Joseph de Maistre

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Vogel: Joseph de Maistre, ritratto con l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, 1810

Il conte Joseph Marie de Maistre ([ʒoˈzɛf maˈʀi də mɛstʀ]; Chambéry, 1º aprile 1753Torino, 26 febbraio 1821) è stato un filosofo, politico, diplomatico, scrittore, magistrato e giurista sabaudo[1] di lingua francese, suddito del Regno di Sardegna, tra i più noti pensatori reazionari del periodo post-rivoluzionario.

Ambasciatore del re Vittorio Emanuele I di Savoia presso la corte dello zar Alessandro I in Russia dal 1803 al 1817, poi da tale data fino alla morte ministro reggente la Gran Cancelleria del Regno sardo-piemontese, de Maistre fu tra i portavoce più eminenti del movimento controrivoluzionario che fece seguito alla Rivoluzione francese e ai rivolgimenti politici in atto dopo il 1789; propugnatore dell'immediato ripristino della monarchia ereditaria in Francia, in quanto istituzione ispirata per via divina, e assertore della suprema autorità papale sia nelle questioni religiose che in quelle politiche, de Maistre fu anche tra i teorici più intransigenti della Restaurazione, sebbene non mancò di criticare il Congresso di Vienna presieduto dal Metternich e da Talleyrand, a suo dire autore da un lato di un impossibile tentativo di ripristino integrale dell'Ancien Régime (peraltro ritenuto di sola facciata) e dall'altro di compromessi politici con le forze rivoluzionarie.

Era il fratello maggiore dello scrittore e militare Xavier de Maistre.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Joseph Marie de Maistre (a volte italianizzato in Giuseppe Maria de Maistre) nacque a Chambéry, antica capitale della Savoia, allora parte, come Ducato di Savoia e assieme ad altri come il Principato di Piemonte, dei cosiddetti Stati di terraferma del Regno di Sardegna con capitale Torino, il 1º aprile 1753.

Monumento a Joseph de Maistre e al fratello Xavier, Chambéry.

I suoi genitori erano François-Xavier, magistrato e membro del Senato savoiardo, e la nobildonna Christine Demotz, ed era primogenito di dieci figli (fra cui Xavier) di una famiglia dell'alta borghesia. Soltanto nel 1778, grazie ai servigi resi alla Corona, il padre ricevette il titolo nobiliare di conte. Il giovane Joseph ebbe la sua prima educazione presso i gesuiti della sua città natale, verso i quali per tutta la vita nutrirà una profondissima devozione. Si laureò in giurisprudenza all'Università di Torino.

Nonostante l'intrapresa carriera da giurista e la ricca biblioteca di volumi di diritto ereditata dal nonno materno, le carte del diario di de Maistre e le corrispondenze iniziali suggeriscono che egli fosse assai più interessato alla teologia e a discipline quali filosofia, politica e storia piuttosto che a quelle giuridiche. Inoltre, assieme al francese, sua lingua madre (come della quasi totalità della nobiltà piemontese), e al greco e al latino appresi, come detto, durante la sua eccellente formazione presso i gesuiti, de Maistre parlava perfettamente l'italiano e molto bene l'inglese, lo spagnolo, il portoghese, oltre ad un po' di tedesco. Il diario e le opere testimoniano la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture, degli scritti dei Padri della Chiesa, degli autori classici greci e latini, in particolar modo Platone, Plutarco, Cicerone, di quelli del Rinascimento e delle maggiori figure dell'Illuminismo europeo.

Esperienza nella massoneria[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1774 de Maistre aderì alla massoneria, ed entrò a far parte, a Torino, nel 1774, della loggia massonica di rito inglese dei "Trois Mortiers", ma nel 1778 si spostò in quella martinista di rito scozzese rettificato della Parfaite Sincérité, legata al pensiero del Illuminato francese Louis Claude de Saint-Martin[2]. Egli intravide nel ramo di questa corrente massonica un'élite con grandi potenzialità per la restaurazione cristiana del mondo, di quella "res publica cristiana d'Europa" di cui parlerà più tardi anche Edmund Burke nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, che influenzeranno notevolmente il pensiero di de Maistre. Alcuni critici della stessa area cattolica hanno sviluppato perplessità su questa fase "esoterica" del Conte. Le logge massoniche "moderate" e i gruppi esoterici dell'epoca erano frequentati da sacerdoti, vescovi e nobili della Chiesa cattolica, non curanti della scomunica pontificia: in modo coerente, De Maistre non ritenne che vi fosse incompatibilità fra appartenenza alla Massoneria e alla Chiesa cattolica, ed indirizzò una lettera al vertice del Rito scozzese antico ed accettato nella quale propose l'inserimento della riunificazione delle Chiese cristiane fra gli obiettivi prioritari della Muratoria[3]. La Parfaite Sinceritè era una loggia di Rito Scozzese che era pervasa comunque dagli ideali illuministici[4]. La massoneria non rivoluzionaria affiliava del resto in questo periodo pre-rivoluzionario anche noti sovrani e principesse dell'Ancien Régime (sia Luigi XVI, che la principessa di Lamballe[5] e la duchessa di Polignac, favorite di Maria Antonietta, sia i futuri Luigi XVIII e Carlo X, erano tutti membri della fratellanza).

