Narodni dom

Narodni dom
Il Narodni dom in fiamme il 13 luglio 1920
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneFriuli-Venezia Giulia
LocalitàTrieste
IndirizzoPiazza Oberdan
Coordinate45°39′14″N 13°46′34″E / 45.653889°N 13.776111°E45.653889; 13.776111
Informazioni generali
Condizioniin uso
Costruzione1901 - 1904
Distruzione1920
StileArt Nouveau
Realizzazione
ArchitettoMax Fabiani

Il Narodni dom (in sloveno Casa nazionale, Casa del popolo) di Trieste era la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan).

Fu incendiato dai fascisti il 13 luglio 1920, nel corso di quello che Renzo De Felice definì "il vero battesimo dello squadrismo organizzato"[1].

Costituzione della società Narodni dom[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1900 si riunì il comitato promotore per la costituzione della società Narodni dom (Casa Nazionale). L'organismo - composto da note personalità del movimento nazionale degli sloveni di Trieste – verteva attorno alla società politica Edinost. Lo statuto venne approvato con decreto dell'Imperiale Regia Luogotenenza di Trieste in data 30 ottobre 1900. L'istituto di credito sloveno "Banca di risparmio e prestiti" di Trieste acquistò il terreno il 29 aprile 1901 per la costruzione dell'edificio del Narodni dom al n. 2 della piazza chiamata all'epoca Piazza Caserma, oggi Piazza Oberdan. Il 7 luglio 1901 si svolse nelle sale della "Sala di lettura Slovena" in via San Francesco 2 l'assemblea costitutiva della società "Casa Nazionale" - "Narodni dom".[2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nei primi dieci anni del Novecento, a causa dell'immigrazione da ogni parte dell'impero, la comunità slava (sloveni, croati, cechi) di Trieste era più che raddoppiata, passando da 25.000 a 57.000 abitanti nel comune (dal 15% al 25%) e da 6.500 a 22.000 nella città (dal 5% al 13%).[3] Le numerose società e organizzazioni slovene e di altri ceppi slavi videro quindi la necessità di costruire un edificio che potesse ospitare le loro attività: fu seguito l'esempio di altre città con presenza di forti minoranze slovene (come Klagenfurt, Maribor, Celje e Gorizia) dove tra fine Ottocento e inizio Novecento furono costruite le cosiddette "Case del popolo" o "Case nazionali" per ospitare attività culturali (e talvolta, come a Gorizia, anche commerciali) slovene. Questi edifici, chiamati in sloveno Narodni dom, avevano assunto anche un forte valore simbolico, in quanto dovevano rappresentare un simbolo visivo della crescente potenza numerica, economica e culturale delle comunità urbane slovene. Per questa ragione furono costruiti anche in alcune città a maggioranza slovena e con amministrazioni slovene (come Novo Mesto e la stessa Lubiana). Nel comune di Trieste erano già presenti due Case nazionali slovene, una a Barcola e l'altra nel quartiere di San Giacomo.

La sede unica del Narodni dom di Trieste fu collocata nel 1907 all'interno dell'Hotel Balkan, un imponente edificio realizzato tra il 1901 e il 1904 secondo il progetto dell'architetto Max Fabiani. Si trattava, per l'epoca, di un edificio d'avanguardia, plurifunzionale e che, oltre ad un hotel, ospitava una sala teatrale, gli uffici per varie organizzazioni, banche e assicurazioni.[4][5]

L'incendio[modifica | modifica wikitesto]

I funerali di Gulli e Rossi a Sebenico
Lo stesso argomento in dettaglio: Incidenti di Spalato.

