Ostindustrie

SS Ostindustrie GmbH
Lavoratrice forzata che indossa un distintivo Ostarbeiter presso l'ex SS Osti Arbeitslager vicino a Łódź in Polonia, gennaio 1945
StatoBandiera della Germania Germania
Altri statiGovernatorato Generale, Polonia
Fondazionemarzo 1943
Chiusuramarzo 1944
Sede principalePolonia occupata
Persone chiaveSS-Obersturmführer Max Horn
SS-Gruppenführer Odilo Globočnik
SettoreManifatturiero
Dipendenti17000

L'Ostindustrie GmbH (abbreviata in Osti) fu uno dei progetti industriali avviati dalle Schutzstaffel che sfruttò il lavoro forzato di ebrei e polacchi durante la seconda guerra mondiale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fu fondata nel marzo 1943 nella Polonia occupata dai tedeschi, la Osti gestiva le imprese industriali ebraiche e polacche confiscate prima della guerra, comprese fonderie, stabilimenti tessili, cave e vetrerie. A capo della Osti ci fu il SS-Obersturmführer Max Horn, subordinato direttamente all'Obergruppenführer Oswald Pohl del WVHA.[1] Al suo apice, lavorarono per l'azienda circa 16000 ebrei e 1000 polacchi, tutti internati in una rete di campi di lavoro e di concentramento nel distretto di Lublino.[1][2] L'SS-Gruppenführer Odilo Globočnik sperava di trasformare la Osti in una compagnia di armamenti, ma rinunciò invece all'idea di perseguire l'operazione Reinhard.[3]

La società fu sciolta prima della controffensiva sovietica del 1944.[1][2][3] L'intera forza lavoro di Osti fu sterminata nel processo di scioglimento della società, durante la fase più letale dell'Olocausto in Polonia.[4]

Operazioni[modifica | modifica wikitesto]

Entro il 16 maggio 1943, la SS Ostindustrie GmbH controllava diverse fabbriche e officine in tutta la Polonia, raggruppate in cinque Werke attive.[5] Questi gruppi includevano:

  • una vetreria a Wołomin (Werk I);
  • una fabbrica di tappeti erbosi a Dorohucza (Werk II);
  • una fabbrica di scope e spazzole a Lublino (Werk III);
  • delle officine a Bliżyn, Radom e Tomaszów (Werk IV) e la Splitwerk, un gruppo che comprendeva una fabbrica di scarpe, una fabbrica di sartoria e una falegnameria presso il Budzyn Arbeitslager;
  • una fabbrica di tappeti erbosi a Radom e una fonderia di ferro a Lublino (Werk V).

Furano in costruzione diversi Werke aggiuntivi, comprese alcune fabbriche di pezzi di ricambio per veicoli, il Trawniki Arbeitslager (Werk VI), i lavori in terra e pietra a Lublino (Werk VII), una fabbrica di sanitari medici (Werk VIII), varie officine di lavoro a Lemberg, e il Poniatowa Arbeitslager (poi trasferito a Többens).[6] Entro la metà del 1943, Globočnik calcolò che la forza lavoro di Osti includesse circa 45000 ebrei provenienti dalla rete di campi paralleli, di cui il principale a Majdanek, ma le infrastrutture nella regione furono insufficienti per sopportare tali numeri.[7][8]

Scioglimento[modifica | modifica wikitesto]

Max Horn credeva che il lavoro forzato ebraico fosse la via del futuro, ma i suoi piani furono fermati dalle rivolte del ghetto di Varsavia e Białystok, l'ultima delle quali si verificò dove era previsto il trasferimento delle fabbriche tessili e di armamenti delle Ostindustrie.[7][9][10] Sulla scia delle rivolte, e con la guerra sul fronte orientale sempre più rivolta contro la Germania, le SS decisero di eliminare i restanti ebrei per prevenire ulteriori disordini.

Il 3 novembre 1943, la forza lavoro di Osti fu liquidata nella sua interezza nel corso dell'Aktion Erntefest: fu il più grande massacro tedesco di ebrei dell'intera guerra, con circa 43000 vittime uccise in tutto il distretto di Lublino a colpi di arma da fuoco in finte trincee anticarro.[11] Successivamente, lo stesso Horn lamentò, in un rapporto a Globočnik, sull'esito dell'Aktion Erntefest: affermò di aver reso Osti "completamente privo di valore attraverso il ritiro [sic] del lavoro ebraico".[12] La società fu ufficialmente sciolta nel marzo 1944.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Lucjan Dobroszycki, Introduction (Ostindustrie), in The chronicle of the Łódź Ghetto: 1941-1944, Yale University Press, 1984, p. lxi, ISBN 0300039247. URL consultato l'11 luglio 2013.
  2. ^ a b c Yad Vashem, Ostindustrie GMBH (PDF), su yadvashem.org, Shoah Resource Center, The International School for Holocaust Studies, 2013. URL consultato l'11 luglio 2013.
  3. ^ a b Peter Longerich, Murders and Deportations 1942–3, in Holocaust: The Nazi Persecution and Murder of the Jews, Oxford University Press, 15 aprile 2010, p. 377, ISBN 978-0-19-280436-5. URL consultato l'11 luglio 2013.
  4. ^ Dan Stone, Histories of the Holocaust, Oxford University Press, 1º settembre 2010, ISBN 978-0191614200. URL consultato l'11 luglio 2013.
  5. ^ Schulte, p. 72.
  6. ^ Schulte, p. 55.
  7. ^ a b (PL) Jakub Chmielewski, Ostindustrie (Osti), su teatrnn.pl, Leksykon Lublin (Ośrodek "Brama Grodzka – Teatr NN"), 2013. URL consultato il 12 luglio 2013.
  8. ^ (PL) Zagłada lubelskich Żydów (Annihilation of Lublin Jews), su teatrnn.pl, Leksykon Lublin (Ośrodek "Brama Grodzka – Teatr NN"), 2013. URL consultato il 12 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 13 luglio 2013).
  9. ^ Szymon Datner, The Fight and the Destruction of Ghetto Białystok, su zchor.org, Kiryat Białystok, Yehud, dicembre 1945.
  10. ^ Geoffrey P. Megargee (a cura di), The United States Holocaust Memorial Museum encyclopedia of camps and ghettos, 1933–1945, II: Ghettos in German-occupied Eastern Europe, Bloomington, Indiana University Press, 2009, pp. 886–871, ISBN 978-0-253-35599-7.
  11. ^ Christopher R. Browning, Arrival in Poland (PDF), su hampshirehigh.com, Penguin Books, 1998 [1992], pp. 135–142. URL consultato il 7 maggio 2013 (archiviato dall'url originale il 1º maggio 2013).
  12. ^ United States Nuremberg Military Tribunals, Max Horn : Business Report II of the Ostindustrie G.m.b.H. for the year 1943, su nuremberg.law.harvard.edu, Nuremberg Trials Project, 13 marzo 1944, pp. 3 of 6. URL consultato l'11 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 21 maggio 2014).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (DE) Jan Erik Schulte, Juden in der Ostindustrie GmbH, a cura di Walter de Gruyter, Institut für Zeitgeschichte, 1º gennaio 2007, pp. 54–56, ISBN 978-3110956856. URL consultato l'11 luglio 2013.
  • Białystok – History, su sztetl.org.pl, Virtual Shtetl (Museum of the History of Polish Jews), pp. 6–7. URL consultato l'11 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2013).

Approfondimenti[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) David Silberklang, Gates of Tears: the Holocaust in the Lublin District, Jerusalem, Yad Vashem, 2013, ISBN 978-965-308-464-3.
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