Torre di Capodiferro

Torre di Capodiferro
Turris ad Mare
Ubicazione
Stato Ducato di Benevento
Bandiera dell'Italia Regno d'Italia
Stato attualeBandiera dell'Italia Italia
RegioneCampania
CittàSessa Aurunca
Coordinate41°13′32.47″N 13°45′55.33″E / 41.225685°N 13.76537°E41.225685; 13.76537
Mappa di localizzazione: Italia
Torre di Capodiferro
Informazioni generali
Costruzione930 circa-960 circa
Materialeopera cementizia
Primo proprietarioPandolfo Capodiferro
Demolizione1943
Condizione attualedistrutta
Proprietario attuale Comune di Sessa Aurunca
Informazioni militari
Utilizzatore Ducato di Benevento
Bandiera dell'Italia Regno d'Italia
OccupantiPrincipi di Benevento
Azioni di guerraGuerra coi Saraceni
Seconda guerra mondiale
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La torre di Capodiferro fu una torre costiera edificata lungo le coste del Mar Tirreno, presso il fiume Garigliano, nel X secolo, distrutta nel XX.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Altra vista della torre di Capodiferro presso la foce del Garigliano

Fu edificata su preesistenti fondazioni romane in opus reticulatum[1] sulla sponda sud del Garigliano dal principe di Benevento Pandolfo Capodiferro |tra il 930 e il 960. Fu anche identificata nelle antiche mappe come "Turris ad Mare". La fortificazione serviva a sorvegliare la foce del fiume da eventuali attacchi dei Saraceni.[2] Faceva parte di un articolato sistema di torri simili edificate lungo tutta la linea di costa e nell'immediato interno, che attraverso l'accensione di fuochi o segnali acustici avvertivano le genti delle città interne della presenza o meno di eventuali truppe ostili. I Saraceni erano stati scacciati dall'area nel 915 da una coalizione guidata da papa Giovanni X. Erano arrivati presso Traetto nell'881 e qui erano rimasti per circa quarant'anni, da qui partivano per devastare e saccheggiare mezza Italia. La torre di avvistamento a pianta quadrata era alta circa 25 metri e circa 13 metri di lato. Il principe Capodiferro per costruirla fece prendere gran parte dei materiali costruttivi e decorativi dalle rovine della vicina città di Minturnae. L'edificazione della torre da parte del principe Pandolfo è attestata da due cippi ora murati nel campanile del duomo di Gaeta[1].

Il presidio entrò nel 1066 tra i possedimenti dell'abate di Montecassino. L'atto di donazione di Riccardo e Giordano, principi di Capua, attesta che il sito era divenuto un piccolo borgo fortificato, con un nucleo di case e una chiesa, circondate da mura.[3] Fu usata anche come faro a partire dal XVII secolo.

La torre sorgeva sulla sponda campana del Garigliano, quasi di fronte al tempio edificato sulla sponda laziale, dove gli Italici prima ed i Romani poi veneravano il culto della ninfa Marica.[4] Alle spalle della torre si estendeva un bosco sacro dedicato a questo culto. La presenza di opus reticulatum fa pensare ad un preesistente edificio di culto per la dea.

Nel 1929 il ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele, la restaurò e ne fece un museo,[5] tuttavia durante la seconda guerra mondiale la torre fu minata, insieme al Ponte Real Ferdinando, dalla Wehrmacht in ritirata dall'avanzata degli anglo-americani e fatta brillare nel dicembre 1943, e la collezione che custodiva finì depredata e dispersa,[6] anche se nel 1985 furono ritrovati una statua di Artemide e la tabula patronatus rubate al museo e poi riesposti in Sessa Aurunca nel 2007.[6]

Il museo[modifica | modifica wikitesto]

Nel Museo della Civiltà aurunca Fedele riunì un grosso numeri di reperti di varie epoche e la sua biblioteca personale. Formavano la raccolta incentrata su pezzi databili tra l'VIII secolo a.C. e il 1936, centinaia di monete d'oro, d'argento e di bronzo delle età romana e medioevale, vasellame ausone, etrusco ed egizio, opere del periodo borbonico, documenti autografi di Mazzini e di Garibaldi e[senza fonte] due reperti trafugati dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale e rimpatriati nel 2007: la Tabula patronatus di Flavio Teodoro e un'Artemide acefala (marmo di età imperiale)[6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Pio Francesco Pistilli, Castelli normanni e svevi in Terra di Lavoro.
  2. ^ Il Passo del Garigliano nella storia d'Italia, su archeologialazio.beniculturali.it, 25 novembre 2015. URL consultato il 20 marzo 2023.
  3. ^ Giovanni Battista Federici, Degli antichi duchi e consoli o ipati della città di Gaeta, Vincenzo Flauto, 1791. URL consultato il 20 marzo 2023.
  4. ^ Cristina Ferrante, Jean-Claude Lacam e Daniela Quadrino, Fana, templa, delubra. Corpus dei luoghi di culto dell'Italia antica (FTD) - 4: Regio I: Fondi, Formia, Minturno, Ponza, Collège de France, 7 aprile 2016, ISBN 978-2-7226-0443-8. URL consultato il 20 marzo 2023.
  5. ^ F.M. Biscione, voce Pietro Fedele, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 16 aprile 2011.
  6. ^ a b c Gianni Ciufo, A casa la statua trafugata dai tedeschi. L’Artemide torna a Minturno, in Il Mattino, 4 aprile 2007. URL consultato il 31 ottobre 2010.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pio Francesco Pistilli, Castelli normanni e svevi in Terra di Lavoro. Insediamenti fortificati in un territorio di confine, San Casciano in Val di Pesa, Libro Co., 2003.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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