Sollicitatio ad turpia

Sollicitatio ad turpia (latino, "provocazione a cose oscene") è un'espressione del diritto canonico della Chiesa cattolica che si riferisce alla situazione in cui un chierico (presbitero o vescovo) usa la circostanza del sacramento della penitenza per provocare il o la penitente ad alcun tipo di pratica sessuale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dal XVI secolo la Chiesa lo considera come un crimine, oltre che una violazione morale. Definito abuso del sacramento della penitenza esso divenne, dapprima in Spagna (1559 e 1561) poi in Portogallo (1608) e successivamente in tutto il mondo cattolico (1622), soggetto al procedimento inquisitoriale[1].

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Il Codice di diritto canonico commina una pena che può arrivare anche alla dimissione dallo stato clericale a chi lo pratica (cfr. can. 1387). La falsa denuncia del confessore da parte del penitente per questo delitto comporta la pena canonica dell'interdetto latae sententiae per il colpevole (cfr. can. 1390), ed in più la proibizione di ricevere l'assoluzione sacramentale prima di aver ritrattato la falsa denuncia ed aver riparato gli eventuali danni (cfr. can. 982).

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Dizionario storico dell'inquisizione, diretto da Adriano Prosperi, con la collaborazione di Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, Pisa, Edizioni della Normale, 2010, ISBN 978-88-7642-323-9.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]