Raid Roma-Tokyo

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«Dedico questo libro alla Vita, all’Amore, alla Morte, ed al mio motore, sempre ubriaco di benzina e di spazio, che ha squarciati i Silenzi dell’Infinito coll’urlo rauco dei suoi 250 HP»

Arturo Ferrarin, uno dei piloti che portarono a termine il raid aereo

Il raid Roma-Tokyo fu un viaggio aereo compiuto attraverso l'Eurasia dall'aviazione italiana. Auspicato da Gabriele D'Annunzio e Harukichi Shimoi, e portato a termine dagli aviatori Guido Masiero e Arturo Ferrarin insieme ai rispettivi motoristi Roberto Maretto e Gino Cappannini, fu compiuto tra il 14 febbraio e il 31 maggio 1920.

Origine del raid[modifica | modifica wikitesto]

Gabriele D'Annunzio lanciò l'idea del raid Roma-Tokyo nel marzo 1919[1]: essa nacque dall'incontro, durante la Grande Guerra, tra il Vate ed il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell'Esercito Italiano.[2][3][4][5] Il primo, già protagonista del volo su Vienna era inizialmente intenzionato a realizzare l'impresa in prima persona e per tale motivo venne aiutato e sostenuto dal governo italiano, che vedeva in questo volo la possibilità di distrarre D'Annunzio dall'avventura di Fiume.[1][5]

Nonostante poi D'Annunzio, che proseguì nell'impresa fiumana, avesse rinunciato a partecipare direttamente all'impresa, l'organizzazione del raid venne comunque portata a termine e coinvolse, tra gli altri, i piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero, che furono i soli, tra undici velivoli, a giungere a Tokyo.[5] Tutti gli altri equipaggi non riuscirono a portare a termine il viaggio e addirittura un velivolo precipitò e morirono i due componenti l'equipaggio. Il raid fu compiuto in 112 ore effettive di volo.[6]

Equipaggi[modifica | modifica wikitesto]

Segue la lista di ufficiali, sottufficiali e militari che formavano gli equipaggi degli 11 velivoli scelti da D'Annunzio per l'impresa[7][8]:

Equipaggio Velivolo Termine del viaggio
Tenente Guido Masiero

Motorista Roberto Maretto

biplano Ansaldo SVA 9 Bandiera del Giappone Tokyo
Tenente Arturo Ferrarin

Motorista Gino Cappannini

biplano Ansaldo SVA 9 Bandiera del Giappone Tokyo
Tenente pilota Giuseppe Grassa

Capitano Mario Gordesco

biplano Ansaldo SVA 9 Bandiera dell'Iran Bushehr
Capitano Umberto Re

Operatore cinematografico Bixio Alberini

biplano Ansaldo SVA 9
Capitano Ferruccio Ranza

Motorista Brigidi

biplano Ansaldo SVA 9 Bandiera dell'India Britannica Calcutta
Tenente Amedeo Mecozzi

Tenente Bruno Bilisco

biplano Ansaldo SVA 9
Tenente Ferruccio Marzari

Motorista Giuseppe Da Monte

biplano Ansaldo SVA 9 Bandiera della Turchia Adalia
Tenente Edoardo Scavini

Sottotenente Carlo Bonalumi

biplano Caproni Ca.33 Bandiera della Siria Deserto siriano
Tenente Luigi Garrone

Tenente Enrico Abba

Motorista Alfredo Momo

Motorista Alfredo Rossi

triplano Caproni Ca.40 Bandiera della Grecia Salonicco
Tenente Leandro Negrini

Sottotenente Giovanni Origgi

Motorista Dario Cotti

biplano Caproni Ca.33 Bandiera della Turchia Konya
Tenente Virgilio Sala

Tenente Innocente Borello

Motorista Antonio Sanità

biplano Caproni Ca.44 Bandiera della Turchia Meandro

Il viaggio[modifica | modifica wikitesto]

La partenza di Ferrarin e Masiero avvenne il 14 febbraio 1920 alle ore 11 dall'aeroporto Centocelle di Roma.[4][5] Prima tappa fu a Gioia del Colle, Puglia, a causa di alcuni problemi tecnici agli apparecchi sia di Masiero sia di Ferrarin.[5] La successiva tappa fu a Valona, in Albania, ove all'epoca vi erano ancora truppe italiane che occupavano la città dal 1914. Dopo Valona fu la volta di Salonicco e da lì si spostarono a Smirne[4][5], all'epoca occupata dai greci.

