Pelagosa

Pelagosa
Palagruža
Geografia fisica
Localizzazionemare Adriatico
Coordinate42°22′49″N 16°20′23″E / 42.380278°N 16.339722°E42.380278; 16.339722
Arcipelagodi Lissa
Superficie0,32 km²
Altitudine massima103[1] m s.l.m.
Geografia politica
StatoBandiera della Croazia Croazia
Regionespalatino-dalmata
ComuneComisa
Demografia
Abitanti0
Cartografia
Mappa di localizzazione: Croazia
Pelagosa
Pelagosa
voci di isole della Croazia presenti su Wikipedia

Le isole di Pelagosa[2][3][4][5] (in croato Palagruža [palǎɡruːʒa], in italiano anche Pelagose, in greco antico: Pelagousai?, Πελαγοῦσαι) formano un piccolo arcipelago del Mare Adriatico situato tra le isole Tremiti e l'isola di Lagosta e a circa 53 km[6] dalla penisola italiana (il punto più vicino è la costa del Gargano). Dipendono dal comune croato di Comisa[7], nella regione spalatino-dalmata.
Oggi l'arcipelago (in realtà una piccola isola e alcuni scogli circostanti) appartiene politicamente alla Croazia, ma ha avuto una storia movimentata con vari passaggi di sovranità: fu possedimento di Venezia, dopo il Congresso di Vienna passò al Regno delle Due Sicilie[8] per divenire temporaneamente italiano nel 1861, poi austriaco e nuovamente italiano tra il 1915 ed il 1947[2], quando infine fu ceduto all'allora Jugoslavia.

Per struttura geologica l'arcipelago è il naturale prosieguo delle Isole Tremiti e della penisola del Gargano, caratteristica che lo vede appartenere geograficamente alla regione ed alla piattaforma italiana piuttosto che a quella dalmata. La presenza di una tipica calcite stalattitica detta pelagosite[9][10], presente su Pelagosa, è stata riscontrata anche a Pianosa[6]. Inoltre, il piccolo arcipelago, pur essendo ad oggi croato, è più vicino alla terraferma italiana che a quella croata[6].

Geografia[modifica | modifica wikitesto]

L'arcipelago è composto da due isole maggiori e altri scogli:

Lo stretto canale marino che separa la Grande dalla Piccola Pelagosa è detto Passo di Bogaso o Bogaso Grande[5].

Come si è detto, geograficamente e geologicamente l'arcipelago fa parte della regione geografica italiana e presenta numerose analogie con l'arcipelago delle Tremiti e l'isola di Pianosa.

Le isole sono situate a 68 miglia nautiche (120 km circa) a sud di Spalato, 37 (70 km circa) da San Nicola delle Tremiti (FG), 30 (60 km circa) dal porto di Peschici (FG) e a 160 km a est di Pescara, nonché a 26 miglia da Lagosta e 21 da Pianosa.

Per la loro relativa inaccessibilità le isole hanno mantenuto una ricca flora mediterranea, tra cui spiccano sedici specie di piccole orchidee, e fondali ancora intatti. I fondali circostanti sono inoltre tra i più pescosi dell'Adriatico e per questo motivo sono tutt'oggi frequentati costantemente da pescherecci sia italiani che croati.

Le uniche strutture antropiche sono il complesso del faro[14], funzionante dal 1877[6], con annesso osservatorio meteorologico, la piccola cappella di San Michele[6] e due piccoli edifici. Vi si trova una piccola area archeologica vicino ad una spiaggia.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il faro dell'isola

Dalle origini alla Serenissima[modifica | modifica wikitesto]

Le isole erano già abitate in età preistorica, come attestato dal rinvenimento di tumuli e tombe ad opera degli archeologi Carlo de Marchesetti e Richard Burton nel 1875.

Conosciute fin dall'epoca greca e romana col nome di Pelagusa, le isole mostrerebbero nel loro nome un'etimologia greca che allude alla loro posizione al centro dell'Adriatico (dal greco "pelagos", ossia "mare"). Meno accreditata è la versione di alcuni geografi che vi vedono un riferimento all'antica popolazione dei Pelasgi. La leggenda narra che proprio a Pelagosa sbarcò e fu poi sepolto Diomede, l'eroe di Troia; secondo alcuni studiosi moderni, queste isole e non le Isole Tremiti, sarebbero da identificare con le Isole di Diomede di cui parlano antichi geografi come Strabone.[16] Sull'isola sono stati inoltre rinvenuti notevoli resti di ceramiche greche.

