Laogai

Distribuzione dei Laogai in Cina dal libro Laogai. I Gulag di Mao Zedong di Harry Wu.

Il termine laogai (勞改T, 劳改S, láogǎiP, abbreviazione di 勞動改造T, 劳动改造S, láodònggǎizàoP, in cinese "riforma attraverso il lavoro") si riferisce, propriamente, a una particolare forma di lavoro forzato della Repubblica Popolare Cinese. Il termine è anche usato in modo generalizzato per indicare le diverse forme di lavoro forzato previste dal sistema giuridico e carcerario cinese, che include anche il laojiao (勞教T, 劳教S, láojiàoP, lett. "rieducazione attraverso il lavoro") e il jiuye (letteralmente "personale addetto al lavoro forzato", ma viene da alcuni considerato una forma indiretta di reclusione). Lo stesso termine laogai, in senso invece restrittivo, viene talvolta usato per indicare un campo di concentramento. Secondo un'indagine del 2008 della Laogai Research Foundation, nella Repubblica Popolare Cinese sono presenti 1422 laogai.[1]

Le condizioni di vita dei forzati e il loro impiego come forza lavoro sono spesso indicati come lesivi dei diritti umani. A questo proposito occorre tener presente che la Convenzione 105[2] dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ONU) del 25 giugno 1957 che chiede l'abolizione della condanna ai lavori forzati non è mai stata ratificata dalla Cina[3] fino al 2013, quando la Corte Suprema cinese abolisce i Laogai insieme con la politica del figlio unico.

Diverse fonti sostengono che nei campi di lavoro vengano comunemente applicati la tortura, la rieducazione politica e che vi sia un alto grado di mortalità dei prigionieri riconducibile a maltrattamenti di vario tipo[4]. Documenti di condanna del sistema dei laogai sono stati prodotti da diversi governi e parlamenti (vedi paragrafo Denunce politiche internazionali).

Denunce molto gravi sono riportate anche nelle opere di Harry Wu (un dissidente cinese che ha passato molti anni in queste carceri, per poi fuggire negli Stati Uniti) e da altri dissidenti ed ex prigionieri. Tali denunce riguardano anche crimini come il traffico di organi dei reclusi.[5]

Note terminologiche[modifica | modifica wikitesto]

Il termine laogai si è diffuso in Occidente soprattutto in seguito alla pubblicazione dei libri di Wu. Tuttavia, riferimenti a questa parola si trovano già in Communist China: The early years 1949-1955 di Frederick A. Praeger (1964), Red Guard: The Political Biography of Dai Hsiao-ai (Gordon A. Bennett e Ronald N. Montaperto, 1972) e in La porta proibita di Tiziano Terzani (1984), che lo usa come sinonimo di "campo". Espressioni come "campo di concentramento"[6] o "gulag cinese"[7] sono usate da diversi autori, soprattutto ex prigionieri.

Definizioni ufficiali[modifica | modifica wikitesto]

Documenti ufficiali del Partito Comunista Cinese datati 26 agosto 1954 menzionano il laodong gaizao come "un processo di riforma dei criminali attraverso il lavoro, essenzialmente un metodo efficace per eliminare i criminali e i controrivoluzionari". Il termine laojiao (laodong jiaoyang - rieducazione attraverso il lavoro) si trova in documenti del 3 agosto 1957. Nel 1988, il Ministero di Giustizia descrisse gli scopi del sistema dei laogai in questo modo: "lo scopo principale dei laogai è quello di punire e riformare i criminali. Per definire concretamente le loro funzioni, essi servono in tre campi: punire i criminali e tenerli sotto sorveglianza; riformare i criminali; utilizzare i criminali nel lavoro e nella produzione, creando in tal modo ricchezza per la società". Secondo il tifa, che elenca i termini utilizzabili e pubblicabili in Cina, è illegale chiamare i laogai cinesi "campi di concentramento" o anche semplicemente "campi"; questi termini possono riferirsi ai campi nazisti, sovietici, o della Cina nazionalista.

Tipi di condanna[modifica | modifica wikitesto]

La condanna al laogai (in senso stretto) richiede un processo ufficiale e viene applicata a soggetti riconosciuti dalla legge come criminali; i detenuti sono privati dei diritti civili e non ricevono salario.