Nella primavera e nell'estate del 1920, a più di un anno dalla fine della guerra, e dopo l'abbandono da parte italiana delle trattative di pace, le relazioni tra Regno d'Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni erano estremamente tese. La Venezia Giulia si trovava sotto amministrazione civile italiana provvisoria, mentre la parte della Dalmazia promessa all'Italia dal patto di Londra si trovava sotto amministrazione militare italiana. La questione di Fiume era ancora aperta e le trattative tra i due Stati procedevano in un clima di veti e minacce reciproche.[6] A Trieste era da poco diventato segretario del fascio di combattimento cittadino il toscano Francesco Giunta, che nel giro di pochi mesi avrebbe cambiato le sorti del movimento fascista giuliano, portandolo a conquistare l'egemonia nella vita politica cittadina. A seguito dell'uccisione di due marinai italiani[7][8] a Spalato nel corso di uno scontro fra militari italiani e nazionalisti jugoslavi mai perfettamente chiarito durante il quale era stato ucciso anche un civile croato,[9] Francesco Giunta convocò un comizio nel tardo pomeriggio del 13 luglio 1920 in piazza dell'Unità. Nel memorandum presentato il 1º settembre dalla società politica slovena Edinost al Presidente del Consiglio dei Ministri Giovanni Giolitti, si legge: «Il giorno 13 luglio 1920 i giornali nazionalisti triestini Il Piccolo, L'Era Nuova e La Nazione riportavano un proclama del Fascio Triestino di Combattimento dove si invitava la popolazione per le ore 18 ad un comizio in Piazza dell'Unità esortandola ad una energica reazione ai fatti di Spalato col motto che "è finito il tempo del buon Italiano"»[10]. La questura prevedeva che nel pomeriggio probabilmente ci sarebbero stati dei disordini, e predispose ingenti misure di protezione delle associazioni politiche, culturali ed economiche slave di Trieste.[11]

Durante il comizio la tensione era molto alta.[7] Giunta pronunciò un discorso dal tono e dai contenuti estremamente violenti e minacciosi:

«L'anima grande del comandante Gulli, barbaramente ucciso, vuole vendetta. Fratelli, che avete fatto voi del provocatore pagato? (Giunta si riferiva a un passante che era appena stato salvato dai carabinieri dopo essere stato aggredito perché sorpreso a leggere un giornale in sloveno, n.d.r.) È stato poco, dovevate uccidere! Bisogna stabilire la legge del taglione. Bisogna ricordare ed odiare (...). Gulli era l'uomo di Millo, il più grande ammiraglio che abbia avuto l'Italia. Gulli va vendicato (...) L'Italia ha portato qui il pane e la libertà. Ora si deve agire; abbiamo nelle nostre case i pugnali ben affilati e lucidi, che deponemmo pacificamente al finir della guerra, e quei pugnali riprenderemo - per la salvezza dell'Italia. I mestatori jugoslavi, i vigliacchi, tutti quelli che non sono con noi ci conosceranno (...)»

Verso la fine del comizio, scoppiarono dei tafferugli, nel corso dei quali diverse persone caddero a terra riportando ferite da arma da fuoco o da taglio. Tra queste, il fuochista Antonio Raikovich, che se la cavò con 15 giorni d'ospedale,[13] e il cuoco della trattoria Bonavia, il diciassettenne di Novara Giovanni Nini, che morì sul colpo.[13][14] La responsabilità di questa uccisione non fu mai accertata. Nel 1924 il Prefetto Mosconi parlerà de «[…]l'uccisione di un cittadino in un comizio di protesta, ritenuta (sic) opera di uno slavo…»[15] Secondo lo storico fascista Attilio Tamaro «mentre si svolgeva l'imponente comizio e Francesco Giunta, segretario del fascio, parlava, uno slavo uccise un fascista, che s'era intromesso per salvare un ufficiale da quello aggredito.»[16] Secondo lo storico antifascista C. Schiffrer, «in realtà il disgraziato giovane (il cuoco pugnalato) si trovava lì per caso e quando fu colpito ..., secondo le cronache giornalistiche, esclamò:"io non c'entro!". La verità è che a Giunta occorreva la "scintilla", occorreva un morto, ed i suoi provvidero».[17] Appena si sparse la notizia della morte del Nini, il Prof. Randi salì sul palco e annunciò che un italiano "ex-combattente" era stato ucciso da uno slavo.[18] Muovendosi secondo un piano precostituito,[19] gruppi di manifestanti lasciarono la piazza e attaccarono diversi obiettivi. Le azioni compresero il danneggiamento di negozi gestiti da sloveni, l'assalto di alcune sedi di organizzazioni slave e socialiste, la sassaiola contro la sede del consolato jugoslavo di via Mazzini e la devastazione degli studi di diversi professionisti, tra cui quello dell'avvocato Josip Vilfan,[20] uno dei leader politici delle comunità slovena e croata di Trieste. Le squadre d'azione fasciste si divisero in tre colonne, di cui una percorse la via Roma, un'altra la via San Spiridione, e la terza la via Dante; riunitesi presso il Narodni dom, seguite da una folla ingente, iniziarono ad assediare l'edificio da ogni lato, sotto la guida di Giunta.[21] L'hotel Balkan in quel momento era protetto da oltre 400 fra soldati, carabinieri e guardie regie inviate a presidio dell'edificio dal vice commissario generale, Francesco Crispo Moncada.[22]