L'anno 1790 segnò la fine dell'esperienza massonica maistreiana, vista la simpatia dell'associazione per le forze rivoluzionarie moderate. Secondo altri de Maistre continuò a frequentare la massoneria, nell'ambito di logge antirivoluzionarie, come La Stretta Osservanza a Torino dopo il 1793; e infine a San Pietroburgo, partecipando sporadicamente[6] alle riunioni della loggia diretta dell'ambasciatore svedese Curt von Stedingk fino al 1809, immaginando forse una "massoneria bianca", cioè di tipo cristiano esoterico ma fedele al papato[6], pur negando la fantasiosa filiazione dell'organizzazione che veniva attribuita ai sopravvissuti Cavalieri Templari scomunicati nel 1307 (come fosse una sorta di ordine religioso cavalleresco ma riservato ai laici).[7] Il cosiddetto neotemplarismo era difatti divenuto di moda negli ambienti massonici dopo la rinascita all'inizio del XVIII secolo, grazie al favore del vecchio reggente di Francia Filippo d'Orléans.[8]

Comunque, in quanto massone in sonno e conoscitore di quegli ambienti, a differenza di Edmund Burke (peraltro massone anche lui) respinse le teorie del complotto secondo cui la rivoluzione sarebbe stata preparata da anni "a tavolino" dalle logge massoniche più illuministe, proposta dal gesuita Augustin Barruel in Memorie per la storia del giacobinismo. Come teorico della controrivoluzione, scrisse anche un breve trattato in cui confutava le Mémoires definendo le accuse di Barruel "sciocche" e "false", respingendo l'idea che i massoni fossero i responsabili della Rivoluzione, né credette che gli Illuminati di Baviera, una scissione radicale della massoneria molto vicina come idee al giacobinismo, fossero così potenti come Barruel e Burke li descrivevano.[9] Per de Maistre le cause della rivoluzione risiedevano in ambito sociale e culturale, non nelle società segrete.

L'intellettuale controrivoluzionario[modifica | modifica wikitesto]

«Ogni Nazione ha il governo che si merita»

Nel 1786 sposò la nobildonna Françoise-Marguerite de Morand, che gli darà tre figli.

Nel 1788 de Maistre entrò a far parte del Senato di Savoia. Allo scoppio della Rivoluzione francese, nel 1789, vide con un certo favore le prime fasi, percependo in esse uno spiraglio a favore di riforme contro la deriva assolutistica dell'Ancien Régime. Tuttavia, dopo la proclamazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino e la lettura delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Burke, edite nel 1790, il suo atteggiamento mutò in un completo rifiuto dei principi rivoluzionari.

Nel 1792, in seguito all'aggressione e all'invasione francese della Savoia, fu costretto a fuggire in esilio, prima ad Aosta e poi in Svizzera, a Losanna[2][11]. Qui ebbe modo di conoscere Edward Gibbon, i Necker, Benjamin Constant e diversi emigrati francesi[12].

L'anno seguente videro la luce le note Lettere di un realista savoiardo ai suoi compatrioti (Lettres d'un royaliste savoisien à ses compatriotes). Nel 1794 de Maistre iniziò la stesura dello scritto Studio sulla sovranità, incompiuto e che uscirà soltanto postumo nel 1870. Ma saranno le Considerazioni sulla Francia (Considérations sur la France), uno dei suoi maggiori scritti, ad assicurargli la celebrità in tutti gli ambienti controrivoluzionari europei.[11]. Fuggito dalla Svizzera, anch'essa invasa dalle truppe francesi, e trasferitosi a Venezia in seria indigenza economica, riuscì finalmente a rientrare in patria nel 1797, imbarcandosi per la Sardegna, dove nel 1799 gli fu affidato dal re l'incarico di Reggente della Gran Cancelleria del Regno a Cagliari.

Diplomatico in Russia[modifica | modifica wikitesto]

«Come dovevano splendere quelle architetture [di San Pietroburgo] al principio del secolo scorso, quando Joseph de Maistre descriveva nella prima delle sue Soirées de Saint-Péters-bourg l'incanto d'una sera estiva sulla Neva

Nel 1802 re Vittorio Emanuele I inviò de Maistre come ministro plenipotenziario a San Pietroburgo, presso la corte dello Zar Alessandro I. Giunto in Russia, rappresentante di un piccolo regno nello stato più esteso del mondo, de Maistre diventò ben presto una delle più influenti e ammirate figure intellettuali, assiduo frequentatore dei salotti della nobiltà e dell'alta società pietroburghese. A testimonianza della sua fama, in Guerra e pace di Lev Tolstoj la figura di Joseph de Maistre viene ritratta nel personaggio dell'abate italiano in esilio presente nel salotto della principessa Anna Pavlovna Scerer.[14] Rimasto, però, isolato politicamente, senza istruzioni precise e con un appannaggio irrisorio[15], incompreso dai suoi superiori e dallo stesso Zar (uomo eccentrico e indeciso tra misticismo e politica, liberalismo e conservatorismo[16], e che solo in un secondo momento seppe avvalersi dei consigli del Conte), de Maistre seppe tuttavia tutelare con grande abilità il prestigio della dinastia sabauda presso i ministri e la corte russa[2]. Nel quadro angosciante dell'invasione napoleonica, de Maistre svolse in seno alla corte una rilevante attività politica, che portò lo stesso zar Alessandro I a cancellare alcune riforme d'ispirazione illuministica, e a favorire l'azione apostolica della Compagnia di Gesù, andatasi man mano ricostituendo dopo il suo scioglimento nel 1773. De Maistre riuscì perfino a convertire dall'ortodossia al cattolicesimo alcuni esponenti della nobiltà russa.

