Junko Tabei

Junko Tabei nel 1985

Junko Tabei (田部井 淳子?, Tabei Junko), nata Junko Ishibashi (石橋 淳子?, Ishibashi Junko; Miharu, 22 settembre 1939Kawagoe, 20 ottobre 2016) è stata un'alpinista giapponese.

Divenne nota soprattutto per essere stata la prima donna a raggiungere la vetta dell'Everest il 16 maggio 1975, impresa che fece di lei una leggenda dell'alpinismo femminile.[1] Oltre all'ascensione dell'Everest nel 1975[2], compì, poi, la prima ascensione femminile di due Ottomila e ancora quella dello Shisha Pangma nel 1981.[3] Fu inoltre la prima donna a completare l'ascesa delle Seven Summits.[4]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Giovinezza[modifica | modifica wikitesto]

Junko nacque a Miharu, Fukushima, quinta di sette figli. Nonostante fosse considerata una bambina fragile e debole, la sua passione per la montagna sbocciò intorno ai 10 anni, durante una escursione scolastica al Monte Nasu. Sebbene interessata a compiere ulteriori salite, la famiglia non assecondò la sua passione, considerandolo un hobby troppo costoso, sicché lei ebbe poche occasioni di andare ancora in montagna durante il periodo del liceo. Dopo aver completato gli studi universitari in letteratura inglese presso un'università privata femminile di Tokyo, fondò un club di alpinismo per sole donne nel 1969. Nel biennio 1969-70 conquistò col marito le vette più alte del Giappone e quelle delle Alpi.

Junko Tabei durante una scalata nel 1985

La scalata dell'Everest[modifica | modifica wikitesto]

Junko Tabei, per sfatare i luoghi comuni che volevano le donne inadatte alle scalate più difficili, nel 1969 fondò il "Ladies Climbing Club" (LCC) i cui membri erano tutte donne e con il quale completò una lunga serie di scalate in oltre settanta paesi in tutto il mondo. Nel 1970, dopo essere stata la prima donna a raggiungere i 7.555 metri della terza vetta del massiccio dell'Annapurna, iniziò a pianificare quella che si rivelerà essere il suo più grande successo: l'ascesa dell'Everest.[1]

Nel 1970 con l'LCC, diede vita al progetto "donne giapponesi per la spedizione sull'Everest" e, non senza difficoltà, riuscì ad ottenere dal governo del Nepal il permesso per guidare un gruppo di quindici donne comuni sul famoso monte. Il progetto fu sponsorizzato dal giornale Yomiuri Shinbun e dalla Nippon Television. Al termine di un lungo periodo di formazione durato cinque anni, le alpiniste raggiunsero Katmandu iniziando nel maggio del 1975 la marcia verso la vetta,[1] accompagnate da nove guide Sherpa, e salirono per la via normale per il Colle Sud e la cresta sud-est.

All'inizio di maggio, il gruppo era già a un'altitudine di 6.300 metri, quando una valanga ne seppellì il campo, senza fare vittime, ma Junko Tabei rimase per qualche minuto priva di sensi. L'incidente la rese ancora più determinata: dopo aver ripreso le forze, decise infatti di porsi alla testa del gruppo. Il 16 maggio 1975, dodici giorni dopo la valanga, Junko Tabei toccava la vetta dell'Everest, prima donna al mondo (nel 1992 divenne anche la prima donna a completare le Seven Summits).

Attività successive[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 1990 e il 1991, Junko Tabei raggiunse la vetta del Monte Vinson: la cima più alta dell'Antartide. Nel giugno del 1992, salendo il Puncak Jaya in Indonesia, divenne la prima donna a completare le Seven Summits.

Oltre alla carriera alpinistica, Junko Tabei fu impegnata sul fronte ecologista. Nel 2000 completò uno studio post laurea all'università di Kyushu, focalizzato sul degrado ambientale dell'Everest, causato dai rifiuti abbandonati dalle spedizioni alpinistiche. Junko Tabei fu anche direttrice dell'Himalayan Trust of Japan, una organizzazione attiva a livello globale nella conservazione degli ambienti in quota. Uno tra i progetti realizzati da questa organizzazione fu la costruzione di un inceneritore per eliminare i rifiuti lasciati dagli scalatori. Junko Tabei partecipò ad altre attività di bonifica dei rifiuti sulle montagne del Giappone e dell'Himalaya.

Morte[modifica | modifica wikitesto]

Junko Tabei morì nell'ottobre 2016 di cancro, lasciando due figli. Pur essendo malata dal 2012, scalò vette fino al 2015.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Cristiano Suriani, Junko Tabei, la leggenda dell’alpinismo femminile, su tuttogiappone, 18 ottobre 2018. URL consultato il 20 settembre 2019.
  2. ^ (EN) Tom Connor, Regional Notes - Asia (PDF), in Alpine Journal, 1976, pp. p. 241. URL consultato il 19 aprile 2013.
  3. ^ (EN) Eberhard Jurgalski, Ascents - Shisha Pangma, su 8000ers.com, 28 gennaio 2010. URL consultato il 19 aprile 2013.
  4. ^ (EN) Honouring Japanese mountaineers, su theuiaa.org. URL consultato il 19 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2011).

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