Resa incondizionata

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La resa incondizionata è il trattato secondo cui una parte accetta di arrendersi al nemico senza avanzare alcun tipo di pretesa (né territoriale, né politica, né economica o militare).

Nella storia[modifica | modifica wikitesto]

La "formula" della resa incondizionata divenne nota durante la guerra di secessione dove venne codificata e imposta dal generale Ulysses Simpson Grant. Nel corso della seconda guerra mondiale, il presidente Franklin Roosevelt fece la famosa dichiarazione alla conferenza di Casablanca in cui proclamava che la "resa incondizionata" sarebbe stata imposta alle potenze nemiche Italia, Germania e Giappone[1].

Definizione[modifica | modifica wikitesto]

Anche se la debellatio ha costituito l'esito delle due maggiori guerre del Novecento, resta vero anche in questo secolo ciò che avveniva in passato: molto spesso, le guerre si sono concluse con trattati che negoziavano condizioni di resa, in cui lo stato sconfitto chiedeva una tutela sul suo territorio, si sottoponeva al pagamento di una grossa somma in denaro o concedeva altro in cambio della cessazione delle ostilità.

Per quanto il centro della polemologia moderna sia la definizione di Clausewitz per cui la guerra “è un atto di violenza per imporre all'avversario la nostra volontà”[2], la negoziazione è fondamentale per il raggiungimento della pace come definita dallo stesso Clausewitz: l’accettazione da parte dei belligeranti che i risultati della guerra sono definitivi, non qualcosa che può essere alterato dalla violenza quando si presentano circostanze più favorevoli[3].

Differenze dalla resa condizionata[modifica | modifica wikitesto]

La fine della guerra frutto di una negoziazione è comunque portata avanti in modo coercitivo[4]: essa giunge al termine solo quando due parti interagenti riescono a concordare la loro forza relativa e ad impegnarsi credibilmente in un accordo[5].

Per il principio di Convergenza di Slantchev, affinché ciò accada entrambi i giocatori devono avere informazioni sufficienti sui punti di forza dell'altro e su ciò che sono disposti a concedere. Una volta che le aspettative sull’esito della guerra convergono sufficientemente, si crea uno spazio di contrattazione in modo da poter raggiungere una soluzione negoziata. Il campo di battaglia è una delle principali fonti di informazioni sul nemico: è in guerra che si scopre fino a che punto i belligeranti sono disposti a spingersi e quali possibilità hanno gli uni contro gli altri. I giocatori ritarderanno l'accordo finché non avranno informazioni sufficienti sui loro potenziali clienti. Una volta che imparano abbastanza l’uno dall’altro, la continuazione della guerra imporrebbe costi che entrambi preferirebbero evitare, e così si creerebbe un campo di negoziazione. Secondo Slantchev, un altro modo importante per raccogliere informazioni sul proprio avversario è il modo in cui si comporta al tavolo delle trattative. "Poiché la disponibilità a parlare può essere così rivelatrice, può fornire una buona ragione per rinviare la diplomazia esplicita fino a dopo un armistizio. (...) Ad esempio, fare una richiesta irragionevole indica forza, ma la sconfitta in battaglia rivela debolezza"[6]. Con le nuove informazioni acquisite sul campo di battaglia e al tavolo delle trattative, i giocatori sono in grado di modificare le proprie aspettative sull'esito della guerra. Una volta che convergono abbastanza, si crea uno spazio di contrattazione e il conflitto può finire attraverso un accordo che eviti i costi della guerra.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ In realtà, come ampiamente noto, nel caso nipponico gli Alleati capirono di dover accettare una condizione, e cioè il rispetto e l'inviolabilità della persona dell'Imperatore del Giappone, data la sua natura religiosa, sebbene lo stesso imperatore sia stato successivamente costretto dal comando alleato a dichiarare la propria natura non divina.
  2. ^ Von Clausewitz, Carl. On War (United Kingdom: NTC/Contemporary Publishing Company, 2007).
  3. ^ Non ci si deve illudere di sradicare il partito al potere o di cambiare la mente delle persone, solo perché sono stati sconfitti in una guerra. Lo sostiene Michael Milshtein, capo del Palestinian Studies Forum al centro Moshe Dayan della università di Tel Aviv, ricordando il caso dell'Iraq del 2003, dove le forze guidate dagli Stati Uniti tentarono di rimuovere ogni traccia del regime di Saddam Hussein: «La “de-baathificazione”, come venne chiamata, fu un disastro. Ha lasciato senza lavoro centinaia di migliaia di dipendenti pubblici e membri delle forze armate irachene, gettando le basi per un’insurrezione devastante» (Paul Adams, Israel has no plan for Gaza after war ends, experts warn, BBC news, 28 ottobre 2023).
  4. ^ Stanley, E., and J. Sawyer. 2009. The Equifinality of War Termination: Multiple Paths to Ending War. Journal of Conflict Resolution 53 (5): 651–76
  5. ^ Goemans, H. E. War and Punishment; The Causes of War Termination and the First World War. Princeton, NJ: Princeton University Press. ISBN 978-0691049441
  6. ^ Slantchev, Branislav. 2003. The Principle of Convergence in Wartime Negotiations. American Political Science Review 97 (November).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Iklé, Fred Charles. Every War Must End. New York: Columbia University Press, 1991. ISBN 0-231-07689-4
  • Rose, Gideon. How Wars End: Why We Always Fight the Last Battle. New York, Simon & Schuster, 2010. ISBN 978-1-4165-9053-8
  • Caracciolo, Dominic J. "Beyond Guns and Steel: A War Termination Strategy", Santa Barbara, California: PSI, 2011. ISBN 978-0-313-39149-1

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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