Fëdor Alekseev: Veduta di San Pietroburgo, 1817.

Questo suo aperto sostegno all'azione pastorale operata dai gesuiti fece cadere de Maistre in disgrazia presso la corte dello Zar, il quale richiese alle autorità sabaude il suo rientro in patria, avvenuto poi nel 1817. Questo episodio segnò l'inizio della fine della carriera diplomatica del Conte, ma non di quella politica. Da segnalare, quale ulteriore e non lieve deficienza, inerente il quadro dell'attività diplomatica del de Maistre, la sua tendenza a narcolessia (con punte di cataplessia); ha scritto infatti, il noto storico inglese dell'età della Restaurazione, Paul Johnson: "Per quanto immensamente energico e sano in altri aspetti (lavorava e leggeva con impegno tutto il giorno), soffriva di narcolessia, per cui rischiava di cadere a terra nel corso di un importante colloquio, il che rappresentava una seria difficoltà a corte e nella carriera diplomatica". Il periodo pietroburghese fu uno dei più floridi dell'attività letteraria di de Maistre[2]. Nel 1814 fu dato alle stampe il Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche (Essai sur le principe générateur des constitutions politique), della cui pubblicazione si interessò anche l'amico Louis de Bonald, altro esponente di spicco della corrente controrivoluzionaria col quale de Maistre intratteneva un rapporto epistolare. Di quegli anni furono anche l'Esame della filosofia di Bacone (Examen de la philosophie de Bacon) e le Lettere ad un gentiluomo russo sull'Inquisizione spagnola (Lettres à un gentilhomme russe sur l'Inquisition espagnole), scritte in occasione della soppressione dell'istituzione ecclesiastica, nelle quali egli criticò dal suo punto di vista le accuse comunemente lanciate dalla critica illuministica contro l'Inquisizione (sostenendo la cosiddetta tesi della "leggenda nera"), attaccando anche la filosofia di Hume e gli enciclopedisti. Intanto de Maistre iniziava l'opera che lo avrebbe reso celebre, ossia Le serate di Pietroburgo (Les soirées de Saint-Pétersbourg), capolavoro di teologia e filosofia della storia, che uscirà postumo nel 1821, appena dopo la sua morte[2]. Nel 1817, lo stesso anno del suo allontanamento dalla Russia, ebbe al ritorno un'udienza col re francese della Restaurazione, Luigi XVIII, che tuttavia lo trattò in maniera fredda e distaccata a causa della contrarietà di de Maistre alla Costituzione francese del 1814 con cui il sovrano aveva concesso la monarchia costituzionale, spinto in questo senso proprio dallo zar Alessandro I secondo cui temperare la monarchia assoluta era l'unico modo per mantenere i Borboni sul trono.[17]

Tomba in stile neoclassico-barocco di Joseph de Maistre nella Chiesa dei Santi Martiri (Torino)

Ritorno a Torino e ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

Rientrato nel frattempo a Torino, nel 1818, due anni dopo la fine del Congresso di Vienna, fu nominato nuovamente Ministro Reggente della Gran Cancelleria del Regno. È in questo periodo che egli incontra anche la realtà dell'"Amicizia Cattolica", associazione religiosa guidata dal venerabile Pio Brunone Lanteri. Nel 1819, in piena Restaurazione, de Maistre pubblicò l'altro suo capolavoro, Del Papa (Du Pape). In un articolo della Nuova Antologia del 16 aprile 1928 (Guelfismo e nazionalismo di Giuseppe de Maistre) lo storico Niccolò Rodolico ricorda come il conte de Maistre nel 1820, in piena Restaurazione, ebbe amareggiato l'ultimo anno della sua vita da indugi e difficoltà oppostigli per la dedica e la stampa della seconda edizione dell'opera (che fu pubblicata, postuma, a Lione nel 1821). De Maistre desiderava dedicare il libro a papa Pio VII che aveva per lui grandissima stima, e desiderava pubblicarlo in Piemonte, ma non vi riuscì. Secondo Rodolico queste difficoltà si spiegano con le condizioni dello spirito pubblico dal '19 al '20 in Europa, quando liberali, giansenisti e settari anticlericali avevano ripreso le agitazioni, e con la paura di provocare nuove e più vivaci polemiche.

Profondamente religioso, celebre e ammirato ormai in tutta Europa, sebbene segnato dall'indigenza in cui fu costretto a vivere negli ultimi anni, Joseph de Maistre si spense il 26 febbraio 1821, circondato dai parenti e da tutti quegli amici e conoscenti che condivisero assieme a lui il suo ideale politico e spirituale[2]. Qualche giorno prima della morte, in una lettera a Massimo d'Azeglio, aveva compianto la sorte dell'Italia divisa e lamentato lo scarso patriottismo degli italiani, pur con molti dubbi sulla convenienza per il piccolo Piemonte di impegnarsi, come avverrà, in una tale impresa di unificazione (dicendo che "[occorreva] esaminare se il Piemonte può essere più fiorente e felice come grande provincia o come piccolo regno. [...] Io propendo per la seconda".[18]. Nonostante ciò, per la sua fedeltà e devozione politica alla dinastia sabauda alcuni hanno visto in lui un preconizzatore dell'espansione del Regno sardo-piemontese fino a estendersi sull'Italia intera. Alberto Blanc, diplomatico savoiardo poi italiano e Ministro del Regno d'Italia nel governo di Francesco Crispi scrisse in qualità di professore di diritto a proposito del conte:

«... questo filosofo [de Maistre] era un politico; questo cattolico era un italiano; egli ha profetizzato i destini della casa di Savoia, ha sperato nel crollo della dominazione austriaca, ed è stato in questo secolo uno dei primi difensori della nostra indipendenza.[19]»

Joseph de Maistre è sepolto nella chiesa dei Santi Martiri di Torino.