La condanna al laojiao ("rieducazione attraverso il lavoro") è riservata a coloro che hanno compiuto reati minori, per cui non sono legalmente classificati come criminali. I condannati conservano i diritti civili e percepiscono un modesto salario. Il sistema del laojiao viene spesso attaccato come lesivo dei diritti umani e civili. A questo tipo di condanna è infatti associato un iter giudiziario semplificato (e quindi potenzialmente più arbitrario), che permette alle amministrazioni e alla polizia locali di recludere persone senza processo. I detenuti "laogai" e "laojiao" non raramente vivono negli stessi complessi e lavorano insieme, e si distinguono soprattutto perché i primi indossano un'uniforme e hanno i capelli rasati.

Il sistema dei jiuye ("personale addetto al lavoro forzato") riguarda invece l'assegnamento di un lavoro all'interno di una struttura carceraria. Anche il jiuye viene considerato con sospetto da molte fonti occidentali. Sebbene esso non implichi formalmente l'incarcerazione dell'individuo (che rimane teoricamente libero e percepisce uno stipendio regolare), la condizione del personale jiuye (che spesso è costituito da persone obbligate a prestare servizio nei campi) viene spesso descritta come "semi-carceraria". I lavoratori possono vivere insieme con le loro famiglie all'interno o nei pressi dei complessi carcerari, e spesso sono ex-detenuti provenienti dal laogai. Esisterebbe il detto: "laogai e laojiao hanno una fine; jiuye è per sempre".

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'antica Cina fece uso del lavoro forzato per oltre 2.500 anni, sfruttando anche in tempo di pace sia civili sia criminali. Lavoratori forzati furono impiegati nella costruzione della Grande Muraglia e del Grande Canale. Già molto prima della rivoluzione, il lavoro forzato veniva inteso come "rieducativo" in un'accezione forte, ovvero volto a instillare nel lavoratore l'etica confuciana. Durante il periodo nazionalista il lavoro forzato perse molta importanza, con l'eccezione della leva militare durante la guerra col Giappone. Mao Zedong tornò ad applicarlo in modo sistematico, nel contesto della sua visione sociale e politica, come strumento adatto da una parte alla rieducazione dei controrivoluzionari, dall'altra a garantire che anche i detenuti contribuissero come i cittadini liberi alla produzione. Il legame fra l'antico "dispotismo orientale" e la visione di Mao è ben rappresentato dal fatto che lo stesso Mao dichiarò esplicitamente di ispirarsi ai princìpi del Signore di Shang, della dinastia Qin, secondo il quale "la popolazione deve essere obbligata a lavorare"[8]. I detenuti furono spesso mandati in campi nelle regioni di confine, che avevano anche funzioni militari difensive.

Nel periodo maoista, e prima delle riforme di Deng (1978-1992), i laogai furono largamente usati per reprimere le opposizioni al regime. Gli stessi processi erano spesso solo una formalità, avendo la difesa solo il compito di invocare la clemenza della corte. Il sistema giudiziario non era infatti basato sul concetto di diritto, e insistere troppo nella dichiarazione di innocenza portava a un inasprimento della pena: "clemenza con chi confessa, severità con chi resiste". In origine, il laojiao si è anche distinto dal laogai per l'incertezza della durata della pena, al punto che alcuni detenuti arrivavano a commettere crimini più gravi per passare al laogai (con pene di durata fissata). La situazione è cambiata nel 1982, quando la durata massima della condanna al laojiao è stata stabilita in tre anni.

Il numero dei prigionieri e l'uso dei campi è stato intensificato durante alcune fasi politiche o produttive quali la Campagna dei cento fiori, il Grande balzo in avanti e la Rivoluzione Culturale.

Nei primi anni, i detenuti "controrivoluzionari" costituivano il 90% dei reclusi; negli anni ottanta, circa la metà dei detenuti negava di aver commesso alcun crimine; negli anni novanta, la percentuale di detenuti politici si è ridotta fino al 10%. Nel periodo maoista (1949-1976) i condannati al laojiao erano reclusi solitamente per 20 anni, mentre nel periodo denghista (1978-1992) la durata non superava i 10.[9]

Condizioni di vita[modifica | modifica wikitesto]

Quello che conosciamo delle condizioni di vita nei laogai proviene quasi esclusivamente da detenuti fuggiti o scarcerati e rifugiatisi all'estero. Fra le testimonianze che descrivono i laogai in modo più critico, paragonandoli ai gulag e ai lager, ci sono The thirty-sixth way (1969), Prisoner of Mao (1973), Red in tooth and claw (1994) e Zuppa d'erba (1996). Alcuni temi ricorrenti in queste opere sono:

  • descrizioni di lavoro forzato a ritmi disumani (fino a 18 ore al giorno, con l'obbligo di rispettare determinate quote produttive);
  • uso della denutrizione e della tortura come sistemi punitivi e coercitivi;
  • appello alla delazione fra prigionieri;
  • sedute periodiche di "critica" e "autocritica", in cui i detenuti si accusano a vicenda, o si auto-accusano, di comportamenti criminali, a scopo rieducativo.

