Oljeitu

Öljaitü
Oljeitu e ambasciatori della Dinastia Yuan (1438, dal Majmaʿ al-Tawārīkh)
Ilkhan
In carica9 luglio 1304 –
16 dicembre 1316
Incoronazione19 luglio 1304
PredecessoreGhazan
SuccessoreAbu Sa'id
Viceré del Khorasan
In carica1296 –
1304
PredecessoreNirun Aqa
SuccessoreAbu Sa'id
Nome completoGhiyath al-Din Muhammad Khudabanda Öljaitü Sultan
Nascita1280[1]
MorteSoltaniyeh, 16 dicembre 1316
Luogo di sepolturaMausoleo di Oljeitu
DinastiaIlkhanato
PadreArghun
MadreUruk Khatun
FigliBastam
Bayazid
Tayghur
Sulayman Shah
Abu'l Khayr
Abu Sa'id
Ilchi (presunto)
Dowlandi Khatun
Sati Beg
Sultan Khatun
Religionebuddhismo (fino al 1291)
cristianesimo (fino al 1295)
sunnismo (fino al 1310)
sciismo (fino alla sua morte)[2]

Oljeitu (1280Soltaniyeh, 16 dicembre 1316) è stato l'ottavo Īlkhān a Tabriz dal 1304 al 1316. Il suo nome "Ölziit" significa "benedetto" in lingua mongola.

Oljeitu (in persiano اولجایتو‎), Öljeitü, Olcayto o Uljeitu, Öljaitu, Ölziit (mongolo ᠦᠯᠵᠡᠢᠲᠦ ᠺᠬᠠᠨ, ossia Oljeitu Ilkhan, Өлзийт Хаан), noto anche come Muḥammad khodābande (in persiano محمد خدابنده - اولجایتو‎), che significa "uomo di Dio" o "servo di Dio", era figlio dell'Ilkhan Arghun, fratello e successore di Ghazan Khan (5º successore di Gengis Khan), e bisnipote del fondatore dell'Ilkhanato, Hulagu.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Il mausoleo di Oljeitu a Soltaniyeh.

Oljeitu era figlio della terza moglie di Arghun, la cristiana Uruk Khatun.[3] Oljeitu fu battezzato come cristiano e ricevette il nome di Nicola da papa Nicola IV. Era da principio soprannominato "kharbande" (in persiano "asinaio"), con valenza apotropaica,[4] mutato poi, per evitare irrisioni, in "khodabande" (schiavo di Dio).[5] Nella prima gioventù si convertì al Buddismo e poi all'Islam sunnita, assieme a suo fratello Ghazan Khan. Più tardi abbracciò la variante sciita dell'Islam, dopo essere entrato in contatto con dotti sciiti,[6] malgrado altre fonti indichino che egli si sarebbe convertito all'islam grazie a sua moglie.[7] Cambiò il suo nome proprio nel nome islamico Muḥammad. Alcuni tra i suoi parenti e amici gli dettero il soprannome di Khodabande. Rashīd al-Dīn Hamadānī scrisse che egli assunse il nome Oljeitu per omaggio dell'Imperatore Yuan Oljeitu Temur, salito al trono a Khanbaliq. Tuttavia alcune fonti musulmane affermano che aveva il nome mongolo Oljeitu (che significa "buon auspicio") fin dalla nascita.

Dopo essere succeduto al fratellastro Ghazan, Oljeitu fu fortemente influenzato da teologi sciiti quali al-'Allama al-Hilli[8] e Ibn Maytham al-Bahrani.[9] Nel 1306, Oljeitu fondò la città di Soltaniyeh,[10] e, alla morte di al-Hilli, Oljeitu traslò i resti del suo Maestro da Baghdad nell'edificio a cupola che fece erigere per lui a Soltaniyeh. In seguito, disgustato dalle continue liti tra hanafiti e sciafeiti, Oljeitu cambiò definitivamente il proprio orientamento religioso abbracciando ufficialmente lo sciismo nel 1310, nella convinzione che esso rappresentasse l'Islam più autentico. Si dice che Mirkhond attribuisse a lui l'avvio della pratica di strappare bimbi ebrei e cristiani alle loro famiglie perché fossero educato come musulmani secondo la pratica in auge durante il tardo periodo ottomano, definita Devshirme.[10]

Nel 1309, Öljeitu fondò una Dār al-Siyāda ("Sede della Signoria") a Shiraz (Irane la dotò di un fondo ammontante a 10.000 dīnār annui.

Morì a Soltaniyeh, presso Qazwīn, nel 1316, dopo aver regnato per dodici anni e nove mesi.[10] In seguito, Rashīd al-Dīn Hamadānī fu accusato di averne causato la morte per veleno e fu giustiziato.
A Oljeitu succedette suo figlio Abū Saʿīd. Il suo magnifico mausoleo a Soltaniyeh resta il più noto monumento della Persia ilkhanide.