Il pensiero di Joseph de Maistre[modifica | modifica wikitesto]

«La controrivoluzione non sarà una rivoluzione opposta, ma l'opposto di una rivoluzione.»

Litografia di Joseph de Maistre, posta come ritratto in antiporta della prima edizione de Les Soirées de Saint-Pétersbourg (1821).

Conformemente al pensiero comune dei controrivoluzionari, legittimisti e reazionari di fede cattolica (quindi con l'eccezione del conservatore old whig britannico Edmund Burke, che era anglicano), per de Maistre l'origine di tutti i mali dell'epoca a lui contemporanea poteva essere identificata nella Riforma protestante che aveva minato l'autorità papale sull'Europa occidentale e i paesi cattolici, introducendo il libero esame ossia l'interpretazione della Bibbia senza la guida della Chiesa, base della libertà di coscienza, oltre ad aver causato le terribili guerre di religione.

La principale critica mossa alla concezione antropologico-politica degli illuministi (principalmente a Voltaire, che detesta per aver "abusato del suo genio") e di Rousseau, che si ritrova principalmente nell'opera Le serate di Pietroburgo, è infatti che l'uomo è troppo malvagio ed egoista per essere libero - una ripresa dell'homo homini lupus di Hobbes, la natura è bellum omnium contra omnes e, segnato dal Peccato Originale, pur tuttavia conserva il libero arbitrio ma lo usa per comportarsi malamente.

«In ogni grande divisione della specie umana, la morte ha scelto un certo numero d'animali a cui essa commise di divorare gli altri; così vi sono degl'insetti da preda, dei rettili da preda, dei pesci da preda, degli uccelli da preda, e dei quadrupedi da preda. Non vi ha un istante della di lui durata, in cui l'essere vivente non venga divorato da un altro. Superiormente alle numerose razze d'animali è collocato l'uomo, la cui mano struggitrice nulla risparmia di ciò che vive; esso uccide per nutrirsi, uccide per vestirsi, uccide per ornarsi, uccide per difendersi, uccide per solazzarsi, uccide per uccidere.»

Maistre mostra quindi un profondo pessimismo "empirico" cristiano. Nel mondo fisico non c'è vera e duratura felicità. Per il conte savoiardo l'uomo nasce "prigioniero"; de Maistre ribalta spesso frasi rousseauiane del Contratto sociale o dell'Emilio, ad esempio egli scrive: "l'uomo è nato in catene ma dovunque è libero"); la liberazione, ma solo spirituale, è stata portata dall'avvento del cristianesimo; né il liberalismo né il capitalismo o le rivoluzioni possono liberare davvero l'uomo né garantire l'ordine politico e sociale, anzi peggiorano sempre la situazione. Inoltre accusa gli ideologhi settecenteschi, che da Locke in poi hanno negato l'innatismo e lo storicismo, di voler fare tabula rasa di tutto in nome di un assurdo razionalismo astratto (si nota qui l'influenza di Edmund Burke e della sua teoria del "pregiudizio" quale concetto positivo di protezione sociale, come espresso nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia), sostituendo l'individualismo della "ragione individuale" alla "ragione universale".

«Tutto ci riconduce all'autore di tutte le cose (...) tutto viene da lui, ad eccezione del male. (...) Siamo tutti legati al trono dell'Essere supremo con una catena leggera, che ci trattiene senza asservirci.»

Gli uomini sono "liberamente schiavi" e "operano secondo volontà e necessità insieme: fanno realmente quel che vogliono, ma senza poter disturbare i piani generali". De Maistre è considerato anche un teorico di una certa concezione romantica della storia:

«La storia umana è diretta da una Provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che drizza a ignote mete la nave dell'umanità.[20]»

Nel Medioevo la Chiesa è stata il sostegno dell'ordine sociale e questo la rende superiore al potere civile. Le teorie illuministiche sulla libertà naturale dell'uomo sono semplici follie e diaboliche stranezze. Il cristianesimo autentico è quello rappresentato dal papa romano che ha proclamato la libertà universale ed è l'unico nella generale debolezza di tutte le sovranità europee ad aver conservato la sua forza e il suo prestigio. De Maistre condivide poi l'analisi di Burke sulla falsa pretesa della maggioranza di prevalere sulla minoranza mentre dovunque «il piccolissimo numero ha sempre condotto il grande» e per questo è buon diritto dell'aristocrazia assumere la guida del paese.

Come afferma nella sua opera Del Papa, edita nel 1819, per de Maistre, solo la Chiesa cattolica e la figura papale sarebbero in grado di garantire l'ordine sociale. Il potere papale dovrebbe inoltre essere infallibile, dal momento che è indispensabile, secondo Maistre, che vi sia qualcuno in grado di giudicare senza essere giudicato.

