ Umberto Bosco, Lessico universale italiano, vol. 9, Ist. della Enciclopedia italiana, 1968, p. 114.
  94. ^ Paul Lemerle, Storia di Bisanzio, traduzione di A.R. Galeone, Argo, 2004, p. 100, ISBN 978-88-82-34314-9.
  95. ^ (EN) Gábor Ágoston, The Last Muslim Conquest: The Ottoman Empire and Its Wars in Europe, Princeton University Press, 2021, p. 543 (nota 33), ISBN 978-06-91-15932-4.
  96. ^ (EN) volume5-7, Byzantine Studies: Études Byzantines, Arizona State University, 1978, p. 58.
  97. ^ (EN) Rossitsa Gradeva, Rumeli Under the Ottomans, 15th-18th Centuries: Institutions and Communities, Isis Press, 2004, p. 33, ISBN 978-97-54-28271-9.
  98. ^ Constantiniu, p. 69.
  99. ^ a b c (EN) Mehrdad Kia, The Ottoman Empire: A Historical Encyclopedia, ABC-CLIO, 2017, p. 228, ISBN 978-16-10-69389-9.
  100. ^ (EN) Susana Andea, History of Romania: Compendium, Romanian Cultural Institute, 2006, p. 255, ISBN 978-97-37-78412-4.
  101. ^ Pieter Plas, Developing Cultural Identity in the Balkans: Convergence Vs. Divergence, P.I.E.-Peter Lang, 2005, p. 170, ISBN 978-90-52-01297-1.
  102. ^ (EN) Edward W. Kase, The Great Isthmus Corridor, 3ª ed., Kendall/Hunt Publishing Company, 1991, p. 160, ISBN 978-08-40-36538-5.
  103. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 205.
  104. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 249.
  105. ^ Cossuto, p. 63.
  106. ^ Cossuto, p. 71.
  107. ^ a b Cossuto, p. 75.
  108. ^ (EN) Heleni Porfyriou e Marichela Sepe, Waterfronts Revisited: European ports in a historic and global perspective, Routledge, 2016, p. 34, ISBN 978-13-17-26916-8.
  109. ^ (EN) Hari Silvestru Rorlich, The Lyrical Songs of the Russian Settlers in Dobrudja: (Romania), University of Wisconsin, 1977, p. 10.
  110. ^ (EN) Kadir I. Natho, Circassian History, Xlibris Corporation, 2009, p. 395, ISBN 978-14-65-31699-8.
  111. ^ (EN) Ute Schmidt, Germans in Bessarabia: historical background and present-day relations, in SEER: Journal for Labour and Social Affairs in Eastern Europe, vol. 11, n. 3, Nomos Verlagsgesellschaft mbH, 2008, pp. 307-317.
  112. ^ a b c d e f g h i j (EN) H. G. L., The Bulgarian Claim to Southern Dobruja, in Bulletin of International News, vol. 17, n. 4, Royal Institute of International Affairs, 24 febbraio 1940, pp. 211-213.
  113. ^ (FR) Ion Ionescu de la Brad, Excursion agricole dans la plaine de la Dobrodja, Istanbul, Imprimerie du Journal de Constantinopole, 1850, p. 82, OCLC 251025693.
    «Les Bulgares sont venus dans la Dobrodja depuis une vingtaine d'années, abandonnant des terres ingrates pour celles bien plus fertiles qu'ils ont trouvée dans ce pays»
  114. ^ (EN) Roumen Daskalov e Alexander Vezenkov, Entangled Histories of the Balkans, BRILL, 2015, p. 322, ISBN 978-90-04-29036-5.
  115. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 337.
  116. ^ Istituto per l'Europa orientale, Studi sulla Romania, Anonima romana editoriale, 1925, p. 43.
  117. ^ Rădulescu e Bitoleanu, pp. 322–323.
  118. ^ Antonello Biagini, L'Italia e le guerre balcaniche, vol. 1, Edizioni Nuova Cultura, 2012, p. 59, ISBN 978-88-61-34838-7.
  119. ^ Istituto per l'Europa orientale Roma, L'Europa orientale rivista mensile, Stab. tip. S. Morano, 1932, p. 14.
  120. ^ (EN) Keith Hitchins, Romania, Clarendon Press, 1994, p. 52, ISBN 978-01-98-22126-5.
  121. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 333.
  122. ^ Rădulescu e Bitoleanu, pp. 358–360.
  123. ^ Rădulescu e Bitoleanu, p. 365.
  124. ^ (EN) Sheilah Kast e Jim Rosapepe, Dracula is Dead, JR, 2009, p. 313, ISBN 978-18-90-86265-7.
  125. ^ Rădulescu e Bitoleanu, pp. 363-364, 381.
  126. ^ (EN) Ewan W. Anderson, International Boundaries: A Geopolitical Atlas, Psychology Press, 2003, p. 130, ISBN 978-15-79-58375-0.
  127. ^ Vulpe, p. 199.
  128. ^ Clio: rivista trimestrale di studi storici, vol. 38, Edizioni scientifiche italiane, 2002, p. 703.
  129. ^ Alberto Basciani, Un conflitto balcanico: la contesa fra Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud, 1918-1940, Periferia, 2001, p. 35, ISBN 978-88-87-08051-3.