Relazioni con l'Europa[modifica | modifica wikitesto]

Contatti commerciali[modifica | modifica wikitesto]

Le relazioni commerciali con le potenze europee furono intense durante il suo regno. I Genovesi erano stati i primi a presentarsi nella sua capitale di Tabriz nel 1280 e qui nominarono un loro Console residente nel 1304. Oljeitu concesse pieni diritti di commercio ai Veneziani con un trattato del 1306 (un altro accordo simile fu firmato dal figlio Abū Saʿīd nel 1320).[11] Secondo Marco Polo, Tabriz era specializzata nella lavorazione di oro e seta, e i mercanti occidentali potevano acquistare pietre preziose in quantità.[11]

Alleanza militare[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Alleanza tra Mongoli e Crociati.
Guerrieri mongoli al tempo di Oljeitu, nel Jāmiʿ al-tawārīkh di Rashid al-Din Hamadani (1305-1306).
Lettera di Oljeitu a Filippo il Bello (1305) nella classica scrittura mongola, col sigillo del Gran Khan in scrittura quadrata mongola (Dörböljin Bichig). Il rotolo, di grandi dimensioni, misura 302x50 cm.
Traduzione della missiva di Oljeitu da parte di Buscarello di Gisolfo, sul retro della lettera (qui visibile).
Ghazan e suo fratello Oljeitu.

Sulla medesima direttiva del padre Arghun, Oljeitu proseguì nella sua politica di apertura nei confronti dell'Occidente cristiano europeo, e ridestò le speranze mongole di un'alleanza tra le nazioni cristiane e i Mongoli, in funzione ostile ai Mamelucchi, malgrado Oljeitu stesso si fosse convertito all'Islam.

Ambasceria del 1305[modifica | modifica wikitesto]

Nell'aprile del 1305, inviò un'ambasceria mongola, guidata da Buscarello di Gisolfo, al re di Francia Filippo il Bello,[12] Papa Clemente V ed Edoardo I d'Inghilterra. La lettera a Filippo IV, l'unica che sia giunta fino a noi, descrive le virtù della concordia tra Mongoli e Franchi:

«Noi, Sultan Oljeitu. Noi parliamo. Noi, che per la potenza del Cielo, siamo saliti al trono (...), noi, discendenti di Gengis Khan (...). In verità, non vi può essere cosa migliore della concordia. Se nessuno è in concordia con altri o con noi stessi, allora ci difenderemo congiuntamente. Lascia che il Cielo decida!»

Egli spiega anche che i conflitti intestini tra i Mongoli sono stati al momento superati:

«Ora tutti noi, Timur Khagan, Čapar, Toctoga, Togba[14] e noi stessi, principali discendenti di Genghis Khan, tutti noi, discendenti e fratelli, ci siamo riconciliati grazie all'ispirazione e all'aiuto di Dio. Così, dal Nangkiyan (Cina) in Oriente, al lago Dala, il nostro popolo è unito e le strade sono aperte.»

Questo messaggio rassicurò le nazioni europee che l'alleanza franco-mongola, o almeno gli sforzi per conseguirla, non erano cessati, anche se gli Ilkhan s'erano convertiti all'Islam.[16]

Ambasceria del 1307[modifica | modifica wikitesto]

Un'ulteriore ambasceria fu inviata in Occidente nel 1307, condotta da Tommaso Ugi di Siena, un Italiano descritto come un ildüchi ("portatore di spada") di Oljeitu.[17] Questa ambasceria incoraggiò papa Clemente V a parlare nel 1307 della forte possibilità che i Mongoli potessero restituite [alla Cristianità] la Terrasanta e dichiarare che l'ambasceria mongola inviata da Oljeitu aveva "riscosso il suo plauso come fosse nutrimento spirituale".[18] I rapporti furono abbastanza calorosi: nel 1307, il Papa nominò Giovanni da Montecorvino primo arcivescovo di Khanbaliq (anche detta Dadu, fu la capitale della Dinastia Yuan fondata da Kublai Khan) e Patriarca dell'Oriente.[19]

Le nazioni europee furono concordi nell'attivarsi per preparare una nuova Crociata, ma persero tempo. Un memorandum siglato dal Gran Maestro degli Ospitalieri, Guillaume de Villaret, circa i piani militari della Crociata immaginavano un'invasione mongola della Siria come preliminare a un intervento cristiano tra il 1307 e il 1308).[20] Un corpo militare di specialisti "franchi" di mangani si sa che accompagnò l'esercito ilkhanide nella conquista di Herat del 1307.[21] I Mongoli assediarono a lungo il castello del Gīlān finché epidemie e carenza di vettovaglie non obbligarono gli abitanti del Gīlān ad arrendersi ai Mongoli e a sottomettersi al loro potere, dando modo a Oljeitu di punire i Kartidi di Herat.

