Chiesa cattolica in Turchia

Chiesa cattolica in Turchia
Vista aerea dei resti della chiesa di San Giovanni apostolo ed evangelista a Efeso
Anno2022[1]
Cristiani
0,20%[1]
Cattolici0,10%[1]
Popolazione85.561.976[1]
Parrocchie54
Presbiteri58
Seminaristi4
Diaconi permanenti2
Religiosi59
Religiose54
Presidente della
Conferenza episcopale
Martin Kmetec, O.F.M.Conv.
Nunzio apostolicoMarek Solczyński
CodiceTR

La Chiesa cattolica in Turchia è parte della Chiesa cattolica universale, in comunione con il vescovo di Roma, il papa.
I cattolici sono circa 53.000 (2013), pari allo 0,07 % della popolazione della Turchia, che è in stragrande maggioranza islamica.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Età antica[modifica | modifica wikitesto]

L'Anatolia è stata una delle prime aree di diffusione del Cristianesimo. San Paolo, uno dei più grandi apostoli della Chiesa, nacque in Anatolia; tra le sue lettere alcune sono dirette a chiese anatoliche quali Efeso e Colosse. San Giovanni Apostolo nel suo libro dell'Apocalisse scrive a sette chiese al tempo esistenti: Efeso, Pergamo, Tiatira, Filadelfia, Sardi, Laodicea e Smirne (l'unica esistente ancora oggi). Nell'antichità la regione fu sede dei primi, decisivi, concili ecumenici. Costantinopoli è fin dal 381 sede di Patriarcato. Secondo un'antica tradizione, la Madre di Gesù avrebbe abitato negli ultimi anni di vita in una casa a nove km a sud di Efeso, su un fianco dell'antico monte Solmisso. Il luogo è tuttora visitabile ed è denominato «Madre Maria» (in turco Meryem Ana).

Età bizantina[modifica | modifica wikitesto]

Quattro secoli dopo la nascita dell'islam, l'Anatolia era ancora nella quasi totalità cristiana.
A partire dall'XI secolo il numero dei cristiani iniziò a decrescere costantemente. Alla metà del XV secolo la cristianità anatolica contava solamente mezzo milione di fedeli[2].

Età ottomana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cristianesimo in Turchia.

Nell'Impero ottomano convissero musulmani, cristiani (ortodossi, cattolici, armeni e siriaci) ed ebrei. Le "Genti del Libro" (cristiani ed ebrei) furono considerate dhimmi: ad esse fu risparmiato l'obbligo di conversione all'islam, ma ebbero uno status giuridico inferiore a quello dei musulmani. Fu sempre loro vietata, inoltre, ogni attività missionaria[3].

Le minoranze religiose erano inquadrate per gruppi (millet) in uno speciale sistema amministrativo. I millet potevano gestire autonomamente il diritto civile (compreso il diritto di famiglia). La legge ottomana riconosceva al capo religioso anche il ruolo di capo civile della comunità. Egli otteneva quindi la giurisdizione di governatore civile dei suoi correligionari e rappresentava la propria comunità di fronte al Sultano e alla sua amministrazione.

Nel XIX secolo, grazie all'influsso della Francia, Paese con cui gli Ottomani mantenevano stabili relazioni diplomatiche, ottennero lo statuto di millet quattro chiese cattoliche: la Chiesa armeno-cattolica, la Chiesa cattolica caldea, la Chiesa cattolica greco-melchita e la Chiesa cattolica sira[4].

Oggi[modifica | modifica wikitesto]

I cattolici di oggi seguono diversi riti: bizantino, latino, armeno, caldeo. Vi sono inoltre altre minoranze cristiane, fra le quali particolare importanza storica hanno gli ortodossi legati al patriarcato di Costantinopoli.
Per la legge turca è lecito cambiare religione, ma ciò non corrisponde ai fatti: chi si converte subisce ritorsioni, sia da parte delle istituzioni sia da parte di elementi della società[5]. Inoltre, la religione è dichiarata nella carta d'identità, "cosicché i cristiani di fatto sono considerati cittadini di seconda classe"[6]
Le Chiese cristiane non sono riconosciute dallo stato e subiscono molte limitazioni: non possono avere seminari, scuole, erigere nuovi luoghi di culto.
Durante l'Anno Paolino (28 giugno 2008 - 29 giugno 2009), celebrato per ricordare il bimillenario della nascita di San Paolo, originario di Tarso, la chiesa locale è stata riaperta al culto, ma al termine dell'anno è stata nuovamente chiusa ed è ritornata ad essere sede museale (ciò significa che si deve pagare un biglietto per entrare nell'edificio sacro). Solamente nel maggio 2010 le autorità turche hanno tolto l'obbligo di pagare l'ingresso nella chiesa.

Gli episodi più recenti di uccisioni di cattolici in Turchia sono:

  • 5 febbraio 2006: assassinio di un sacerdote italiano a Trebisonda, don Andrea Santoro;
  • 16 dicembre 2007: padre Adriano Franchini, cappuccino italiano da 27 anni in Turchia, viene accoltellato a Smirne da un diciannovenne;
  • 3 giugno 2010: mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia, viene assassinato nella sua abitazione ad Alessandretta dal suo autista, il ventisettenne Murat Altun.

La Chiesa cattolica in Turchia ha ricevuto le visite pastorale di Paolo VI nel 1965, di Giovanni Paolo II nel 1979, di Benedetto XVI nel 2006 e di Francesco nel 2014.

Struttura ecclesiastica[modifica | modifica wikitesto]

Nunziatura apostolica[modifica | modifica wikitesto]

La delegazione apostolica di Costantinopoli fu eretta nella seconda metà del XIX secolo.

L'internunziatura apostolica di Turchia è stata eretta il 25 gennaio 1960.

La nunziatura apostolica di Turchia è stata istituita il 30 agosto 1966 con il breve Optimo sane di papa Paolo VI.

Il nunzio apostolico è responsabile anche per l'Azerbaigian.

Delegati apostolici[modifica | modifica wikitesto]

Nunzi apostolici[modifica | modifica wikitesto]

Conferenza episcopale[modifica | modifica wikitesto]

Elenco dei presidenti della Conferenza episcopale della Turchia:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d (EN) Most Christian Countries 2022, su worldpopulationreview.com. URL consultato il 4 marzo 2022.
  2. ^ Claudio Monge, Essere cristiani in Turchia, su giovaniemissione.it. URL consultato il 3 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2016).
  3. ^ A. Riccardi, p. 65.
  4. ^ A. Riccardi, p. 64.
  5. ^ Rodolfo Casadei, Il sangue dell'agnello, Milano, Guerini, 2008.
  6. ^ Il Riformista, 18 aprile 2010.
  7. ^ Turchia: morto per Covid mons. Rubén Tierrablanca, vescovo del dialogo e dell'accoglienza. "Apparteniamo tutti a una casa comune", in Agensir, 23 dicembre 2020. URL consultato il 24 dicembre 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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