L'insieme di questi elementi configura anche un contesto generale di violenza fisica e psicologica coordinate che corrispondono al concetto di lavaggio del cervello.

Philip Williams e Yenna Wu (The Great Wall of Confinement, 2004) hanno paragonato le testimonianze dei prigionieri cinesi con quelle raccolte in Arcipelago Gulag di Solženicyn e con Un mondo a parte di Gustaw Herling. Gli autori riconoscono numerose somiglianze sotto diversi aspetti: condizioni delle baracche e di lavoro, maltrattamenti, delazione, denutrizione, scarsa igiene e malattie.

Uso della tortura[modifica | modifica wikitesto]

Secondo il rapporto annuale 2006 di Amnesty International[10] in Cina sono impiegati torture e maltrattamenti quali "calci, percosse, scosse elettriche, sospensione per gli arti superiori, incatenamento in posizioni dolorose e privazione del cibo e del sonno." Questa informazione non viene riferita in modo specifico ai laogai, ma genericamente a "molte istituzioni statali". L'uso della tortura nei laogai è testimoniato dai praticanti del Falun Gong, che riportano numerosi altri metodi (vedi sotto Laogai e Falun Gong). Pratiche dello stesso tipo sono documentate negli anni novanta da Harry Wu e nel 1958 dal Libro bianco sul lavoro forzato nella Repubblica Popolare Cinese della Commissione Internazionale contro il regime concentrazionario. Philip Williams e Yenna Wu spiegano che i metodi di tortura recenti differiscono poco da quelli tradizionali, applicati durante la dinastia Qing. Il libro Huo diyu di Li Baojia del 1906 descrive e mostra graficamente tali metodi.

Dimensioni del fenomeno[modifica | modifica wikitesto]

Anche circa il numero dei laogai presenti sul territorio cinese e il numero dei detenuti non si hanno informazioni ufficiali. Il già menzionato Wu sostiene che dal 1949 alla metà degli anni ottanta si debbano contare almeno 50 milioni di prigionieri, e che il numero di prigionieri attuali si aggiri intorno agli 8 milioni. Sempre Wu, nel suo libro Laogai: The Chinese Gulag elenca 990 campi, ipotizzando che il numero reale sia da 4 a 6 volte maggiore, fornisce una serie di mappe con la loro collocazione e descrive alcuni campi (vedi la voce Harry Wu). Il Laogai Handbook 2005-2006 curato dalla Laogai Research Foundation aggiornato al settembre 2006 ne censisce 1045, riportando per ciascuno anche il tipo di attività svolto dai forzati. Altre fonti[senza fonte] ipotizzano che il fenomeno dei laogai in realtà sia molto più vasto di quanto si possa ipotizzare persino dalle stime di Wu e che il lavoro forzato, a costo quasi nullo, possa costituire un elemento importante dell'economia cinese moderna. Nessuno di questi dati ha conferma ufficiale da parte del governo cinese o di autorità internazionali.

Molte fonti denunciano anche un presunto alto livello di mortalità nei laogai dovuto alle cause più disparate; anche questo dato è non confermato da fonti ufficiali cinesi e non verificabile. Fonti apertamente ostili forniscono cifre molto elevate: per esempio, Il libro nero del comunismo stima in 20 milioni i decessi dal 1949 al 1989 (a partire dai dati del sinologo Jean-Luc Domenach: numero medio di prigionieri di 10 milioni e tasso di mortalità del 5% l'anno). Analogamente, Mao: La storia sconosciuta di Jung Chang e Jon Halliday stima in 27 milioni i decessi per il periodo maoista dal 1949 al 1976, a partire dai dati di Rummel, Margolin, Ledovskij e Kulik (10 milioni di prigionieri e tasso di mortalità del 10%). Rummel parla di 15 milioni. Philip Williams e Yenna Wu (The Great Wall of Confinement, 2004) considerano anche quest'ultima stima troppo elevata e spiegano che la mortalità era inferiore a quella del gulag sovietico.