Da Smirne si diressero ad Adalia ma furono costretti per un guasto ad una tappa intermedia ad Aydın.[5] Raggiunta finalmente Adalia, occupata dagli italiani, la meta successiva fu Aleppo e da lì Baghdad. Nella capitale irachena Ferrarin fu costretto ad atterrare su un campo in cui si stava disputando un incontro di calcio. Il 23 febbraio ripartirono per Bassora, città nella quale Ferrarin attese l'attardato Masiero per tre giorni prima di riprendere il volo per Bandar Abbas, interrotti però dalle pessime condizioni meteo che lo costrinsero ad atterrare a Bushehr. Raggiunta finalmente Bandar Abbas, dopo un primo tentativo fallito a causa di un problema al radiatore, Ferrarin riuscì a raggiungere Chabahar.[4][5] Da lì avrebbe voluto raggiungere direttamente Karachi ma, a causa di un problema al motore, fu costretto ad atterrare nei pressi di un villaggio indigeno che risultò essere però abitato da ribelli che si opponevano al dominio britannico nell'area. Per fortuna di Ferrarin, il tricolore italiano venne confuso dai ribelli per quello della Bulgaria, alleata dei tedeschi durante la prima guerra mondiale e perciò, indirettamente, nazione loro amica. Approfittando dell'errore, Ferrarin riesce ad allontanarsi incolume dal villaggio e a riprendere il suo viaggio verso Karachi. A Karachi Ferrarin si riunì a Masiero che era riuscito a portarsi da Bandar Abbas direttamente nella capitale del Sindh.[5]

Il viaggio di Ferrarin in tutte le sue tappe.

Da Karachi Ferrarin ripartì alla volta di Delhi, che raggiunse dopo una tappa ad Hyderabad e un breve scalo presso una stazione ferroviaria.[5] Quindi arrivò ad Allahabad e da lì fino a Calcutta, antica capitale dell'Impero Anglo-Indiano. Dopo una lunga sosta a Calcutta, nell'attesa vana degli altri compagni, Ferrarin riprese il volo in direzione di Akyab (una fonte afferma che ripartì con un nuovo aereo, dato che il suo venne irrimediabilmente danneggiato dall'incuria del personale locale[9]) e da lì raggiunse Rangoon.[4][5] Rangoon sarà l'ultima tappa in territorio sotto il controllo britannico: per tutta la tratta da Baghdad alla Birmania le autorità britanniche diedero ai piloti italiani la massima disponibilità e collaborazione, fornendo aiuto per le riparazioni e le indicazioni sulla rotta da seguire.[5]

Dal capoluogo della Birmania, nella quale dovette sostare per alcune riparazioni, Ferrarin, senza Masiero già ripartito, raggiunse la capitale del Siam, Bangkok. Tappa successiva fu Ubon e poi Hanoi, in Vietnam, ove raggiunse Masiero. Il 21 aprile Ferrarin ripartì e, dopo due atterraggi intermedi, il primo su una isoletta del Mar Cinese Meridionale e poi presso Macao, giunse a Canton. Da lì proseguì per Foochow e quindi per Shanghai.[5]

L'aereo usato da Ferrarin per il raid, esposto nel museo imperiale giapponese

Da Shanghai, località in cui sostò per una settimana, giunse a Tsingtao, all'epoca occupata dalle forze giapponesi. Accolto dalle autorità nipponiche, venne avvisato che quando sarebbe giunto nel paese del Sol Levante, sarebbe stato omaggiato con una katana d'oro da samurai e che il suo aereo sarebbe rimasto esposto a Tokyo.[5] Fu poi effettivamente esposto nella capitale nipponica sino al 1933, anno in cui esso verrà demolito a causa delle sue condizioni cadenti e irrecuperabili.[10]

Da Tsingtao raggiunse la capitale cinese, Pechino, ove trascorse una settimana, omaggiato dalla popolazione e dalle autorità locali, poi ripartì per Kow Pangtzu, nei pressi di Mukden, quindi per Sinŭiju, in Corea, allora parte integrante dell'impero giapponese, deviando però il suo percorso in modo da sorvolare Port Arthur, città resa celebre per essere stata, per il suo possesso, una delle cause della guerra russo-giapponese.[5]

Successiva tappa del viaggio fu Seul, meta che fu imposta al Ferrarin sia dalle autorità giapponesi che dai rappresentanti italiani in Corea.[5] Da Seul si diresse a Taegu[4], che fu l'ultima tappa sul suolo continentale. Su ordine delle autorità nipponiche Ferrarin fu costretto a seguire una rotta più lunga e settentrionale da quella da lui prevista perché vigeva l'assoluto divieto di sorvolare le piazzeforti di Pusan e Tsushima.[5] Nonostante l'imposto cambio di rotta, Ferrarin raggiunse, il 30 maggio, Osaka[4], ove fu accolto dalla cittadinanza intera.

