Corporativismo

Schema dell'Ordinamento Corporativo dello Stato Fascista.

«Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime ma tutela di tutti gli interessi che armonizzano con quelli della produzione e della nazione»

Il termine corporativismo deriva dalle corporazioni delle Arti e dei Mestieri che controllavano la vita cittadina in molte istituzioni comunali nell'Italia medievale. Nella sua accezione attuale, si intende per corporativismo un sistema economico in cui gli scambi ed i rapporti non sono regolati dalle leggi di mercato, prima fra tutte quella di domanda e offerta, ma da affinità sociali, culturali o familiari.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nascita della dottrina sociale cattolica[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Dottrina sociale cattolica.

Nel 1881 papa Leone XIII commissionò a teologi e pensatori uno studio del corporativismo al fine di darne una definizione. Nel 1884, a Friburgo, la commissione dichiarò il corporativismo "un sistema di organizzazione sociale che ha come fondamento il raggruppamento degli uomini in comunità fondate sui loro interessi e sulle loro funzioni sociali. Tali gruppi, in quanto veri e propri organi di Stato, dirigono e coordinano il lavoro e il capitale per quanto riguarda l'interesse collettivo".

Il corporativismo fascista[modifica | modifica wikitesto]

Nell'Italia del XX secolo, dopo essere stato rivitalizzato dall'enciclica Rerum Novarum, il corporativismo divenne una dottrina propria del Fascismo, codificata nella Carta del Lavoro del 1927. Il corporativismo regolò la vita economica e sindacale italiana del ventennio fascista, nel dichiarato intento del regime di creare una "terza via" per la risoluzione dei conflitti tra le classi sociali.

Una volta consolidato il proprio controllo politico sul paese, il fascismo prende l'iniziativa anche in campo economico-sociale. Per dimostrare l'originalità del sistema fascista, egli propone, per i problemi economici, una soluzione che prevede di superare i modelli "antiquati" tanto del liberalismo quanto del socialismo marxista. La ricetta nuova, originale, che dovrebbe, tra l'altro, consentire di eliminare la lotta di classe con la sua conflittualità sociale e il danno che reca allo sviluppo economico, è il corporativismo: lavoratori e datori di lavoro saranno d'ora in poi associati all'interno di un'ampia gamma di corporazioni, corrispondenti alle varie attività economiche e controllate dal governo riunite nella "camera dei fasci e delle corporazioni". Nonostante l'origine sindacal-rivoluzionaria del Fascismo, e nonostante Filippo Corridoni, nel pamphlet "Sindacalismo e Repubblica" indichi nella socializzazione delle imprese l'obiettivo ultimo della nascente "Sinistra Nazionale" Mussolini si troverà in questo senso ingabbiato dall'opposizione a questo progetto da parte delle forze più conservatrici dello stato: monarchia, plutocrazia, massoneria, chiesa. [senza fonte]

Lo stato corporativo rappresenta in fondo, come si evince nella visione di Corradini e di Ugo Spirito, la Destra idealista di stampo Hegeliano: anche nel mondo delle attività commerciali e produttive viene cioè applicato il precetto mussoliniano secondo cui: l'individuo non esiste se non in quanto è nello Stato e subordinato alla necessità dello Stato. Spetta quindi allo Stato, per mezzo delle corporazioni, definire quale sia la giusta mercede invece di affidarsi al vecchio meccanismo della domanda e dell'offerta, scardinando completamente il liberismo economico (la "Corporazione Proprietaria", cioè l'azienda socializzata, decide i prezzi) e guidando l'economia ai superiori interessi dello Stato, senza per questo cadere nella burocratizzazione livellatrice del bolscevismo, utilizzando invece la tassazione come mezzo di pianificazione. In teoria la cosa potrebbe anche funzionare bene se, come sostiene la propaganda fascista, all'interno delle corporazioni capitale e lavoro godessero di eguali diritti. La realtà però è diversa, in quanto i sindacati dei lavoratori sono di norma rappresentati dai funzionari nominati dal partito fascista, laddove le associazioni dei datori di lavoro continuano a godere di un'effettiva autonomia e possono valersi di propri funzionari. Questo per ovvi motivi, in un'economia di tipo liberal-capitalista.

