Ja'far al-Mushafi

Abū l-Ḥasan Jaʿfar ibn ʿUthmān al-Muṣḥafī o semplicemente Jaʿfar al-Muṣḥafī (in arabo جعفر بن عثمان المصحفي?; ... – Cordova, 983) è stato un politico andaluso, ciambellano dei califfi omayyadi di Cordova, al-Ḥakam II e Hishām II[1].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Proveniva da un'umile famiglia di origine berbera[2] trapiantata a Valencia.[1] Suo padre era stato precettore di al-Ḥakam II, che lo prese sotto la sua protezione e lo nominò segretario[2] personale molto prima della sua ascesa al trono.[1] Godette per tutta la vita della fiducia di al-Ḥakam II,[2] che apprezzava specialmente la sua integrità.[1]

Eccellente poeta[2] e molto raffinato, il califfo lo fece diventare il personaggio più importante della corte, cosa che gli procurò molte invidie.[3]

Durante il regno di ʿAbd al-Raḥmān III, fu governatore di Maiorca[4] e sotto suo figlio, ebbe il controllo e la supervisione di diverse province.[4]

Grazie al favore[5] di al-Ḥakam II, da poco nominato califfo, venne nominato visir e dopo fu posto a capo della polizia della capitale (Sāḥib al-shūrṭa).[1][2][4] Ma importanti famiglie arabe della capitale, vedevano di cattivo occhio il suo potere.[5][6] Queste erano abituate a ricoprire gli incarichii più elevati del governo e consideravano al-Muṣḥafī un parvenu, colpevole di nepotismo quando fu confermato ciambellano da Hishām.[7]

Quando al-Ḥakam II si ammalò, divenne capo del governo[1][8] e il califfo lo pose a capo della guardia berbera che doveva proteggere l'erede al trono.[8] Durante gli ultimi mesi di vita di al-Ḥakam II, provvide a sbarazzarsi di ogni possibile minaccia per il figlio del suo signore,[9] cosa che portò al trasferimento di alcuni importanti berberi nel Maghreb, con la scusa di affidar loro la gestione degli affari della regione, o all'espulsione dei prigionieri idrisidi da Cordova verso Oriente.[10]

Principale sostenitore di Hishām di fronte ai pretendenti adulti della famiglia omayyade, rimase ciambellano[11], assieme ad Almanzor già visir, una volta che questi salì al trono califfale alla morte di suo padre nell'ottobre del 976.[12] Affrontò con successo la potente cricca degli schiavi grazie al sostegno militare della guardia berbera creata da al-Ḥakam II per proteggere suo figlio.[13][14] Ottocento di loro furono espulsi dal Palazzo califfale durante la crisi successoria, quando due dei suoi più importanti rappresentanti avevano invano sostenuto uno zio di Hisham,[15] al-Mughīra,[14] come pretendente al trono.[13] Al-Muṣḥafī finse di accettare l'intento dei cospiratori, per riunire i sostenitori di Hishām.[16] Consapevole che la rimozione di questo a favore di suo zio avrebbe posto fine al suo potere, l'assemblea approvò l'assassinio del pretendente, sebbene nessuno osasse eseguire la condanna fino a quando Almanzor non si offrì volontario.[17] Accompagnato da alcuni soldati di fiducia, si recò alla residenza di al-Mughīra e lo informò della morte del fratello.[17] Spaventato da al-Mughīra, Almanzor consultò al-Muṣḥafī chiedendogli la possibilità di lasciare in vita lo zio, ma il ciambellano negò la richiesta.[17] A seguito dell'insistenza del suo ciambellano,[18] Almanzor ordinò di assassinare il pretendente.[17][19] In questo modo, al-Muṣḥafī compiva l'incarico ricevuto dal defunto califfo di assicurare il trono a suo figlio Hishām.[17]

Confermato come ciambellano da Hishām,[20] collocò tre dei suoi figli e altri parenti stretti in posizioni importanti del governo,[7] con grande contrarietà dei principali membri della famiglia araba che avevano precedentemente ricoperto queste posizioni.[5] La nomina lo elevò alla massima posizione del potere del governo omayyade.[20] Allo stesso tempo, Almanzor fu nominato visir e ottenne la posizione chiave di intermediario tra al-Mushafi, l'amministrazione, il califfo e sua madre, che avevano riposto grande fiducia in lui.[20]