Denunce politiche internazionali[modifica | modifica wikitesto]

Diversi parlamenti e governi nazionali si sono espressi apertamente contro il sistema dei laogai e le violazioni dei diritti umani che vi avrebbero luogo.

Congresso USA[modifica | modifica wikitesto]

Il 16 dicembre 2005 il Congresso degli Stati Uniti a larga maggioranza (413 favorevoli, 1 contrario e 19 astenuti o assenti) ha approvato la mozione 294

«Appello alla comunità internazionale per condannare i Laogai, il sistema di campi di prigionia di lavoro forzato nella Repubblica Popolare cinese, quale strumento di repressione del Governo cinese[11]»

Con la quale il Congresso

  • s'impegna a lavorare, auspicando l'appoggio in questo anche del Parlamento dell'Unione europea, per giungere a un'analoga risoluzione della Commissione per i Diritti Umani dell'ONU.
  • sollecita l'istituzione di una Commissione internazionale che possa rendere pubblica la verità sui Laogai.
  • invita il Governo degli Stati Uniti
    • ad applicare pienamente la legge che proibisce l'importazione di tutti i prodotti provenienti da lavori forzati riconducibili ai Laogai
    • a rivedere l'attuazione dei memorandum bilaterali con la Cina circa il lavoro nelle prigioni (1992, 1994)
  • invita il Governo cinese
    • a rendere pubbliche informazioni sui Laogai quali il numero delle esecuzioni effettuate e i dati sugli organi prelevati ai condannati a morte;
    • ad accogliere nei Laogai visite senza restrizioni di ispettori internazionali dei diritti umani, compresi gli ispettori delle Nazioni Unite;

Parlamento europeo[modifica | modifica wikitesto]

Il 7 settembre 2006 ha concluso il suo iter (incominciato il precedente 12 luglio) con l'approvazione presso il Parlamento europeo la risoluzione non legislativa "INI/2005/2161" ("relazioni tra Unione Europea e Cina"[12][13]. A favore della risoluzione hanno votato in 351; i contrari sono stati 48 mentre in 160 (soprattutto da parte del Partito Socialista Europeo) si sono astenuti per la scarsa enfasi data dal documento alla politica dell'Unione europea di "una Cina, due sistemi".

Compilato in occasione del trentennale della istituzione di rapporti diplomatici stabili tra UE e Cina, dedica uno specifico comma alla situazione dei diritti umani:

  1. criticando le violazioni in tema di libertà religiose (nonostante siano previste dall'articolo 36 della costituzione cinese), il ricorso alla tortura e l'uso strumentale dell'accusa di "minaccia alla sicurezza pubblica" contro chi esercita il diritto di critica costituzionalmente riconosciuto
  2. chiedendo il rilascio dei prigionieri politici, con speciale riferimento ai dimostranti di piazza Tienanmen.
  3. esprimendo preoccupazione verso l'accondiscendenza mostrata da Yahoo! e Google nei confronti della politica censoria del Governo cinese.

Riguardo specificatamente ai laogai così si esprime:

«il parlamento condanna l'esistenza dei campi di lavoro Laogai sparsi nel paese, nei quali la Repubblica Popolare Cinese detiene attivisti favorevoli alla democrazia e ai sindacati e membri di minoranze senza un giusto processo, costringendoli a lavorare in terribili condizioni e senza cure mediche. Su ogni bene esportato la Cina deve dare garanzia scritta che non è prodotto nei Laogai e, in mancanza di quest'assicurazione, la Commissione deve proibirne l'importazione nell'UE[14]»

Nel dicembre 2019 un'altra risoluzione denunciava l'internamento di molti cittadini cinesi innocenti e condannava il governo cinese annunciando sanzioni di tipo economico.[15] Il parlamento dell'unione europea così delibera:

«il parlamento condanna fermamente il fatto che centinaia di migliaia di uiguri e persone di etnia kazaka siano stati inviati in ‘campi di rieducazione’ politica, sulla base di un sistema di polizia predittiva, ed esorta il governo cinese a porre immediatamente fine alla pratica delle detenzioni arbitrarie di membri delle minoranze uigura e kazaka in assenza di capi d’accusa, di un processo o di condanne per reati, a chiudere tutti i campi e i centri di detenzione e a liberare immediatamente e incondizionatamente le persone detenute, compreso il vincitore del Premio Sacharov di quest’anno, Ilham Tohti