Il Narodni dom in fiamme.

All'appressarsi della folla, dal terzo piano dell'edificio fu lanciata almeno una bomba a mano, cui secondo testimonianze dell'epoca seguì anche una scarica di colpi di fucile contro la folla.[23] Fu ferito dalle schegge della granata il ventitreenne Luigi Casciana,[24] tenente di fanteria che si trovava in licenza a Trieste, che morì la settimana successiva in circostanze poco chiare dopo essere stato trasferito all'ospedale militare.[25] Altre otto persone furono ferite dalle bombe. I militari che circondavano l'edificio risposero al fuoco. La ricostruzione esatta della dinamica dei fatti, tuttavia, è controversa.[26] Secondo un'altra versione, dal palazzo delle Ferrovie qualcuno sparò in aria un razzo, dopodiché l'edificio del Narodni Dom fu bersaglio della sparatoria e i militari presero l'iniziativa di assaltarlo.[21] I fascisti forzarono le porte dell'edificio, vi gettarono all'interno alcune taniche di benzina e appiccarono il fuoco, dopodiché impedirono ai pompieri (subito intervenuti) di spegnere l'incendio.[21][27] Secondo la stampa dell'epoca, il rapido propagarsi dell'incendio con numerosi scoppi sarebbe stato favorito dal fatto che membri della comunità slava avrebbero celato all'interno del Narodni un arsenale di esplosivi ed armi. Tuttavia, riporta Apollonio,[28] dalle successive indagini di polizia non emerse alcun riscontro dell'esistenza di tale arsenale. Altri sottolineano le responsabilità dei militari che avevano il compito di proteggere l'edificio, i quali non fermarono gli aggressori, ma di fatto si unirono a loro.[27] Apollonio riporta le testimonianze di tre cittadini statunitensi, ospiti dell'albergo, secondo cui gli assalitori, una volta entrati nell'edificio, ammassarono delle masserizie e vi versarono sopra del liquido infiammabile. Le fiamme si propagarono rapidamente all'intero edificio.[29]

Tutti gli ospiti del Narodni dom riuscirono a salvarsi, ad esclusione del farmacista di Bled di origini lubianesi Hugo Roblek.[30] In alcune fonti Roblek è erroneamente indicato come custode o addirittura proprietario dei locali; Roblek si gettò da una finestra e morì sul colpo, mentre la moglie[31], che si lanciò con lui, pur ferendosi gravemente, riuscì a salvarsi. L'incendio distrusse completamente l'edificio: per alcuni testimoni l'intervento dei vigili del fuoco fu impedito dagli squadristi; per altri invece l'intervento dei vigili del fuoco ci fu e riuscì ad impedire al fuoco di attaccare gli edifici circostanti. L'incendio fu domato completamente solo il giorno successivo.[32] La sera del 14 luglio venne devastato e incendiato anche il Narodni dom di Pola, nel corso di un'azione simile.[33][34]