Ben presto, però, commise un grave errore politico: non seppe rispondere con energia alle incursioni degli Stati cristiani e propose misure difensive che non accontentarono Ṣubḥ.[21][22] Almanzor, al contrario, sostenne una risposta militare,[22] e riuscì a comandare le truppe della capitale per condurre una campagna punitiva, iniziata nel febbraio 977.[23][24][25] Il successo di questa impresa segnò l'inizio del declino del potere di al-Muṣḥafī.[23][25] Nonostante la sua precedente inimicizia, cercò di conquistare la simpatia del potente guardiano della frontiera, Ghālib, ricoprendolo di onori e concedendogli un nuovo titolo, quello di doppio visir[5] e tenendolo in prima linea negli eserciti di frontiera.[23] Inizialmente, Ghālib si alleò con Almanzor contro il ciambellano durante la seconda campagna del 977 e ottenne la prefettura della capitale, che fino a quel momento aveva tenuto uno dei figli di al-Muṣḥafī.[6][26] Per rafforzare la sua posizione, chiese la mano di una figlia di Ghālib, Asmāʾ, per uno dei suoi figli, cercando così di stringere un'alleanza tra i due contro Almanzor.[6][26] Accolta inizialmente la proposta, le pressioni della corte, sollecitate da Almanzor, portarono alla rottura del compromesso e fu lo stesso Almanzor a prendere in moglie la figlia di Ghālib.[26][27]

Questa battuta d'arresto e i nuovi successi militari di Ghālib e Almanzor lo portarono a essere nominato secondo ciambellano,[28] situazione inaudita, per volere di Ṣubḥ.[27] Questa nomina segnò la sua rimozione dal potere, nonostante continuasse a detenere il titolo di ciambellano, le cui funzioni erano effettivamente svolte dai suoi due avversari.[27] Alla fine dell'anno cadde definitivamente in disgrazia e Almanzor lo sostituì come ḥājib.[19][26]

Allontanato dal potere insieme ai suoi parenti, fu imprigionato a intermittenza e dovette subire continue umiliazioni per mano di Almanzor e Ghālib, che lo costrinsero a vivere in condizioni miserabili, obbligandolo ad accompagnarli in alcune spedizioni militari.[19] Dopo aver implorato invano il perdono, in diverse occasioni, finì per morire nel 983, forse avvelenato per ordine di Almanzor.[19][28]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Lévi Provençal, 1957, p. 374.
  2. ^ a b c d e Bariani, 2003, p. 66.
  3. ^ Bariani, 2003, p. 87.
  4. ^ a b c Ballestín Navarro, 2004, p. 97.
  5. ^ a b c d Lévi Provençal, 1957, p. 405.
  6. ^ a b c Bariani, 2003, p. 91.
  7. ^ a b Ballestín Navarro, 2004, p. 121.
  8. ^ a b Bariani, 2003, p. 67.
  9. ^ Ballestín Navarro, 2004, p. 99.
  10. ^ Ballestín Navarro, 2004, p. 108.
  11. ^ Ballestín Navarro, 2004, p. 113.
  12. ^ Bariani, 2003, p. 82.
  13. ^ a b Bariani, 2003, p. 83.
  14. ^ a b Bariani, 2003, p. 71.
  15. ^ Ballestín Navarro, 2004, p. 114.
  16. ^ Ballestín Navarro, 2004, p. 115.
  17. ^ a b c d e Ballestín Navarro, 2004, p. 116.
  18. ^ Bariani, 2003, p. 74.
  19. ^ a b c d Bariani, 2003, p. 94.
  20. ^ a b c Ballestín Navarro, 2004, p. 117.
  21. ^ Bariani, 2003, p. 88.
  22. ^ a b Ballestín Navarro, 2004, p. 127.
  23. ^ a b c Bariani, 2003, p. 90.
  24. ^ Lévi Provençal, 1957, p. 404.
  25. ^ a b Ballestín Navarro, 2004, p. 128.
  26. ^ a b c d Lévi Provençal, 1957, p. 406.
  27. ^ a b c Bariani, 2003, p. 92.
  28. ^ a b Lévi Provençal, 1957, p. 407.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]