Bundestag tedesco[modifica | modifica wikitesto]

Il 7 marzo 2007 il Bundestag (Parlamento tedesco) a larga maggioranza[16] ha approvato la mozione 16/5146[17] di condanna dei Laogai presentata da esponenti di CDU/CSU, FDP, SPD e Verdi, divenuta risoluzione il successivo 10 maggio. Il preambolo del documento recita:

«Il vecchio sistema dei gulag sovietici (un sistema penale) è reputato come uno dei metodi più abietti e repressivi che storicamente un regime totalitario abbia mai instaurato contro la sua stessa popolazione. Quel sistema raggiunse il suo orrendo apice con Stalin. In Occidente le atrocità perpetratevi cominciarono a essere conosciute grazie ad Arcipelago Gulag, un libro del Premio Nobel Alexander Solzhenitsyn.
Mentre il sistema dei gulag sovietici appartiene al passato, oggi un sistema altrettanto repressivo e abietto è all'opera contro i cittadini della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Nella RPC i dissidenti politici, insieme a persone colpevoli di reati minori o comuni, sono terrorizzati allo stesso modo da un sistema simile chiamato sistema dei laogai. Colpiti sono soprattutto minoranze etniche come tibetani, mongoli e uiguri, e minoranze religiose, specialmente i fedeli Falun Gong. In oltre 1.000 prigioni, campi di lavoro e cosiddette cliniche psichiatriche, istituite fin dai tempi di Mao, i dissidenti subiscono la carcerazione e la "rieducazione politica" senza aver avuto un regolare processo.[18]»

Tra l'altro il Bundestag chiede al governo della Repubblica Popolare cinese:

  • di chiudere i Laogai e di porre la questione nell'agenda dei colloqui bilaterali cino-tedeschi
  • di rendere note informazioni indispensabili a valutare il fenomeno dei laogai: numero di installazioni, localizzazione e numero di detenuti, tasso di mortalità
  • informazioni su quanto vi è prodotto, i marchi utilizzati e le nazioni ove sono esportati
  • di consentire visite di organismi indipendenti
  • di informare società e associazioni per il commercio tedeschi circa i prodotti da loro acquisiti provenienti dai Laogai
  • di rendere pubbliche informazioni circa il commercio di organi prelevati ai detenuti dei Laogai
  • di sensibilizzare il Consiglio ONU sui Diritti Umani sul problema dei laogai
  • di imporre, a livello europeo, un marchio sui prodotti cinesi che specifichi l'eventuale provenienza da Laogai e di promuovere a livello ONU il bando dai mercati internazionali delle merci prodotte nei Laogai.

Governo australiano[modifica | modifica wikitesto]

Nel giugno 2004 il Ministero per il commercio e affari esteri del Governo australiano ha valutato l'opportunità di stabilire un'area di libero commercio con la Cina [1]. In questo documento il citato ministero esamina diversi aspetti della società cinese con particolare riferimento a quanto concerne i diritti riconosciuti ai lavoratori (lavoro minorile, associazionismo). Tra l'altro dedica ai laogai il capitolo intitolato China's Prison Labour system – the Laogai (Sistema di prigioni di lavoro cinese - Laogai) dove, dopo aver ricordato che alcuni paragonano i laogai ai gulag sovietici e averne stimato il numero tra 1.000 e 6.000 con un numero variabile di internati tra i 10 e 20 milioni, ne delinea la storia:

«Negli anni Sessanta il lavoro delle prigioni era impiegato per [costruire] le grandi infrastrutture mentre oggi è usato per [produrre] beni di consumo, spesso per il mercato estero. I campi sono gestiti come imprese e la vendita delle merci prodotte deve coprire il 70% delle spese di gestione. Si stima che oltre 200 prodotti dei laogai siano esportati sui mercati internazionali, che il 25% del tè cinese sia prodotto dal lavoro dei laogai, come molti altri beni. Nel 1999 ci fu uno scandalo internazionale quando si scoprì che Adidas stava producendo palloni in un Laogai.[19]»

Il capitolo continua riconoscendo che la segretezza che avvolge lo Stato cinese impedisce di conoscere esattamente le cifre del fenomeno..