«L’infallibilità nell’ordine spirituale, e la sovranità nell’ordine temporale, sono due parole perfettamente sinonime. L’una e l’altra esprimono quell’alto potere che ad ogni altro impera, da cui ogni altro deriva, che governa e non è governato, giudica e non è giudicato. Quando noi diciamo che la Chiesa è infallibile, non chiediamo per essa – è essenzialissimo osservarlo – nessun privilegio particolare; chiediamo soltanto ch’ella goda del diritto comune a tutte le sovranità possibili, le quali agiscono tutte necessariamente come infallibili; perché tutti i governi sono assoluti; e non esisterebbero più, quando si potesse loro resistere sotto pretesto d’errore o d’ingiustizia. (...) Lo stesso è per la Chiesa; in un modo o in un altro bisogna che sia governata, come qualunque altra associazione; altrimenti non vi sarebbe più aggregazione, non insieme, non unità. Questo governo è dunque di sua natura infallibile, ossia assoluto, senza di che non governerebbe più. Nell’ordine giudiziario, che è una delle parti del governo, non è fuor di dubbio che bisogna assolutamente giungere a un potere che giudica e non è giudicato, precisamente perché sentenzia in nome del potere supremo di cui è ritenuto organo e voce?»

Non bisogna confondere però tale concezione politica dell'infallibilità petrina di tipico mistico-teocratica con quella del dogma elaborato dal Concilio Vaticano I durante il pontificato di Pio IX che la circoscrive all'ambito del contenuto della fede.

Nel 1797 pubblicò le sue Considérations sur la France nelle quali profetizzava il ritorno della monarchia dopo l’inabissamento della repubblica. L’originalità di De Maistre non sta nel tono profetico che lo caratterizza, quanto nella scelta originale di leggere gli eventi rivoluzionari. Per i controrivoluzionari la violenza e la Rivoluzione erano figli del razionalismo, così come il giacobinismo era l’esito delle teorie illuministiche. Per de Maistre invece, quegli stessi eventi erano invece frutto della Provvidenza che aveva voluto punire i francesi per i loro peccati, permettendo però alla Francia di sopravvivere agli attacchi esterni. Egli arriva addirittura ad affermare che Robespierre ha avuto il merito di forgiare attraverso la violenza uno spirito nazionale proprio, capace di resistere all’attacco delle potenze coalizzate e perciò, le armi dei controrivoluzionari sono un pericolo per l’unità del paese perché, se vittoriosi, avrebbero impedito alla Francia di compiere la propria missione civilizzatrice. Egli ebbe quindi l'importante compito a livello storiografico di restituire il Terrore alla storia di Francia.[21]

L'ultramontanismo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Ultramontanismo.

«È molto pericoloso far credere agli uomini che la virtù sarà ricompensata e il vizio punito solo nell'altra vita. (...) Se non esistesse alcun male morale sulla terra, non ci sarebbe, di conseguenza, alcun male fisico (...) tutti i dolori sono punizioni, e ogni punizione è inflitta in eguale misura per amore e per giustizia, tranne l'estrema

De Maistre crede a una giustizia divina non solo trascendente ma immanente. La rivoluzione è il peccato (sociale) in quanto distruzione dell'ordine naturale - e, dunque, legittimo - voluto o permesso da Dio (essendo, secondo de Maistre, l'autorità divina a legittimare la sovranità politica e qualsiasi potere terreno). Essa è anche un castigo divino inflitto per le mancanze religiose della Francia e gli errori del suo popolo e della sua classe dirigente, ed egli vede i rivoluzionari come automi che si autoinfliggono una legge marziale fino ad auto-annientarsi. La Rivoluzione è quindi sia "sacrilegio" che "miracolo"[17] (ha la stessa radice, come sacer e sacertas per i romani) e "ogni colpevole può essere innocente e perfino santo nel giorno del supplizio".[22]

Nelle Serate di Pietroburgo, elogia il boia come agente divino non solo punitivo ma salvifico, portatore della "spada della giustizia" che "non ha fodero":

(FR)

«Est-ce un homme ? Oui : Dieu le reçoit dans ses temples et lui permet de prier. Il n’est pas criminel ; cependant aucune langue ne consent à dire, par exemple, qu’il est vertueux, qu’il est honnête homme, qu’il est estimable, etc. Nul éloge moral ne peut lui convenir, car tous supposent des rapports avec les hommes, et il n’en a point.

Et cependant toute grandeur, toute puissance, toute subordination repose sur l’exécuteur : il est l’horreur et le lien de l’association humaine. Otez du monde cet agent incompréhensible ; dans l’instant même l’ordre fait place au chaos, les trônes s’abîment et la société disparaît. Dieu, qui est l’auteur de la souveraineté, l’est donc aussi du châtiment : il a jeté notre terre sur ces deux pôles: car Jêhovah est le maître des deux pôles, et sur eux il fait tourner le monde (Domini enim sunt cardines terrae et posuit super eos orbem).»

(IT)

«È un uomo? Sì: Dio lo accoglie nei suoi templi e gli permette di pregare. Non è un criminale; tuttavia nessuna lingua accetta di affermare, per esempio, che sia un uomo virtuoso, un onesto, che sia degno di stima, ecc. Nessun elogio morale gli può essere tributato, perché ogni elogio morale presuppone un rapporto con gli uomini, mentre egli non ne ha alcuno.