Secondo Mussolini, il corporativismo "è la pietra angolare dello Stato fascista, anzi lo Stato fascista o è corporativo o non è fascista".[1]

Una conferma, però, delle incertezze e della confusione che regna in questo campo è offerta dalla stessa legislazione concernente il meccanismo corporativo: condizione giuridica e competenze delle corporazioni vengono modificate con una serie di leggi e disposizioni che si succedono con scadenza poco meno che annuale.

Un'importante legge dell'aprile 1926 proibisce scioperi e serrate e istituisce una speciale magistratura del lavoro. Tre mesi più tardi, il 2 luglio, viene creato il nuovo ministero delle corporazioni. Le sue attribuzioni risultano piuttosto ampie: ad esso infatti non solo compete il controllo e la regolamentazione dei salari e delle condizioni del lavoro, ma l'alta direzione dell'intera economia nazionale. Lo stesso Mussolini nel dicembre del 1926 si dichiara convinto di poter realizzare, attraverso il meccanismo corporativo, la vera e propria coscrizione, l'arruolamento civile ed economico di tutti gli italiani.

Nell'aprile del 1927 viene pubblicata la Carta del lavoro, salutata come il documento fondamentale della rivoluzione fascista. Secondo il suo autore principale Giuseppe Bottai, grazie a questa carta l'Italia si trova ad essere il paese più avanzato del mondo nel campo della legislazione del lavoro. Infatti viene istituito il tribunale del lavoro, che giudica dei conflitti fra capitale e lavoro al di fuori delle rivendicazioni violente di entrambe le parti in base al principio che, se non ci si può fare giustizia da soli in campo civile e penale, questo sarà vietato anche sul luogo di lavoro (no a scioperi e serrate, già ribadito in precedenza).

A questo si aggiunge l'imponente legislazione sociale del fascismo, di cui ricordiamo, per completezza, solo alcuni provvedimenti molto importanti: Tutela lavoro donne e fanciulli - (R.D. 653/1923); Maternità e infanzia - (R.D. 2277/1923); Assistenza ospedaliera per i poveri - (R.D. 2841/1923); Assicurazione contro la disoccupazione - (R.D. 3158/1923); Assicurazione invalidità e vecchiaia - (R.D. 3184/1923); Riforma “Gentile” della scuola - (R.D. 2123/1923); Assistenza illegittimi e abbandonati - (R.D. 798/1927); Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi - (R.D. 2055/1927); Esenzioni tributarie famiglie numerose - (R.D. 312/1928); Assicurazione obbligatoria contro malattie professionali - (R.D. 928/1929); Opera nazionale orfani di guerra - (R.D. 1397/1929); Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro I.N.A.I.L. - (R.D. 264/1933); Istituzione libretto di lavoro - (R.D. 112/1935); Istituto nazionale per la previdenza sociale I.N.P.S. - (R.D. 1827/1935); Riduzione settimana lavorativa a 40 ore - (R.D. 1768/1937); Ente comunale di assistenza E.C.A. - (R.D. 847/1937); Assegni familiari - (R.D. 1048/1937); Casse rurali ed artigiane - (R.D. 1706/1937); Tessera sanitaria per addetti servizi domestici - (R.D. 1239 23/06/1939); Istituto nazionale per le assicurazioni contro le malattie I.N.A.M. - (R.D. 318/1943)...

In ogni caso, alla gestione dell'economia italiana il sistema macchinoso delle corporazioni offre un contributo scarso o nullo. Anzi, il costoso esercito di burocrati che vi presiede costituisce più spesso un freno e un inceppo ai processi economici piuttosto che uno stimolo. Alla fine saranno gli stessi capi fascisti, almeno i più onesti, tra cui Bottai, ad ammettere il fallimento del sistema corporativo.

In pratica durante il ventennio fascista il corporativismo fu il massimo di "rivoluzionarietà" a cui il Duce potesse realisticamente ambire. Le cose cambiarono con l' avvento della Repubblica sociale italiana e con la conseguente fuga di parte dei poteri plutocratici che fino allora avevano tenuto in ostaggio ogni velleità rivoluzionaria. Se il corporativismo inserito in un'ottica sociale di interessi divergenti tra proprietari e dipendenti appare utopistico e demagogico, diversa è la situazione in un sistema economico aziendale socializzato nel quale tutti hanno uguali diritti e doveri, senza più padroni e dipendenti. In tal caso il corporativismo si rende necessario come organo facente le funzioni dell' estinto padrone. In quanto in un'azienda senza più proprietari, a sostituire il padrone altro non può esserci che un'assemblea di tutti i lavoratori che possiedono l' azienda, la qual cosa è per l'appunto, il Corporativismo.