Operazione militare del 1308[modifica | modifica wikitesto]

L'Imperatore bizantino Andronico II Paleologo dette in sposa a Oljeitu una sua figliola e chiese l'aiuto dell'Ilkhan contro la crescente potenza degli Ottomani. Nel 1305, Oljeitu promise al suocero 40.000 uomini e nel 1308 inviò 30.000 guerrieri a recuperare numerose città bizantine in Bitinia e l'esercito ilkhanide sbaragliò un distaccamento del Sultano ottomano Osman I.[22]

Ambasceria del 1313[modifica | modifica wikitesto]

Il 4 aprile 1312, una Crociata fu proclamata da papa Clemente V al Concilio di Vienne. Un'altra ambasceria fu inviata da Oljeitu in Occidente e a Edoardo II d'Inghilterra nel 1313.[23] Quello stesso anno, il re francese Filippo il Bello "vestì la croce", facendo voto di andare in una Crociata in Levante, rispondendo così all'invito di Clemente V per una Crociata, pur messo in guardia da Enguerrand de Marigny.[24] Morì tuttavia poco dopo in un incidente di caccia.[25]

Infine Oljeitu lanciò un'ultima campagna militare contro i Mamelucchi (1312–13), senza cogliere però un significativo successo, sebbene qualche fonte affermi che egli abbia conquistato per un breve periodo Damasco.[10]

Più tardi il figlio di Oljeitu, Abū Saʿīd, firmò il Trattato di Aleppo coi Mamelucchi nel 1322.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Linda Komaroff, Beyond the Legacy of Genghis Khan, BRILL, 2012, p. 19, ISBN 978-90-04-24340-8.
  2. ^ (EN) Michael Hope, Power, Politics, and Tradition in the Mongol Empire and the Īlkhānate of Iran, Oxford University Press, 2016, p. 185, ISBN 978-01-98-76859-3.
  3. ^ James D. Ryan, "Christian wives of Mongol khans: Tartar queens and missionary expectations in Asia",, in Journal of the Royal Asiatic Society, vol. 8, n. 9, novembre 1998, pp. 411–421.
  4. ^ Bernardini-Guida, I Mongoli, p. 116.
  5. ^ "Arghun had one of his sons baptized, "khordadbande"... Khodabandah, the future Öljeitu, and in the Pope's honour, went as far as giving him the name Nicholas", Histoire de l'Empire Mongol, Jean-Paul Roux, p. 408
  6. ^ Saeed Alizadeh, Alireza Pahlavani, Ali Sadrnia, Iran: A Chronological History, 1992, p. 137.
  7. ^ Sir Thomas Walker Arnold, The preaching of Islam: a history of the propagation of the Muslim faith, p. 197
  8. ^ al-Ḥasan ibn Yūsuf ibn al-Muṭahhar al-Ḥillī, detto "il grande sapiente di al-Ḥilla" (in arabo العلامة الحلي?, al-ʿAllāma al-Ḥillī).
  9. ^ Ali Al Oraibi, Rationalism in the school of Bahrain: a historical perspective, in Lynda Clarke (a cura di), Shīʻite Heritage: Essays on Classical and Modern Traditions, Global Academic Publishing, 2001, p. 336.
  10. ^ a b c d John Stevens, The history of Persia. Containing, the lives and memorable actions of its kings from the first erecting of that monarchy to this time; an exact Description of all its Dominions; a curious Account of India, China, Tartary, Kermon, Arabia, Nixabur, and the Islands of Ceylon and Timor; as also of all Cities occasionally mention'd, as Schiras, Samarkand, Bokara, &c. Manners and Customs of those People, Persian Worshippers of Fire; Plants, Beasts, Product, and Trade. With many instructive and pleasant digressions, being remarkable Stories or Passages, occasionally occurring, as Strange Burials; Burning of the Dead; Liquors of several Countries; Hunting; Fishing; Practice of Physick; famous Physicians in the East; Actions of Tamerlan, &c. To which is added, an abridgment of the lives of the kings of Harmuz, or Ormuz. The Persian history written in Arabick, by Mirkond, a famous Eastern Author that of Ormuz, by Torunxa, King of that Island, both of them translated into Spanish, by Antony Teixeira, who liv'd several Years in Persia and India; and now render'd into English.
  11. ^ a b Jackson, p. 298
  12. ^ Mostaert and Cleaves, pp. 56-57, Source Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive.
  13. ^ Citato in Jean-Paul Roux, Histoire de l'Empire Mongol, p. 437
  14. ^ Khan del Khanato Chagatai (1282–1307).
  15. ^ Source, su cosmovisions.com.
  16. ^ Jean-Paul Roux, Histoire de l'Empire Mongol ISBN 2-213-03164-9, p. 437
  17. ^ Peter Jackson, p. 173
  18. ^ Peter Jackson, The Mongols and the West, p. 171
  19. ^ Foltz, p. 131
  20. ^ Peter Jackson, p. 185
  21. ^ Peter Jackson, The Mongols and the West, p. 315
  22. ^ I. Heath, Byzantine Armies: AD 1118–1461, pp. 24–33.
  23. ^ Peter Jackson, p. 172
  24. ^ Jean Richard, "Histoire des Croisades", p. 485
  25. ^ Richard, p. 485

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Khan dell'Ilkhanato di Persia Successore
Ghazan (1295-1304) 1304–1316 Abū Saʿīd (1316-1335)
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