E tuttavia ogni grandezza, ogni potere, ogni subordinazione dipendono dal boia: egli è l'orrore e il legame dell'associazione umana. Togliete dal mondo questo agente incomprensibile, e nello stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i troni si inabissano e la società scompare. Dio, autore della sovranità, lo è pure del castigo; fra questi due poli ha gettato la nostra terra: ché Geova è il padrone dei cardini della terra, e su di essi fa girare il mondo (Domini enim sunt cardines terrae et posuit super eos orbem).»

L'autorità, ma soprattutto la Chiesa, ha il diritto e il dovere di evitare che una rivoluzione si ripeta, fermandola sul nascere; quindi può opporsi - in un'originale concezione di dottrina cattolica e realismo politico quasi machiavellico - tutto quello che secondo il papa minaccia l'ordine politico e sociale voluto da Dio stesso, ed ogni "progresso" sociale o scientifico, anche utile o derivante dal vero, o da giusta rivendicazione, può essere fermato o rallentato se contiene elementi potenziali di disordine:

«Qualsiasi autorità, ma soprattutto quella della Chiesa, deve opporsi alle novità senza lasciarsi spaventare dal pericolo di ritardare la scoperta di qualche verità, inconveniente passeggero e vantaggio del tutto inesistente, paragonato al danno di scuotere le istituzioni e le opinioni correnti.»

In de Maistre torna inoltre sia il concetto di centralità della Chiesa cattolica che l'unione del potere temporale (non solo sullo Stato Pontificio) e religioso nelle sole mani del pontefice (cesaropapismo), inteso come vertice della piramide sociale e civile oltre che arbitro internazionale di ogni conflitto (poiché solo potere universale rimasto), in quanto ritenuto al di sopra di ogni particolarismo nazionale; in questo modo de Maistre sostiene un'idea simile a quella guelfa durante la lotta per le investiture medievale tra papato e Sacro Romano Impero, sostenendo la pretesa pontificale di consacrare e/o deporre i re e gli imperatori, una delle prerogative politiche del primato papale come sancito nel Medioevo dal Dictatus papae di Gregorio VII; è il papa quindi che riconosce il diritto divino dei re e quindi la legittimità a regnare del sovrano (egli solo può scomunicare un regnante e quindi sciogliere i sudditi dall'obbedienza ordinando loro di resistergli, non esiste alcuna sovranità popolare o volontà generale). Il pontefice non garantisce solo ordine sociale, politico e spirituale ma anche la pace tra le nazioni (la prevenzione della guerra tra popoli europei cristiani rimarrà sempre una delle sue principali preoccupazioni):

«Senza il potere temporale de' Papi il mondo politico non poteva camminare, e quanto più siffatto potere sarà attivo, meno guerre vi saranno, giacch'egli è [colui] il cui visibile interesse non altro domanda che pace (...) Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. E senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.»

Tali posizioni identificano de Maistre quale rappresentante della corrente di pensiero denominata ultramontanismo, ovvero quella dottrina cattolica, opposta ad esempio al gallicanesimo e al giurisdizionalismo, che afferma la suprema autorità politica del papato all'interno della Chiesa, e che vede nella figura del papa la guida morale e sovra-politica della società europea, un arbitro che può agire "al di là dei monti" appunto, nel senso che l'autorità del pontefice supera le Alpi e non resta in Italia.

Dall'ultrarealismo del principe Carlo, conte d'Artois (poi re di Francia dal 1824 al 1830, anno in cui fu costretto all'abdicazione da una nuova rivoluzione), anche lui sostenitore della monarchia assoluta per grazia di Dio, de Maistre è diviso altresì da una concezione pragmatica, per cui è impossibile materialmente riportare la storia indietro in maniera "integrale"; le condizioni sono ormai cambiate, la rivoluzione è comunque avvenuta:

«Secondo il mio modo di pensare il progetto di mettere il lago di Ginevra in bottiglie è molto meno folle di quello di ristabilire le cose proprio sulle stesse basi in cui si trovavano prima della Rivoluzione.»

Opinione sull'Islam[modifica | modifica wikitesto]

De Maistre, ammiratore della Reconquista e delle Crociate, così si esprime sull'Islam nelle Considerazioni sulla Francia, considerandolo nelle Serate come una setta cristiana eretica ariana (ripresa di una credenza medievale riportata anche da Dante) che ha seminato la guerra:

«Compare Maometto; la spada e il Corano percorrono i due terzi del globo. I saraceni corrono dall'Eufrate al Guadalquivir. Distruggono da cima a fondo l'immensa città di Siracusa; perdono trentamila uomini presso Costantinopoli, in un solo combattimento navale, e Pelagio ne uccide loro ventimila in una battaglia di terra. Queste perdite non erano nulla per i saraceni; ma il torrente incontra l'ardimento dei franchi nelle pianure di Tours, dove il figlio del primo Pipino, in mezzo a trecentomila cadaveri, lega al suo nome l'epiteto terribile che ancora lo distingue. L'islamismo portato in Spagna vi trova un rivale indomabile. Mai forse si vide tanta gloria, tanta grandezza e tanta carneficina. La lotta dei cristiani e dei musulmani, in Spagna, è un conflitto di ottocento anni. Parecchie spedizioni, e pure parecchie battaglie, vi costano venti, trenta, quaranta e fino a ottantamila vite.»