Dopo l'incendio[modifica | modifica wikitesto]

Francesco Giunta e Benito Mussolini nel 1928

Secondo Gaetano Salvemini l'obiettivo immediato che i fascisti e i nazionalisti si proposero di realizzare attraverso l'incendio del Narodni dom sarebbe stato quello di sabotare le trattative italo-jugoslave per la questione di Fiume e dei confini tra i due paesi.[35][36] Se da quel punto di vista si può dire che l'obiettivo fu mancato, le conseguenze del rogo tuttavia furono gravi e di lunghissima durata. L'incendio del Narodni dom rappresentò un momento di svolta nell'affermazione del "fascismo di confine": «Il rogo annuncia, con le fiamme che ben si possono scorgere da diversi punti della città, un drastico cambiamento. Sembra quasi una celebrazione sacra, di morte e di purificazione: nella reinvenzione della storia, che il fascismo opera per gli eventi locali e nazionali, lo scenario maestoso di quel rogo diventa uno dei più importanti miti d'origine della nuova Italia di confine».[37] Non a caso, l'anno successivo, durante il comizio inaugurale della sua campagna elettorale per le elezioni politiche, Giunta si espresse in questi termini:

«Per me il programma (elettorale) comincia con l'incendio del Balkan»

La distruzione del Narodni dom, insomma, «rappresentò la prima grande frattura tra gli Italiani della Venezia Giulia e le popolazioni "allogene", sloveni e croati, con conseguenze funeste per tutti gli abitanti della regione».[35]

L'edificio completamente devastato dal fuoco fu espropriato alle organizzazioni slovene (che vennero definitivamente dissolte con decreto nel 1927). Fu quindi rilevato da una società milanese che ristrutturò completamente l'edificio adibendolo ad hotel con il nome di "Regina". Nel 1923 iniziò la costruzione di un nuovo edificio che avrebbe escluso l'ex Balkan dalla rinnovata Piazza Oberdan.

Nel 1954 lo scrittore sloveno Boris Pahor pubblica il libro Il rogo nel porto, che include il racconto omonimo sull'incendio del Narodni dom.[39]

Il Narodni dom divenne il simbolo dell'inizio delle persecuzioni fasciste contro gli sloveni e i croati della Venezia Giulia, e per questo il 13 luglio 2010 fu meta, insieme al monumento agli esuli istriani, fiumani e dalmati sito in piazza Libertà a Trieste, di un omaggio dei Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia in occasione di un incontro di riconciliazione.[40]

Dopo la seconda guerra mondiale, la comunità slovena chiese più volte che l'edificio tornasse a svolgere attività a favore della minoranza.[senza fonte] Oggi l'edificio, sito in via Filzi, ospita la sede della Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell'Università degli studi di Trieste[41] e una biblioteca di oltre 43.000 volumi. Nel dicembre del 2004 il Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Trieste, Prof. Domenico Romeo, scoprì una targa bilingue che ricorda il significato storico dell'edificio e della sua distruzione.[42][43] Dalla primavera dello stesso anno, al piano terra, alcuni spazi sono stati messi a disposizione delle istituzioni culturali e scientifiche della comunità slovena.[44][45] Nell'aprile del 2004 l'allora Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, e l'allora Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia Riccardo Illy visitarono le strutture gestite dalla comunità slovena all'interno dell'ex Narodni dom, tra cui un centro informativo e una sala conferenze.[42]

Ogni 13 luglio, il partito Slovenska Skupnost organizza una manifestazione davanti all'edificio, nella quale commemora l'incendio deponendo una corona sulla targa che ne ricorda il significato storico.