  130. ^ (EN) Joseph Swire, Bulgarian Conspiracy, R. Hale, 1939, p. 31, ISBN 978-05-98-51199-7.
  131. ^ (EN) Giuseppe Motta, Less than Nations: Central-Eastern European Minorities after WWI, Cambridge Scholars Publishing, 2014, pp. 191-193, ISBN 978-14-43-85859-5.
  132. ^ a b Alberto Basciani, Un conflitto balcanico: la contesa fra Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud, 1918-1940, Periferia, 2001, p. 106, ISBN 978-88-87-08051-3.
  133. ^ a b Rădulescu e Bitoleanu, p. 430.
  134. ^ a b c Alberto Basciani, Il trattato di Craiova del 7 settembre 1940 e gli scambi di popolazione tra la Romania e la Bulgaria (1940–1943), pp. 155-175. URL consultato il 14 maggio 2021.
  135. ^ Mariana Cojoc e Magdalena Tiță, Proiezioni territoriali bulgare sul Danubio e sul mar Nero, su Ziua de Constanţa, 23 settembre 2006. URL consultato il 14 maggio 2021.
  136. ^ (RO) Lista delle commissioni archeologiche congiunte formate dalla Romania, su acad.ro. URL consultato il 14 maggio 2021.
  137. ^ Giornata della Dobrugia, su Agerpres, 14 novembre 2019. URL consultato il 14 maggio 2021.
  138. ^ (EN) Charles W. Finkl e Christopher Makowski, Diversity in Coastal Marine Sciences, Springer, 2017, p. 43, ISBN 978-33-19-57577-3.
  139. ^ (EN) Ayşe Zişan Furat e Hamit Er, Balkans and Islam: Encounter, Transformation, Discontinuity, Continuity, Cambridge Scholars Publishing, 2012, p. 42, ISBN 978-14-43-84283-9.
  140. ^ Vulpe, p. 18.
  141. ^ a b c (FR) Anastas Isirkov, Les bulgares en Dobroudja. Apercu historique et ethnographique, Pochon-Jent & Buhler, 1919.
  142. ^ Vulpe, p. 19.
  143. ^ (FR) G. Dănescu, Dobrogea (La Dobroudja). Étude de Géographie physique et ethnographique, Imprimerie de l'Indépendance Roumaine, 1903, pp. 35-36.
  144. ^ Vulpe, pp. 19-20.
  145. ^ a b Cossuto, p. 58.
  146. ^ (EN) Andrew Robarts, Migration and Disease in the Black Sea Region, Bloomsbury Publishing, 2016, p. 12, ISBN 978-14-74-25950-7.
  147. ^ (EN) Lina Winer, Spring Curriculum: Waldorf Kindergarten, LW, 2021, p. 17.
  148. ^ Paul Lachlan MacKendrick, The Dacian Stones Speak, UNC Press Books, 2000, pp. 210-211, ISBN 978-08-07-84939-2.
  149. ^ Plăcintă dobrogeană Igp - Romania, su eurodop.it, 3 febbraio 2021. URL consultato il 14 maggio 2021.
  150. ^ (RO) Doina Păuleanu, Pictori români la Balcic, Monitorul Oficial, 2012, ISBN 978-973-567-788-6.
  151. ^ a b c (EN) Auswärtiges Amt, Documents on German Foreign Policy, 1918-1945, U.S. Government Printing Office, 1957, p. 336.
  152. ^ a b (EN) American Bibliographical Center, Historical Abstracts: Twentieth century abstracts, 1914-2000, vol. 51, 2ª ed., 2000, p. 59.
  153. ^ a b c d e (RO) Censimenti in Dobrugia (PDF), su anr.gov.ro. URL consultato il 14 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015).
  154. ^ a b (RO) Censimento del 2011 (XLS), su recensamantromania.ro. URL consultato il 14 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 15 agosto 2019).
  155. ^ (BG) Censimento del 2001, su nsi.bg. URL consultato il 14 maggio 2021.
  156. ^ a b (BG) Censimento del 2011, su censusresults.nsi.bg. URL consultato il 14 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2015).
  157. ^ (EN) Peter Veen, Richard Jefferson, Jacques de Smidt e Jan van der Straaten, Grasslands in Europe: Of High Nature Value, BRILL, 2009, p. 220, ISBN 978-90-04-27810-3.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Florin Constantiniu, Storia della Romania, Rubbettino Editore, 2015, ISBN 978-88-49-84588-4.
  • Giuseppe Cossuto, Breve storia dei turchi di Dobrugia, vol. 1, Edizioni Isis, 2001, ISBN 978-97-54-28200-9.
  • D.M. Pippidi, I greci nel Basso Danubio: Dall'età arcaica alla conquista romana, Il saggiatore, 1971.
  • (RO) Adrian Rădulescu; Ion Bitoleanu, Istoria Dobrogei, Editura Ex Ponto, 1998, ISBN 978-97-39-38532-9.
  • Radu Vulpe, La Dobrugia attraverso i secoli: evoluzione storica e considerazioni geopolitiche, Editrice "Dacia", 1939.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN154998747 · LCCN (ENn82150359 · GND (DE4012571-3 · J9U (ENHE987007557796005171