Declinata la potenza di Roma (di cui rimangono tracce di un tempio) e rimaste di nuovo disabitate, le isole ebbero nel Medioevo la prima visita eccellente. Secondo alcune fonti ecclesiastiche, il 9 marzo 1177, nel Mercoledì delle ceneri, Papa Alessandro III sbarcò a Pelagosa nel corso di un suo viaggio nell'Adriatico, attratto dalla bellezza selvaggia dell'arcipelago. In seguito a questa visita, il pianoro posto su Pelagosa Piccola è da allora chiamato Campo del Papa (Područje Pape)[17].
Le isole appartennero alla Serenissima, che però non vi insediò stabilmente alcuna popolazione e non vi esercitò alcuna sovranità se non per contrastare il nobile Lusignan che, esiliato da Venezia e stabilitosi su Pelagosa Grande, aveva trasformato l'isola in una fortezza munita che ostacolava la pesca nella zona[18].

Dai Borbone ai Savoia[modifica | modifica wikitesto]

In seguito l'arcipelago di Pelagosa fece parte del Regno delle Due Sicilie e ne costituì l'avamposto più remoto nell'Adriatico. Amministrativamente fu riunito alla provincia della Capitanata (l'attuale provincia di Foggia), alla quale appartenne fino alla caduta dei Borbone nel 1861, quando, al pari della terraferma, passò sotto la sovranità del neo-costituito Regno d'Italia. L'annessione fu tuttavia solo formale, poiché le autorità italiane non si curarono affatto delle isole e non si premurarono d'installare un proprio caposaldo su di esse.

A Pelagosa a quel tempo si parlava il napoletano nella variante ischitana: questo è spiegabile in quanto l'isola fu ripopolata (assieme alle vicine isole Tremiti) da Ferdinando II delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d'origine[19]. Con l'avvento del Regno d'Italia, l'incuria e l'inefficienza delle nuove istituzioni nazionali fecero sì che i pescatori emigrassero tutti entro la fine dell'Ottocento[20].

Dall'Italia all'Austria[modifica | modifica wikitesto]

Anche negli anni successivi il Regno d'Italia non colse l'importanza strategica dell'arcipelago e lo neglesse fino al punto di dimenticarsene. Fu allora che gli Austriaci, con un'azione unilaterale, se ne impossessarono nel 1873 e vi eressero un faro il 25 settembre 1875[21] (uno tra i più notevoli dell'intero Adriatico), impiantando così una propria presenza stabile sulla Grande Pelagosa[22].

Tale occupazione venne tacitamente tollerata (limitandosi il Regno d'Italia a flebili rimostranze diplomatiche che non sortirono alcun effetto) e nemmeno una successiva interrogazione del deputato radicale napoletano Imbriani al presidente del Consiglio Di Rudinì (1891) servì a riaprire la questione[23].

La prima guerra mondiale e l'annessione all'Italia[modifica | modifica wikitesto]

Stampa propagandistica italiana che enfatizza la difesa dell'isola durante la battaglia del 30 luglio

Con lo scoppio della prima guerra mondiale l'arcipelago fu occupato dall'Italia l'11 luglio 1915 e mantenuto saldamente per tutta la durata del conflitto, anche se il presidio italiano sull'isola venne abbandonato il 18 agosto per difficoltà di comunicazione e per l'approvvigionamento dei viveri[24].

Le isole furono testimoni del fatto d'armi del 30 luglio seguente, quando una squadra di due incrociatori leggeri austriaci e di sei caccia effettuò un'azione di sorpresa a Pelagosa, bombardando l'isola e sbarcandovi alcuni marinai, prontamente ricacciati dagli italiani.

All'alba del 5 agosto ebbe luogo un altro e ben più tragico scontro. Il sommergibile Nereide, ormeggiato davanti a Pelagosa, scorse a distanza ravvicinata una silurante subacquea austriaca che avanzava tra i flutti. Pur di non fuggire e di salvare il sommergibile da un affondamento certo, il capitano di corvetta Carlo Del Greco decise di affrontare il nemico e di tentare l'immersione per lanciare il siluro, ma il sommergibile austriaco riuscì a colpirlo per primo, colando a picco il Nereide e l'intero suo equipaggio (20 vittime): alla memoria del capitano Del Greco fu tributata la prima medaglia d'oro al valor militare della Regia Marina nella prima guerra mondiale[25]. Il relitto del sommergibile, rinvenuto a 250 metri dalla costa a 37 metri di profondità, venne poi riportato a galla nel gennaio 1972 per mezzo di un'operazione congiunta italo-jugoslava.

Le truppe italiane mantennero il controllo dell'isola fino alla fine della guerra.