Atterrando nel parco Yoyogi[2], Ferrarin giunse all'ultima tappa del viaggio, Tokyo ove, oltre i consueti bagni di folla che contraddistinguevano tutte le sue tappe da quando era giunto in Cina, ebbe l'onore di essere ricevuto dal principe reale Hirohito e dall'imperatrice Teimei.[5]

Incidenti occorsi agli altri equipaggi[modifica | modifica wikitesto]

Undici velivoli, con i rispettivi equipaggi, furono impiegati nel tentativo di realizzare il raid e come già detto solo gli aerei di Arturo Ferrarin e Guido Masiero giunsero in Giappone. Gli altri equipaggi incapparono in incidenti, anche mortali, che impedirono loro di raggiungere Tokyo.

I primi a concludere anticipatamente la corsa verso oriente furono Abba e Garrone, che persero il loro aereo a Salonicco. Successivamente il Caproni di Sala e Borello ebbe una avaria lungo il corso del Meandro e sempre in Turchia, a Konya, terminarono il loro viaggio Origgi e Negrini: i due vennero catturati il due settembre ed il loro aereo successivamente distrutto. Sul deserto siriano fu la volta dei piloti Scavini e Bonalumi, a bordo di un trimotore Caproni, a dover rinunciare all'impresa.[5]

A Bushehr, in Persia, avvenne il più grave incidente del raid, poiché Gordesco e Grassa, che facevano parte della pattuglia da loro guidata, ebbero un incidente mortale: il loro aereo, uno S.V.A.9 come quello di Masiero e Ferrarin, ebbe un'avaria al decollo e dopo essersi incendiato precipitò.[4] I due, per volontà dell'imperatrice Teimei, ebbero ufficiato un rito funebre in loro onore presso un tempio della capitale, alla presenza dei piloti italiani lì giunti.[5]

Critiche al raid[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante il successo dell'impresa, il raid fu in Italia oggetto di critiche. I partiti di sinistra italiani, pur riconoscendo il valore di ciò che Ferrarin aveva portato a compimento, contestarono l'eccessiva spesa di denaro pubblico e l'organizzazione approssimativa di esso.[1]

Celebrazioni[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2020, per il centenario del raid, l'Aeronautica Militare Italiana ha dedicato una livrea speciale sfoggiata da cinque SIAI S.208M del 60º Stormo di Guidonia, con sulla coda l'immagine di Arturo Ferrarin e una coccarda con i colori italiani (invertiti rispetto alla coccarda della forza armata) e nipponici[11].

Sempre nel 2020 dal comune di Cadoneghe fu realizzato un documentario sull'impresa, particolarmente incentrato sulla figura di Roberto Maretto, originario del posto. Nel giugno 2021 sempre a Cadoneghe furono indetti festeggiamenti con molte attività in memoria del Raid.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Giuseppe Sircana, FERRARIN, Arturo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 46, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1996..
  2. ^ a b Stefano Carrer, L'Università di Tokyo celebra Gabriele D'Annunzio, ideatore del primo raid aereo Roma-Tokyo del pilota Arturo Ferrarin, in Il Sole 24 Ore, novembre 2013. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  3. ^ Dai giapponesi lodi agli assalti di Cadorna, in Il Piccolo, 18 gennaio 2012. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  4. ^ a b c d e f g h Mario Vattani, Con eliche di legno e ali di stoffa verso il Sol Levante, in Il Giornale d'Italia, 31 maggio 2013. URL consultato il 25 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2014).
  5. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Il raid Roma-Tokio, su Ali e uomini. URL consultato il 5 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 23 febbraio 2014).
  6. ^ Ratti Veneziani, p.17.
  7. ^ Il raid Roma-Tokyo di Ferrarin, su aereimilitari.org. URL consultato il 26 luglio 2015.
  8. ^ (PDF) Ovidio Ferrante, Da Roma a Tokyo... per una trasvolata memorabile (PDF), su avia-it.com, Rivista Aeronautica, febbraio 2010. URL consultato il 26 luglio 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  9. ^ Ludovico.
  10. ^ Gabriele D'Annunzio. Un mito nel Giappone del '900, in Corriere Adriatico, 3 novembre 2013. URL consultato il 6 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2014).
  11. ^ (EN) David Cenciotti, Italian Air Force Special Colored S.208Ms Celebrate 100th Anniversary Of Historic First Rome – Tokyo Flight, su theaviationist.com, 18 febbraio 2020. URL consultato il 28 febbraio 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pietro Carli Ratti Veneziani, La trasvolata atlantica Italia - Brasile. L'inizio di una nuova era, IBN Editore, ISBN 88-7565-142-6.
  • (EN) Rome-Tokio flight, in Flight, Sutton, Surrey - UK, Reed Business Information Ltd., 10 giugno 1920, p. 629. URL consultato il 9 febbraio 2014.
  • D. Ludovico, Aviatori italiani da Roma a Tokio nel 1920 (PDF), Milano, Etas. URL consultato il 10 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2014).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]