«Ma questo può essere dato per certo - la Cina è uno stato a partito unico con un forte apparato di sicurezza che non ammette il dissenso politico. In un paese di 1,2 miliardi di abitanti si può presumere che molti siano incarcerati per una varietà di ragioni - la dura repressione dei Falun Gung negli ultimi anni è un esempio. È pratica normale della politica cinese far lavorare i prigionieri, è probabile che questi prigionieri producano beni di consumo e che alcuni di questi giungano anche sui mercati internazionali[20]»

Parlamento italiano[modifica | modifica wikitesto]

Il 15 aprile 1998, la Camera dei deputati del Parlamento italiano, tramite la III Commissione (affari esteri) con presidente Achille Occhetto, approva all'unanimità la risoluzione "Sulla situazione in Tibet" dell'Onorevole Fazio Calzavara e altri.

«impegna il Governo a porre in essere ogni sforzo politico e diplomatico per promuovere negli organismi internazionali, in particolare presso il Consiglio d'Europa e le Nazioni Unite, iniziative in favore del rispetto dei diritti umani nella Repubblica popolare di Cina, e, in particolare, nel Tibet, nel Turchestan orientale ed in Mongolia inferiore per la immediata scarcerazione dei detenuti politici e per la chiusura dei Laogai.»

Laogai e Falun Gong[modifica | modifica wikitesto]

Il 20 luglio 1999, il governo della Repubblica Popolare Cinese dichiarò la pratica del Falun Gong bandita da tutto il paese (con la sola eccezione di Hong Kong), accusandola di diffondere credenze irrazionali, di minare la stabilità sociale e di decine di altri capi di accusa che si sono rivelati tutti privi di ogni fondamento. La sera del 20 luglio vennero prelevati dalle loro case e posti in stato di arresto circa 30.000 praticanti del Falun Gong nelle principali città della Cina. A ciò segui un annuncio del governo in cui veniva dichiarato che tutti i praticanti che si impegnavano ad abbandonare la pratica e firmavano una dichiarazione di rinuncia a praticare, non avrebbero subito nessun tipo di conseguenza. In seguito, centinaia di migliaia di praticanti sono stati imprigionati perché si rifiutarono di firmare la "dichiarazione di rinuncia a praticare" o perché avevano tentato di chiarire la verità sulla pratica alle autorità. La gran parte di loro sono stati destinati ai laojiao e almeno tremila persone sono morte come conseguenza delle torture subite. Tali stime sono fornite dai praticanti del Falun Gong e confermate dallo State Department and human rights organization americano. Il sito principale creato dai praticanti del Falun Gong allo scopo di denunciare la persecuzione in corso (www.clearwisdom.net), pubblica regolarmente report di prima mano che espongono le crudeltà a cui i praticanti sono sottoposti all'interno dei campi[21]. Alcune informazioni presentate dal sito (per esempio quelle secondo cui i praticanti del Falun Gong sarebbero usati dal governo cinese per l'esportazione non autorizzata di organi) sono state smentite da Harry Wu.

Prelievo di organi[modifica | modifica wikitesto]

Diverse fonti hanno ripetutamente accusato il governo cinese di utilizzare prigionieri politici come donatori involontari di organi. Le accuse più gravi riguardano il prelievo forzato di organi a persone mantenute in vita in attesa di una richiesta bio-compatibile e uccise durante o subito dopo gli interventi chirurgici.

In marzo 2006, è stato denunciato il campo di Sujiatun[22], in cui i praticanti del Falun Gong sarebbero stati uccisi per il prelievo degli organi, ma indagini di osservatori statunitensi non hanno trovato alcuna prova di illeciti [2]. Il governo cinese ha ammesso che i detenuti condannati a morte sono soggetti al prelievo di organi, ma ha negato che tale prelievo venga eseguito senza il consenso del donatore.

Il 24 maggio 2006, la Coalition to Investigate the Persecution of the Falun Gong in China (CIPFGC), una ONG con sede negli Stati Uniti e associata all'associazione Falun Dafa, ha richiesto in merito un'indagine indipendente a David Matas (avvocato internazionale dei diritti umani ed ex membro di Amnesty International) e David Kilgour (ex parlamentare e segretario di Stato del governo del Canada). I due autori hanno pubblicato un primo documento riassuntivo delle loro conclusioni il 7 luglio 2006 e hanno continuato le ricerche raccogliendo nuove importanti informazioni, pubblicate il 31 gennaio 2007 nella seconda versione del documento. Tale documento conferma che, pur mancando prove conclusive, appare molto probabile che le accuse mosse al governo cinese siano fondate.