Nel 1920 l'arcipelago di Pelagosa passò ufficialmente al Regno d'Italia e venne inglobato nel comune di Lagosta, nella provincia di Zara, cui appartenne fino alla seconda guerra mondiale.

Il governo italiano vi trapiantò alcuni pescatori dalle Tremiti e vi costruì un osservatorio meteorologico nel faro, una chiesa e due piccoli edifici tuttora esistenti.

Nel 1927 il governo italiano vi dedicò il posamine omonimo, che venne poi cannoneggiato e affondato il 9 settembre 1943 nel golfo di Genova[26].

Dal 1941 al 1943 appartennero al Governatorato della Dalmazia sotto la provincia di Spalato. Occupata dai tedeschi nel settembre 1943, fu assegnata alla Repubblica Sociale Italiana, nella Prefettura di Zara, fino alla conquista jugoslava, alla fine di ottobre del 1944.

Dalla Jugoslavia alla Croazia[modifica | modifica wikitesto]

Mappa di localizzazione: Italia
Pelagosa
Pelagosa
Pelagosa rispetto all'Italia

Dopo la seconda guerra mondiale, il Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate, firmato il 10 febbraio 1947, stabilì all'art. 11 comma 2 la cessione alla Jugoslavia della "piena sovranità sull'isola di Pelagosa e sugli isolotti adiacenti", aggiungendo che l'isola di Pelagosa sarebbe rimasta smilitarizzata.[27]

Lo stesso Trattato di Pace stabilì anche che i pescatori italiani avrebbero goduto "gli stessi diritti a Pelagosa e nelle acque adiacenti di quelli goduti dai pescatori jugoslavi prima del 6 aprile 1941" (ossia il diritto, in base agli "Accordi di Brioni" del 14 settembre 1921 e agli "Accordi di Nettuno" del 20 luglio 1925 tra il Regno d'Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, di pescare con non più di 40 barche di stanza a Lissa e in determinati specifici periodi).

In tacita applicazione di questo trattato, le acque di Pelagosa sono ancora oggi visitate da numerosi pescherecci italiani, nonostante si tratti di acque territoriali croate, per la pesca alle sardine.

Dal 1991 l'arcipelago di Pelagosa fa parte della repubblica indipendente di Croazia.

Recentemente la Croazia vi ha avviato una campagna di ricerche petrolifere.

Popolazione[modifica | modifica wikitesto]

Data la sua vicinanza alle coste della Puglia, Pelagosa ha sempre avuto una popolazione italiana simile a quelle del Meridione italiano prospiciente. Solo dopo la seconda guerra mondiale l'isola, passata sotto il controllo jugoslavo, si è spopolata e ancor oggi, sotto l'amministrazione croata, non vi si registrano stabili insediamenti, fatti salvi i guardiani a presidio del Faro.

Da alcuni anni però, due appartamenti ricavati nell'edificio del faro sono messi a disposizione dei turisti che possono affittarli previa prenotazione all'Ente nazionale croato del Turismo. Questa opportunità è stata sfruttata dal giornalista triestino Paolo Rumiz che ha compiuto sull'isola nel 2014 una tappa dei suoi annuali viaggi/avventura. Il guardiano del faro è stato raccontato su la Repubblica[28]. Il giornalista non indica mai esplicitamente la località, anche se c'è un inciso nella puntata del 14 agosto, ma descrive l'isola, l'arcipelago e il mare circostante con assoluta chiarezza e partecipazione emotiva.

L'isola, prima della conquista romana, era abitata fin dal Paleolitico. In seguito coloni greci vi si stabilirono dandole il nome greco ("pelagos" in greco vuol dire mare).

Durante l'Impero romano ebbe un relativo sviluppo e vi fu costruito anche un piccolo tempio, di cui si hanno alcune tracce in un villaggio rinvenuto recentemente.

Nel Medioevo rimase spopolata e fu solo base di appoggio della Repubblica di Venezia per le sue rotte commerciali.

L'isola fu ripopolata (assieme alle vicine isole Tremiti) da Ferdinando II del Regno delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d'origine. Il tentativo fallì dopo l'unificazione italiana e i pochi pescatori emigrarono a fine Ottocento.

Le autorità italiane durante il Fascismo vi trapiantarono alcuni pescatori italiani dalle Tremiti e vi costruirono un importante osservatorio meteorologico (nell'edificio del Faro), una chiesa e due piccoli edifici tuttora esistenti.

Al 21 aprile 1931 risultavano 10 abitanti di cui 8 maschi[29].

Oggi è disabitata.