Reputazione e influenza[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto eseguito da Félix Vallotton da La Revue blanche, 1895

Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

Insieme allo statista e filosofo anglo-irlandese Edmund Burke, Maistre è comunemente considerato uno dei fondatori del conservatorismo europeo,[23] ma dal XIX secolo la concezione autoritaria del conservatorismo di Maistre, "trono e altare" ha perso influenza rispetto al conservatorismo liberale di Burke. Ad esempio il filosofo liberale ma controrivoluzionario Alexis de Tocqueville non lo apprezzava affatto.[24] Tuttavia, le capacità di Maistre come scrittore e polemista hanno assicurato che continuasse a essere letto. Ad esempio, Matthew Arnold, un influente critico del XIX secolo, ha scritto quanto segue confrontando lo stile di Maistre con la sua controparte irlandese:

«Joseph de Maistre è un altro di quegli uomini la cui parola, come quella di Burke, ha vitalità. In potenza immaginativa è del tutto inferiore a Burke. D'altra parte il suo pensiero si muove in un ordine più vicino di quello di Burke, più rapidamente, più direttamente; ha meno superfluità. Burke è un grande scrittore, ma l'uso della lingua francese da parte di Joseph de Maistre è più potente, più soddisfacente dell'uso dell'inglese da parte di Burke. È magistrale; ci mostra alla perfezione di cosa è capace quel mirabile strumento, la lingua francese.[25]»

Papi come Gregorio XVI e Pio IX dopo il 1849, specialmente nel Sillabo, portarono avanti idee simili a quelle del Conte, combattendo strenuamente per il potere temporale e il Primato papale.

L'Enciclopedia cattolica del 1910 descrive il suo stile di scrittura come "forte, vivace, pittoresco" e che la sua "animazione e buon umore temperano il suo tono dogmatico. Possiede una meravigliosa facilità nell'esposizione, precisione della dottrina, ampiezza di apprendimento, e potere dialettico". Sebbene fosse un avversario politico, Alphonse de Lamartine ammirò lo splendore della sua prosa, affermando:

«Quello stile breve, nervoso, lucido, spogliato di frasi, robusto di membra, non ricordava affatto la morbidezza del Settecento, né le declamazioni degli ultimi libri francesi: era nato e intriso del respiro delle Alpi; era vergine, era giovane, era aspro e selvaggio; non aveva rispetto umano, sentiva la sua solitudine; improvvisava profondità e forma insieme… Quell'uomo era nuovo tra gli enfants du siècle.[26]»

Émile Faguet descrisse Maistre come "un feroce assolutista, un furioso teocrate, un intransigente legittimista, apostolo di una mostruosa trinità composta da papa, re e boia, sempre e ovunque il campione del dogmatismo più duro, più angusto e più inflessibile, [simile a] una figura oscura del Medioevo, in parte dottore erudito, in parte inquisitore, in parte carnefice".[27]

Baudelaire[modifica | modifica wikitesto]

Charles Baudelaire

Tra coloro che lo ammiravano c'era il poeta Charles Baudelaire,[28][29] che si definiva discepolo del controrivoluzionario sabaudo, sostenendo che lui ed Edgar Allan Poe gli avevano insegnato a ragionare.[30] Benché a modo suo (il capostipite dei poeti maledetti si convertì solo in punto di morte) rivisita Maistre per scandalizzare i benpensanti "democratici" borghesi. Nei Diari intimi cita l'"elogio del boia" delle Serate e altre proposizioni rimaneggiandole.

«La pena di morte è il risultato di una idea mistica, totalmente incompresa oggi. La pena di morte non ha per scopo di salvare la società, almeno materialmente. Ha per scopo di salvare (spiritualmente) la società e il colpevole. Affinché il sacrificio sia perfetto, bisogna che vi siano consenso e gioia, da parte della vittima. Dare del cloroformio a un condannato a morte sarebbe un’empietà, poiché significherebbe togliergli la coscienza della sua grandezza come vittima e sopprimergli le chances di guadagnare il Paradiso. (...) Teoria del sacrificio. Legittimazione della pena di morte. Il sacrificio è completo solo sponte sua della vittima. Un condannato a morte, mancato dal boia, liberato dal popolo, tornerebbe dal boia. Nuova giustificazione della pena di morte.»

«Quand’anche Dio non esistesse, la Religione sarebbe ancora Santa e Divina.»

«Il prete è immenso perché fa credere a una folla delle cose sorprendenti. Che la Chiesa voglia far tutto ed essere tutto, è una legge dello spirito umano. I popoli adorano l’autorità. I preti sono i serventi e i settari dell’immaginazione. Il trono e l’altare, massima rivoluzionaria.»

«In ogni cambiamento c’è qualcosa d'infame e di piacevole al tempo stesso, qualcosa che ha dell'infedeltà e del cambio di parrocchia. Sufficiente a spiegare la rivoluzione francese

«Sappi dunque i godimenti di una vita aspra; e prega, prega senza sosta. La preghiera è serbatoio di forza.»

Sebbene aggiunga che

«Dio è il solo essere che, per regnare, non abbia affatto bisogno d’esistere.»

«Dio è uno scandalo, - uno scandalo che frutta.»

