Vestigia (biologia)

Sono considerate vestigia (dal latino vestigium, impronta, orma) quegli elementi di un organismo (per esempio l'Uomo) che in esso persistono, ma che hanno perso del tutto la funzionalità che invece avevano in un antenato o nell'embrione.

Si possono individuare due tipi di vestigia: filogenetico e ontogenetico. Nel primo caso un esempio classico è l'appendice vermiforme, residuo intestinale erbivoro, nel secondo l'ombelico.

Un elemento vestigiale può non aver alcun ruolo nell'organismo, come l'epooforon nella donna, oppure può avere ancora qualche funzione, come i denti del giudizio[1], o ancora aver cambiato funzione, come il sacco vitellino nell'embrione umano.

Nell'essere umano[modifica | modifica wikitesto]

Verso la fine del XIX secolo, nel contesto dell'affermarsi della teoria evoluzionistica, vennero definiti vestigiali diversi organi umani[2] cui più tardi venne invece riconosciuta una funzione effettiva, come il timo.

Tra gli ultimi elementi che si consideravano vestigia nell'uomo, ma ne è stata dimostrata una funzione[senza fonte], vi sono:

Plica semilunare, residuo della membrana nittitante che in altri mammiferi, negli uccelli, nei rettili e negli anfibi è molto più sviluppata e può essere distesa sull'occhio, a palpebra aperta, svolgendo una funzione di protezione e lubrificazione.
  • I muscoli erettori del pelo. Negli animali con pelo folto permettono di aumentare la capacità coibentante della pelliccia e, in certi casi, di apparire più massicci ai nemici.[1]
  • i peli folletto, ossia peli atrofizzati (che ricoprono quasi tutta la superficie del nostro corpo) che una volta formavano una folta pelliccia. Essi sono difficili da notare perché estremamente fini e non pigmentati.
  • la plica semilunare della congiuntiva dell'angolo interno dell'occhio, residuo della membrana nittitante
  • il coccige residuo della coda.[1]
  • l'organo vomeronasale attualmente scollegato dall'encefalo, in passato serviva ad avvertire i feromoni sprigionati da altri individui.[1]
  • tubercoli di Darwin (in una piccola percentuale della popolazione): residuo dell'articolazione grazie alla quale gli animali possono muovere e orientare i padiglioni auricolari.[1]
  • l'appendice vermiforme residuo di una parte ancestrale di intestino.
  • il gene che codifica per l'enzima L-gulonolattone ossidasi: è presente nel genoma umano e degli animali superiori ma nell'uomo e nella cavia non codifica per nessun enzima. È definito pseudogene.
  • la dentatura eterodonte. In virtù delle moderne abitudini alimentari non è più necessaria la differenziazione funzionale tra i denti (in particolare i canini).
  • il muscolo palmare lungo, un muscolo residuale dell'avambraccio, incostante o assente negli umani moderni, la cui presenza non sembra apportare funzionalità articolare né forza fisica.

Negli altri animali[modifica | modifica wikitesto]

Organi vestigiali ed evoluzione delle specie[modifica | modifica wikitesto]

Oggi gli organi vestigiali sono interpretati come "relitti evolutivi" che erano funzionali negli antenati. Poiché la loro esistenza sarebbe difficilmente spiegabile nell'ipotesi di fissità delle specie, essa costituisce una prova dell'evoluzione.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Gli organi che l'evoluzione ha reso inutili, su focus.it. URL consultato il 7 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 12 dicembre 2009).
  2. ^ R.Wiedersheim, The structure of man an index to his past history (TXT), MacMillan, 1895.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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