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

Pelagosa è nota anche per essere stata il capolinea della tradizionale regata velica, detta pure Rotta Pelagosana o Pelagosina (Rota Palagruzona in croato), delle tipiche imbarcazioni da pesca adriatiche, le Gaete dalmate, che a decine partivano ogni anno da Comisa sull'isola di Lissa e una volta raggiunta Pelagosa organizzavano delle lunghe battute di pesca (i pescatori comisotti hanno sempre utilizzato le acque di Pelagosa come propria riserva ittica). Le prime regate di cui si ha notizia risalgono addirittura alla fine del XVI secolo, sotto l'autorità veneta, mentre l'ultima regata si tenne nel 1936, quando le due isole erano separate dal confine marittimo italo-iugoslavo.

Distanze[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Duplančić, pp. 12-30.
  2. ^ a b c Alberi, p. 1367.
  3. ^ a b Marieni, p. 497.
  4. ^ Atlante Zanichelli 2009, Zanichelli, Torino e Bologna, 2009, p. 29.
  5. ^ a b c d e f g I. Pelagosa Grande, Scg. Pelagosa Piccola, Scg. Cajola, Sasso di Tramontana, Sasso d'Ostro, Scgli Manzi, Scg. Pampano, nella mappa zoomabile di : "Sv. Petar, I. Pelagosa und Scg. Cajola (1885) - K.u.K. Militärgeographisches Institut - 1:75 000 - ZONE 35 - KOL XV, Z. 36 C. XIV, Z. 36 C. XV" (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
  6. ^ a b c d e f g Rizzi, pp. 466-467.
  7. ^ a b c d e f g h (HR) Državni program [Programma Nazionale] (a cura di), Pregled, položaj i raspored malih, povremeno nastanjenih i nenastanjenih otoka i otočića [Analisi, posizione e schema di isolotti e piccole isole, periodicamente abitati e disabitati] (PDF), su razvoj.gov.hr, 2012, p. 32. URL consultato il 31 gennaio 2017.
  8. ^ Riccardo Pasqualin, Pelagosa, un dominio veneto dimenticato, in Storia Veneta, Novembre 2023, n. 74, p. 13.
  9. ^ pelagosite, su treccani.it. URL consultato il 31 gennaio 2017.
  10. ^ Montanari, A., et al. (2007) Rediscovering pelagosite. Geophysical Research Abstracts 9. (PDF).
  11. ^ Natale Vadori, Italia Illyrica sive glossarium italicorum exonymorum Illyriae, Moesiae Traciaeque ovvero glossario degli esonimi italiani di Illiria, Mesia e Tracia, 2012, San Vito al Tagliamento (PN), Ellerani, p. 509, ISBN 978-88-85339293.
  12. ^ a b c d e f g h G. Giani, Carta prospettiva delle Comuni censuarie della Dalmazia, foglio 8, 1839. Fondo Miscellanea cartografica catastale, Archivio di Stato di Trieste.
  13. ^ a b c d (HR) Mappa topografica della Croazia 1:25000, su preglednik.arkod.hr. URL consultato il 29 dicembre 2016.
  14. ^ a b Svjetionik Otočić Palagruža, su plovput.hr. URL consultato il 31 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 30 aprile 2016).
  15. ^ a b c d e f g h Vadori, p. 509.
  16. ^ Strabone, Geografia, VI, 3, 9. Tra gli studi moderni, si veda Kirigin, pp. 63-110, in particolare pp. 75-77.
  17. ^ R. Pasqualin, op.cit., p. 14.
  18. ^ Ivi, p. 15.
  19. ^ Ivi, p. 16.
  20. ^ Ibidem.
  21. ^ (EN) Foto del Faro di Pelagosa e la sua storia, su nytimes.com.
  22. ^ R. Pasqualin, op. cit., p. 17.
  23. ^ Ivi, p. 17-18.
  24. ^ Ivi, p. 19-20.
  25. ^ Ibidem.
  26. ^ (EN) Immersione sul Pelagosa, su relittiliguria.it. URL consultato l'8 marzo 2018.
  27. ^ PELAGOSA, Isole di in "Enciclopedia Italiana" di Bruno NICE - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949) [collegamento interrotto], su treccani.it. URL consultato il 15 febbraio 2019.
  28. ^ Il guardiano del faro. su la Repubblica
  29. ^ PELAGOSA - Enciclopedia Italiana (1935).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Cartografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (HR) Mappa topografica della Croazia 1:25000, su preglednik.arkod.hr. URL consultato il 31 gennaio 2017.
  • G. Giani, Carta prospettiva delle Comuni censuarie della Dalmazia, foglio 8, 1839. Fondo Miscellanea cartografica catastale, Archivio di Stato di Trieste.

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