Gli argomenti più forti sono:

  1. la notevole rapidità con cui gli ospedali garantiscono di reperire organi bio-compatibili: una o due settimane contro 30 o 50 mesi necessari in Canada.
  2. interviste telefoniche con personale di diversi ospedali cinesi, che ha risposto positivamente a domande esplicite circa la disponibilità di praticanti del Falun Gong vivi e destinati al prelievo di organi;
  3. correlazioni statistiche fra il numero di prelievi, il numero di prigionieri e l'evolversi della persecuzione del Falun Gong, che lascia supporre l'esistenza di "un'ampia banca di donatori vivi";
  4. il fatto che il Governo Cinese non è stato in grado di contraddire il rapporto in alcun modo, rispondendo soprattutto con accuse nei confronti del Falun Gong, atteggiamento che tende a rafforzare il rapporto stesso.

Le conclusioni riportate nel documento contrastano con il risultato di precedenti indagini condotte da altri osservatori statunitensi. Il documento di Kilgour e Matas è basato sugli stessi dati disponibili anche in precedenza, ed è stato osservato che le sue conclusioni sono tratte più per via di inferenze logiche che sulla base di prove fattuali. Sebbene molte di tali conclusioni siano largamente accettate dagli enti internazionali che si occupano di difendere i diritti umani, le conclusioni generali della prima versione del rapporto di Matas e Kilgour non sono universalmente accettate come definitive.[23]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Quanti sono i Laogai, il numero dei campi di concentramento in Cina, il governo cinese pone il segreto di stato sui detenuti | Laogai
  2. ^ testo della Convenzione 105
  3. ^ lista dei paesi che hanno ratificato la Convenzione 105 Archiviato il 19 aprile 2007 in Internet Archive.
  4. ^ *intervista Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive. del 5 maggio 2005 su PeaceReporter di Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty International
  5. ^ Indagine indipendente sul traffico di organi di praticanti del Faulun Gong
  6. ^ Peng Yinhan (Dalu jizhongying - The mainland concentration camp), Pu Naifu (The scourge of the sea - A true account of my experiences in the Hsia-sa village concentration camp), Commissione Internazionale contro il regime concentrazionario (Libro bianco sul lavoro forzato nella Repubblica Popolare Cinese, 1958)
  7. ^ Hongda Harry Wu (Laogai: the chinese Gulag e Bitter winds: a memoir of my years in China's Gulag), Kate Saunders (Eighteen layers of hell: stories from the chinese Gulag), Wang Xiaoling (L'allodola e il drago - Sopravvissuta nei gulag della Cina)
  8. ^ Jonathan Spence, Mao Zedong, pag 21-23, 71
  9. ^ Philip Williams & Yenna Wu (The Great Wall of Confinement: The Chinese Prison Camp) pp. 2, 25, 53.
  10. ^ Rapporto annuale 2007 - Cina Archiviato il 30 settembre 2007 in Internet Archive. di Amnesty International
  11. ^

    «Calling on the international community to condemn the Laogai, the system of forced labor prison camps in the People's Republic of China, as a tool for suppression maintained by the Chinese Government.»

  12. ^ testo della risoluzione INI/2005/2161 del Parlamento europeo sulle relazioni bilaterali Unione Europea-Cina
  13. ^ La Cina rispetti diritti umani e libertà religiosa Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive. del servizio stampa del Parlamento europeo
  14. ^

    «Parliament went on to condemn the existence of the Laogai labour camps across the country, in which the PRC detained pro-democracy activists, labour activists and members of minorities without a fair trial, forcing them to work in appalling conditions and without medical treatment. China must give a written undertaking in relation to any given exported product that it had not been produced by forced labour in a Laogai camp and, if no such assurance could be given, the Commission must prohibit its importation into the EU.»

  15. ^ uiguri e kazaki detenuti in campi di concentramento in Cina: adottare sanzioni
  16. ^ A favore hanno votato tutti i gruppi del Bundestag, con la sola esclusione dei Verdi che non hanno partecipato al voto. Si vedano (DE) gli estratti pubblicati sul sito del Bundestag
  17. ^ sunto di "Für die Verurteilung des Systems der Laogai-Lager in China"[collegamento interrotto]
  18. ^