L'ingresso del Narodni dom nel 2021

Il 13 luglio 2020 il Presidente della Repubblica Mattarella assieme al Presidente della Slovenia Borut Pahor hanno presenziato alla cerimonia di restituzione dell'edificio alla comunità slovena, a 100 anni esatti dall'incendio[46][47].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, 1ª ed., Torino, Einaudi, 1965, p. 624.
    «nell'estate e nell'autunno del '20 la caratteristica delle violenze fasciste cominciò ad essere invece proprio questa [azioni organizzate a freddo con la volontà di colpire il «nemico»]. [...] anticipando le azioni delle squadre nelle zone agricole, i fascisti cominciarono a passare apertamente all'attacco delle organizzazioni socialiste e «antinazionali». I casi più clamorosi in questo periodo furono la devastazione a Roma della tipografia dell'«Avanti!» il 21 luglio, e – episodio ben più grandioso e drammatico (se non altro per il numero delle vittime) – l'incendio a Trieste, il 13 luglio, del Balkan, cioè della Narodni dom, la sede delle organizzazioni slave nella città giuliana, e dell'analoga sede a Pola. In tutte e tre queste occasioni i fascisti operarono d'accordo con i nazionalisti. Tipico fu il caso del Balkan. Ecco come in un recente studio è stato ricostruito quel drammatico episodio che a ragione può essere considerato il vero battesimo dello squadrismo organizzato»
  2. ^ Milan Pahor, Zrno do zrna, pogača, kamen do kamna, palača: Društvo “Narodni dom v Trstu” 1900-200o, «Zgodovinski časopis», Letnik 53, Ljubljana, 1999, št. 3 (116), p. 350.
  3. ^ I dati si riferiscono ai censimenti austriaci del 1900 e 1910, tratti da Guerrino Perselli, I censimenti della popolazione dell'Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Unione Italiana di Fiume - Università Popolare di Trieste, Trieste-Rovigno 1993, pp. 430-431.
  4. ^ Archivio generale di Trieste, registrazione dei progetti consegnati al comune di Trieste nell'anno 1900.
  5. ^ Gianni Contessi, Umberto Nordio, Architettura a Trieste 1926-1942, Gianni Contessi, Milano 1981, pp. 63-65.
  6. ^ A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, pp. 80-82
  7. ^ a b Pupo, min. 1:20 e segg.
  8. ^ Il comandante Tommaso Gulli era morto il giorno precedente.
  9. ^ La città di Spalato, pur presentando una significativa componente nazionale italiana, non faceva parte del Governatorato militare italiano, ed era amministrata da comitati nazionali jugoslavi. Si veda e.g. A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, p. 82
  10. ^ M. Pahor, ROGOPDF.
  11. ^ Sergio Siccardi, La falsa verità sul Ten. Luigi Casciana, Fondazione Rustia-Traine, Trieste 2010.
  12. ^ A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, p. 83
  13. ^ a b c A. Apollonio, op. cit., p. 294.
  14. ^ Sergio Siccardi, La falsa verità sul Ten. Luigi Casciana, Fondazione Rustia-Traine, Trieste 2010, p. 63. In altra parte del testo (p. 31), si afferma invece che il Nini fosse cuoco dell'hotel Vanoli.
  15. ^ Antonio Mosconi, I primi anni di governo italiano nella Venezia Giulia, Lib. Cappelli Editore, Bologna-Trieste, 1924, p. 22.
  16. ^ A. Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953, p. 79
  17. ^ Elio Apih, Italia, Fascismo ed Antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), p. 124).
  18. ^ Sergio Siccardi, La falsa verità sul Ten. Luigi Casciana, Fondazione Rustia-Traine, Trieste 2010, pp. 28 e 47.
  19. ^ Pupo, min. 1:55 e segg.
  20. ^ Pahor
  21. ^ a b c Claudio Silvestri, Dalla Redenzione al Fascismo. Trieste 1918-1922, Udine 1959, pp. 55 sg; citato in Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, p. 625.
