Lamiro e Lamo

Lamiro e Lamo
SagaEneide
Nome orig.Lamyrus e Lamus
1ª app. inEneide di Virgilio, I secolo a.C. circa
Caratteristiche immaginarie
Sessomaschi
Luogo di nascitaArdea
Affiliazioneguerrieri al seguito di Remo (esercito di Turno)

Lamiro e Lamo (lat. Làmyrus e Lamus) sono due personaggi dell'Eneide, menzionati nel libro IX del poema.

Il mito[modifica | modifica wikitesto]

Lamiro e Lamo sono due italici che prendono parte alla guerra contro Enea e i suoi uomini sbarcati nel Lazio dopo la caduta di Troia. Entrambi fanno parte del contingente di Remo: quest'ultimo è uno dei quattordici condottieri scelti da Turno, il capo supremo dell'esercito, per l'assedio alla cittadella nemica. Ma Eurialo e Niso, due giovani guerrieri troiani, escono di notte armati di spada dal campo troiano e penetrano in quello degli assedianti, che giacciono addormentati, facendone grande strage. Tra le vittime di Niso ci sono appunto Remo, Lamiro e Lamo, ai quali il troiano recide la testa con la spada; è decapitato anche Serrano - un altro combattente agli ordini di Remo - famoso per la bellezza del suo volto.

 " Sic memorat uocemque premit, simul ense superbum
Rhamnetem adgreditur, qui forte tapetibus altis
exstructus toto proflabat pectore somnum,
rex idem et regi Turno gratissimus augur,
sed non augurio potuit depellere pestem.
Tris iuxta famulos temere inter tela iacentis
armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis
nactus equis ferroque secat pendentia colla.
Tum caput ipsi aufert domino truncumque relinquit
sanguine singultantem; atro tepefacta cruore
terra torique madent. Nec non Lamyrumque Lamumque
et iuuenem Serranum, illa qui plurima nocte
luserat, insignis facie, multoque iacebat
membra deo uictus; felix, si protinus illum
aequasset nocti ludum in lucemque tulisset "

(Virgilio, Eneide, libro IX, vv. 324-38)

 " Così dice, e frena la voce; ed assale con la spada
il superbo Ramnete, che su spessi tappeti
ammucchiati spirava sonno dal profondo del petto:
era re e augure, gratissimo al re Turno,
ma con l'augurio non poté allontanare da sé la rovina.
Vicino uccide tre servi che giacevano a caso
tra le armi, e lo scudiero di Remo; all'auriga trovato
sotto i cavalli col ferro squarcia il collo riverso;
poi decapita il loro padrone, e lascia il tronco
rantolante nel sangue; la terra e i giacigli s'intridono
caldi di nero umore. E anche Lamiro e Lamo,
e il giovane Serrano, che aveva giocato fino alla notte
più tarda, bellissimo d'aspetto, giaceva con le membra vinte
dall'eccesso del dio. "

(traduzione di Luca Canali)

Interpretazione dell'episodio e realtà storica[modifica | modifica wikitesto]

 " Un valletto di Remo, e sotto a' suoi
destrier l'auriga trucidò: facea
col ferro a questo ciondolar la testa;
a Remo indi la spicca: il sangue a rivi
sgorga dal tronco. L'origlier, la terra
corrono sangue. Poi Lamiro e Lamo,
e 'l giovine Serrano. Era un vezzoso
garzon, che in gioco avea speso gran tempo
e briaco s'addormia "

(traduzione di Stefano Stefani)

A unire questa coppia di commilitoni con i nomi allitteranti tra loro non è un vincolo di parentela, ma l'identico destino di morte. È uno di quei passi virgiliani in cui si avverte l'imprescindibilità del Fato che tutto sovrasta, anche se non si può escludere l'ipotesi del rapporto di amicizia - o perlomeno di simpatia reciproca - formatosi nel contesto bellico e rafforzato appunto dai nomi quasi identici. Ma proprio l'onomastica dei due giovani, sembra altresì volere dire il poeta, è destinata in qualche modo a conservarsi: in essa è contenuto infatti un collegamento alla futura gens Lamia.

Varianti[modifica | modifica wikitesto]

  • Nelle loro traduzioni Annibal Caro e Clemente Bondi deformano il nome Lamiro in "Tamiro": così anche Italo Mario Palmarini nella sua versione in prosa (" Di poi spicca il capo allo stesso padrone e ne lascia il tronco sobbalzante nel sangue. Il terreno e i trepidi letti sono lordati dal torbido sangue. La stessa sorte tocca a Tamiro, a Lamo, a Serrano - giovane di bello aspetto - il quale aveva passato gran parte della notte a giuocare e ora se ne stava abbandonato e vinto dal molto vino bevuto ").

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  • Virgilio, Eneide, libro IX.

Traduzione delle fonti[modifica | modifica wikitesto]

  • Virgilio, Eneide, traduzione di Luca Canali.
  • Virgilio, Eneide, traduzione di Stefano Stefani.
  • Virgilio, Eneide, traduzione di Italo Mario Palmarini.