    «Eines der berüchtigtsten Unterdrückungsinstrumente eines totalitären Staates gegen seine eigene Bevölkerung in der Geschichte war das sowjetische „Gulag“-System von Straf- und Verbannungslagern, welches in der Stalinzeit seinen schrecklichen Höhepunkt erreichte. Im Westen erlangten die Gräuel, die in diesen Lagern begangen wurden, insbesondere durch das Werk „Der Archipel Gulag“ des Literatur-Nobelpreisträgers Alexander Solschenizyn Bekanntheit.
    Während das sowjetische Gulag-System der Vergangenheit angehört, besteht in der Volksrepublik China ein ähnliches Unterdrückungsinstrument fort. Dort werden politische Dissidenten ebenso mit dem so genannten Laogai-System drangsaliert wie Menschen, die wegen allgemeiner, nicht selten auch kleiner Delikte verurteilt sind. Betroffen sind aber auch Angehörige ethnischer Minder- heiten wie Tibeter, Mongolen und Uighuren sowie Angehörige religiöser Minderheiten, insbesondere auch Falun-Gong-Anhänger.»

  19. ^

    «In the 1960s the prison labour was used to assist great infrastructure projects but in today's China they are used to make consumer goods, often for the export market. The camps are operated as businesses and need to make 70% of their annual costs in sales of goods. It is estimated that over 200 Laogai products are exported to international markets, that 25% of Chinese tea is made by Laogai labour as well as countless other products. In 1999 there was an international furore when it was discovered that Adidas were manufacturing soccer balls in a Laogai»

  20. ^

    «But the following can be said with certainty – China is a single party state with a strong security apparatus who do not allow political dissent. In a country of 1.2 billion it can be assumed that many people are incarcerated for a variety of reasons – the Falun Gung crackdown of recent years being a case in point. It is formal Chinese policy to make prisoners work, it is likely these prisoners make consumer goods, some of which find their way onto the international market.»

  21. ^ Nei campi di Masanjia, Jinzhou, Ping'antai e Dalian. Esistono anche video testimonianze Archiviato il 6 ottobre 2007 in Internet Archive.
  22. ^ Il campo, Testimoni, articolo di Epoch Times
  23. ^ Documento del Congressional Research Service Archiviato il 16 maggio 2011 in Internet Archive. degli Stati Uniti pubblicato l'11 agosto 2006, in cui le conclusioni del primo rapporto di Matas e Kilgour sono messe in discussione

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Commission Internationale contre le régime concentrationnaire (CICRC), White book on forced labour in the People's Republic of China (I - the hearings), 1956
  • Commission Internationale contre le régime concentrationnaire (CICRC), White book on forced labour in the People's Republic of China (II - the records), 1958
  • Gordon A. Bennett & Ronald N. Montaperto, Red Guard - The political biography of Dai Hsiao-ai, ed. Anchor Books, 1972, ISBN 0-8446-4710-1
  • Tiziano Terzani, La porta proibita, ed. Longanesi, 1984, ISBN 88-304-0240-0
  • Hongda Harry Wu, Laogai: the chinese Gulag, ed. Westview Press, 1992, ISBN 0-8133-1769-X
  • Jean-Luc Domenach, Chine: l'archipel oublié, ed. Fayard, 1992, ISBN 2-213-02581-9
  • Lee Ta-ling, The bamboo gulag: human rights in the People's Republic of China, 1991-1992, ed. University of Maryland School of Law, 1994, ISBN 0-925153-35-4
  • Jasper Becker, La rivoluzione della fame, ed. Il Saggiatore, 1998, ISBN 88-428-0651-X
  • James D. Seymour & Richard Anderson, New ghosts, old ghosts: prisons and labor reform camps in China, ed. M.E. Sharpe, 1998, ISBN 0-7656-0097-8
  • aa. vv., Il libro nero del comunismo, ed. Mondadori, 1999, ISBN 88-04-47330-4
  • Philip Williams & Yenna Wu, The Great Wall of Confinement: The Chinese Prison Camp, ed. University of California Press, 2004, ISBN 0-520-24402-8
  • Jonathan Spence, Mao Zedong, ed. Fazi, 2004, ISBN 88-8112-451-3
  • Jung Chang & Jon Halliday, Mao. La storia sconosciuta, ed. Longanesi, 2006, ISBN 88-304-2193-6
  • Maria Vittoria Cattania e Toni Brandi (Laogai Research Foundation), Cina. Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte, ed. Guerini e associati, 2008, ISBN 88-8335-974-7
  • Laogai Research Foundation Italia, La persecuzione dei cattolici in Cina, ed. Sugarco, 2012, ISBN 978-88-7198-635-7

Testimonianze di prigionieri

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