  22. ^ Secondo Almerigo Apollonio, le responsabilità di Crispo Moncada in ciò che avvenne da questo momento in poi sono tali, da far ipotizzare il dispiegarsi di una vera e propria congiura militar-fascista. Si veda A. Apollonio, op. cit., pp. 298-299.
  23. ^ Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 143: «Da un balcone dell'edificio una bomba veniva gettata sulla folla, ferendo in maniera grave un tenente. Testimoni affermavano che la bomba era stata seguita da una fitta sparatoria sui manifestanti. Asseritamente i manifestanti e la forza pubblica (polizia e carabinieri, ma anche militari) davano alle fiamme l'edificio in seguito a tali atti. In realtà le testimonianze sull'accaduto sono reticenti e contraddittorie, non si trovarono prove certe né della sparatoria, né dell'esistenza di un arsenale (...)»
  24. ^ Le cronache su Il Piccolo del 14 e del 15 luglio tuttavia elencano Casciana tra i feriti di Piazza dell'Unità, si veda Sergio Siccardi, La falsa verità sul Ten. Luigi Casciana, Fondazione Rustia-Traine, Trieste 2010.
  25. ^ Dalle cronache pubblicate su Il Piccolo e raccolte da Siccardi, si apprende che Luigi Casciana apparteneva al 142º reggimento di fanteria della disciolta brigata Catanzaro. Raoul Pupo (Pupo, min. 4:10 e segg.) precisa che Casciana si trovava a Trieste in licenza in attesa di congedo. Sempre dalle cronache de Il Piccolo, si apprende che Casciana, in via di guarigione, fu trasferito dall'Ospedale Maggiore all'ospedale militare di Trieste, dove morì poche ore dopo.
  26. ^ Scrive C. Schiffrer: «Alcuni anni più tardi [...] uno dei peggiori caporioni del fascismo triestino si vantò di aver fissato lui stesso, quella mattina, una camera all'albergo, di avervi trasportato valigie contenenti bombe, recipienti di benzina ed altro materiale incendiario, e di aver compiuto lui gli atti di provocazione.» Citato in Elio Apih, Italia, Fascismo ed Antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), p. 124. La versione di Schiffer è però giudicata inattendibile dalla storica Marina Cattaruzza in L'Italia e il confine orientale, p. 143 che la liquida «... poco fondata è la versione di Carlo Schiffer, secondo il quale le bombe e il materiale incendiario sarebbero stati portati all'interno dell'edificio, quella stessa mattina da una squadra di fascisti....Tale versione si basa su una testimonianza orale di seconda mano, prodotta asseritamente nel 1943 da fascisti che si trovavano in carcere in seguito alle devastazioni di negozi ebrei»
  27. ^ a b Pupo, min. 4:26 e segg.
  28. ^ Op. cit., pp. 298-99.
  29. ^ Apollonio, op.cit., pp. 296-97.
  30. ^ Sergio Siccardi, op. cit., p. 42.
  31. ^ Sergio Siccardi, op. cit., pp. 42-43. In altre fonti, invece, si afferma che la donna - di nome Paula - fosse la figlia del Roblek, ma il Siccardi riporta il testo di una breve intervista nella quale ella conferma di esserne la moglie, mentre il padre è "l'avvocato Franz Tomiusch di Lubiana".
  32. ^ Si veda una ricostruzione più dettagliata in M. Kacin Wohinz, L'incendio del Narodni dom a Trieste, in Vivere al confine. Sloveni e italiani negli anni 1918-1941, GMD, Gorizia 2005, p. 79 ss.
  33. ^ Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, 1866-2006, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 144