«I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio»

Il Decreto del Duce n. 853 del 20 dicembre 1943 costituisce la Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti (C.G.L.T.A.) come la base del sistema corporativo della RSI. Il suo scopo era di fare da contenitore organizzativo di tutte le singole corporazioni, rifondate sulla base delle nuove regole stabilite nel Congresso di Verona. Secondo queste regole le corporazioni avrebbero rappresentato ognuna un settore produttivo secondo lo schema già esistente, e avrebbero rappresentato ogni ambito produttivo ed indirettamente ogni lavoratore secondo una logica organicistica in previsione della creazione della democrazia organica.

Stato Corporativo[modifica | modifica wikitesto]

La concezione dello Stato Corporativo risponde alla necessità di superare i limiti dello Stato Liberale e dello Stato Socialista. Lo Stato fondato sul corporativismo è di difficile attuazione nella sua forma più pura, in quanto rappresenta l’ideale stato della società civile in cui i governanti appartengono ad una categoria del tutto avulsa dalla produzione: non è la classe dirigente dello Stato liberale né di quello Socialista. La classe dirigente del sano Stato Corporativo è e deve essere super partes. Se non fosse super partes si trasformerebbe nella cinghia di trasmissione degli interessi della classe dominante. Ciò implica l'impossibilità di attuare uno Stato pienamente corporativo in un contesto democratico, in quanto la democrazia contempla insita in sé stessa pure lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

In Italia, solo Paese dove tale principio aveva trovato applicazione, il secondo conflitto mondiale infranse l'esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell'isolamento internazionale provocate dalle sanzioni e dall'autarchia.

Le corporazioni durante il regime fascista[modifica | modifica wikitesto]

La legge del 5 febbraio 1934 stabilì le 22 corporazioni:

  • Cereali
  • Orto-floro-frutticoltura
  • Viti-vinicola e olearia
  • Zootecnia e pesca
  • Legno
  • Tessile
  • Abbigliamento
  • Siderurgia e metallurgia
  • Meccanica
  • Chimica
  • Combustibili liquidi e carburanti
  • Carta e stampa
  • Costruzioni edili
  • Acqua, gas, ed elettricità
  • Industrie estrattive
  • Vetro e ceramica
  • Comunicazioni interne
  • Mare e aria
  • Spettacolo
  • Ospitalità
  • Professioni e arti
  • Previdenza e credito[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dal discorso del 1º ottobre 1930 in Valentino Piccoli, Carlo Ravasio, Scritti e discorsi di Benito Mussolini, Hoepli, Milano, 1934
  2. ^ Il manuale delle guardie nere, Ed. reprint
  3. ^ Marco Palla, Mussolini e il fascismo, Collana XX secolo, Giunti editore, pag. 74

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Scritti di teorici del corporativismo

  • Agatino Amantia, Principii di economia politica generale e corporativa, vol. 1, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1925.
  • Agatino Amantia, Principii di economia politica generale e corporativa, vol. 2, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1927.

Saggi

  • Matteo Pasetti, L'Europa corporativa. Una storia transnazionale tra le due guerre mondiali Copertina flessibile, Bononia University Press, 2016, ISBN 9788869231407.
  • Alessio Gagliardi, Il corporativismo fascista, Laterza, 2010, ISBN 978-8842091196.

Altri

  • Petacco Arrigo, Il comunista in camicia nera, Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini - Mondadori - 1997.
  • Giano Accame, Il Fascismo immenso e rosso - Settimo Sigillo - 1990.
  • Paolo Buchignani, Fascisti rossi - Mondadori - 1998.
  • L. L. Rimbotti, Il fascismo di sinistra. Da Piazza San Sepolcro al Congresso di Verona - Settimo Sigillo - 1989.
  • Realino Marra, Aspetti dell’esperienza corporativa nel periodo fascista, in «Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova», XXIV-1.2, 1991-92, pp. 366-79.
  • E. Landolfi, Ciao, rossa Salò. Il crepuscolo libertario e socializzatore di Mussolini ultimo - Edizioni dell'Oleandro - 1996.
  • Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, collana:problemi di storia. Mursia,Milano.1972

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