  34. ^ Episodi per certi versi simili, ma di stampo lealista filo-austriaco e anti-italiano, erano accaduti il 23 e 24 maggio 1915, giorni dell'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria. In quell'occasione una folla composita, formata per lo più da giovani e donne provenienti dai quartieri popolari, devastò le sedi della Ginnastica Triestina (dove si lamentò un morto) e della Lega Nazionale e danneggiò la statua di Giuseppe Verdi; riuscì infine ad appiccare il fuoco alla sede de Il Piccolo, le cui rotative vennero distrutte mentre veniva impedito ai vigili del fuoco di cercare di estinguere l'incendio. Vennero inoltre devastati numerosi esercizi commerciali di proprietà di italiani "regnicoli", e diversi caffè in cui erano soliti incontrarsi gli intellettuali vicini all'irredentismo italiano. Si veda: Angelo Visintin, L'assalto a "Il Piccolo" in Un percorso fra le violenze del Novecento nella provincia di Trieste, IRSML 2006, pp. 19-28.
  35. ^ a b C. Silvestri, "Dalla redenzione al fascismo. Trieste 1918-1922", Del Bianco ed., 1966, p. 60.
  36. ^ Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, a cura di Roberto Vivarelli, Feltrinelli, Milano 1979 (quarta edizione), p. 273.
  37. ^ A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, p. 79
  38. ^ C. Silvestri, Dalla redenzione al fascismo. Trieste 1918-1922, Del Bianco ed., 1966, p. 105
  39. ^ Il rogo nel porto, di Boris Pahor (Zandonai, 2008).
  40. ^ TRIESTE Napolitano, Türk e Josipovic seppelliscono le ferite
  41. ^ Presentazione del dipartimento | Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell`Interpretazione e della Traduzione, su iuslit.units.it. URL consultato il 27 gennaio 2018.
  42. ^ a b Narodni dom danes, su primorski.it. URL consultato il 15 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale l'11 febbraio 2015).
  43. ^ Foto della targa
  44. ^ L'articolo 19 della "Legge 23 febbraio 2001 n. 38" (Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli - Venezia Giulia), stabilisce che "[...] Nell'edificio di Via Filzi 9 a Trieste, già «Narodni dom», e nell'edificio di Corso Verdi, già «Trgovski dom», di Gorizia trovano sede istituzioni culturali e scientifiche sia di lingua slovena (a partire dalla Narodna in studijska Knjiznica - Biblioteca degli studi di Trieste) sia di lingua italiana compatibilmente con le funzioni attualmente ospitate nei medesimi edifici, previa intesa tra regione e università degli studi di Trieste per l'edificio di Via Filzi di Trieste, e tra regione e Ministero delle finanze per l'edificio di Corso Verdi di Gorizia."
  45. ^ Le istituzioni slovene all'interno dell'ex Narodni Dom
  46. ^ Il Narodni Dom torna alla comunità slovena: il 13 luglio la cerimonia con Mattarella e Pahor, su Il Piccolo, 23 gennaio 2020. URL consultato il 24 gennaio 2020.
  47. ^ Italia-Slovenia: presidenti Mattarella e Pahor, il 13 luglio inaugurazione Casa nazionale slovena a Trieste, su Agenzia Nova. URL consultato il 24 gennaio 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Almerigo Apollonio, Dagli Asburgo a Mussolini. Venezia Giulia 1918-1922, Istituto Regionale per la Cultura Istriana, 2001.
  • Elio Apih, Italia, Fascismo ed Antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, Editori Laterza, 1966.
  • Massimiliano Blocher, „Il Narodni Dom di Max Fabiani a Trieste: analisi comparativa e ricostruzione digitale”, Trieste, Università degli Studi di Trieste, 2014.
  • Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Einaudi, Torino 1965.
  • M. Kacin Wohinz, L'incendio del Narodni Dom a Trieste, in Vivere al confine. Sloveni e italiani negli anni 1918-1941, GMD, Gorizia 2005.
  • Milan Pahor, Zrno do zrna, pogača, kamen do kamna, palača: Društvo “Narodni dom v Trstu” 1900-2000, «Zgodovinski časopis», Letnik 53, Ljubljana, 1999, št. 3 (116). (in lingua slovena)
  • Claudio Silvestri, Dalla Redenzione al Fascismo. Trieste 1918-1922, Del Bianco ed., Udine 1959.
  • Annamaria Vinci, Sentinelle della patria: Il fascismo al confine orientale 1918-1941, ed. Laterza, 2011.

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