Positivismo[modifica | modifica wikitesto]

Auguste Comte

Secondo Carolina Armenteros, gli scritti di Maistre, improntati al collettivismo e al comunitarismo sotto la guida dei "migliori" (aristocrazia, elitismo), hanno influenzato non solo i pensatori politici conservatori, ma anche i primi socialisti utopici non ancora "scientifici".[31] I primi sociologi come Auguste Comte, fondatore del positivismo e Henri de Saint-Simon riconobbero esplicitamente l'influenza di Maistre per quanto riguarda la necessità di avere delle salde radici di coesione sociale e autorità politica, culminante appunto nell'idea comtiana del Catechismo positivista e della Chiesa Positivista, tra cui quella appunto di un sociologo come "papa della scienza" alla guida spirituale di una tecnocrazia gerarchica di tipo capitalista ma etica, attenta alla tradizione e ai ruoli, anche con l'ausilio dell'organizzazione dei gesuiti[32]

Altri[modifica | modifica wikitesto]

George Saintsbury lo definì "senza dubbio uno dei più grandi pensatori e scrittori del XVIII secolo".[33]

Maistre esercitò una forte influenza anche sul pensatore politico spagnolo Juan Donoso Cortés[34][35] e poi sul monarchico francese Charles Maurras[36] e il suo movimento politico reazionario di estrema destra Action Française.

La visione neo-teocratica e la tematica maistreiana della Rivoluzione come sacrificio ed espiazione sono riprese da Léon Bloy nel saggio La Cavaliera della Morte (1891), incentrato sulla regina Maria Antonietta.[37]

Novecento[modifica | modifica wikitesto]

Maistre fu studiato approfonditamente da Carl Schmitt, Nicolás Gómez Dávila, Leo Strauss[38] (considerato il capostipite del neoconservatorismo e dell'ateismo cristiano con la sua teoria della "scrittura reticente", ovvero la teoria della divisione tra élite filosofica-esoterica di tipo platonico e popolo religioso).

Analisi del suo pensiero si trovano in Emil Cioran (Saggio sul pensiero reazionario, Esercizi di ammirazione); Guido Ceronetti (vicino a Cioran; seppur ritenendosi non reazionario e non cattolico, affermò tuttavia di trovare alcune consonanze con Le serate di Pietroburgo: "Una definizione non illegittima [reazionario, ndr], vero, ma che non mi comprende. Reazionario perché nelle notti o veglie di Pietroburgo di De Maistre riconosco svariate affinità. Vade retro, prima di tutto, il Terrore della Rivoluzione francese"); Roberto Calasso; e molti altri anti-moderni, ed è autore di riferimento di molti pensatori tradizionalisti cattolici.

Cioran[modifica | modifica wikitesto]

Emil Cioran

In particolare, lo scettico e pessimista Cioran, attento lettore di de Maistre[39], approfondì molto la figura del conte sabaudo da una prospettiva rispettosa ma esterna alle sue idee; egli ne ammira lo stile, la lingua (entrambi sono stranieri e per un periodo apolidi, ma che scrivono in una perfetta prosa francese) e alcune teorie sulla negatività del progresso e del destino terreno umano, che legge in una chiave misantropica schopenhaueriana (in cui solo pochi possono elevarsi dall'istinto animalesco, gli altri devono essere soggetti ad una "religione per il popolo"); tuttavia ritiene pericolosa la sua sicurezza religiosa (a differenza della religione tormentata di Dostoevskij). Il filosofo franco-rumeno come la Armenteros vede il conte savoiardo come predecessore involontario anche del positivismo più scientista, che non avrebbe fatto altro che sostituire le dottrine moderne della scienza al cattolicesimo onde fondare dei nuovi dogmi adatti alle nuove masse (dall'infallibilità ultramontana del papa all'infallibilità del metodo scientifico) in maniera simile a Karl Marx che utilizza le categorie e la dialettica idealiste di Hegel per creare il marxismo e il materialismo storico.[40]

Sempre secondo Cioran, alla fine però la lettura delle Serate di Pietroburgo e del Du Pape risulterebbe alla fine deleteria alla stessa idea reazionaria e cattolica, in quanto il pensatore rumeno è infastidito da tutto quello che diventa fanatismo religioso o utopia:

«Più lo si frequenta, più si pensa alle delizie dello scetticismo o all’urgenza di una perorazione per l’eresia... Quando parliamo di fallimento, non pensiamo solo a Maistre, ma anche a Saint-Simon. Nell'uno come nell'altro un eguale attaccamento, esclusivo, ristretto, alla causa dell'aristocrazia, una massa di pregiudizi difesi con una rabbia continua, l'orgoglio di casta spinto fino all'ostentazione, e un'eguale incapacità di agire che spiega perché furono così audaci come scrittori. Che l'uno mediti su problemi o l'altro descriva avvenimenti, la minima idea, il minimo fatto esplodono sotto la passione che vi mettono. Volerne anatomizzare la prosa equivale ad analizzare una bufera.»

Per Cioran, de Maistre è soprattutto un grande "provocatore" in quanto sa di essere dalla parte "fallita" della storia, e da ciò deriva la passione con cui scrive.

«Ciò cui mira è inchiodare gli uomini alla tradizione, distoglierli dal bisogno che hanno d’interrogarsi sul valore e la legittimità dei dogmi e delle istituzioni. – Oso dire che quello che dobbiamo ignorare è più importante di quello che dobbiamo sapere[41] - Il positivismo trasse il maggior profitto dai sistemi ‘retrivi’, di cui rifiutò il contenuto e le credenze solo per adottarne meglio l’armatura logica, il contorno astratto. (...) ben più libero, un Baudelaire v’attinse, per semplice necessità interiore, alcuni temi, come quelli del male e del peccato, o taluni suoi ‘pregiudizi’ contro le idee democratiche e il ‘progresso’. - Ciò che si crede vero va detto e detto arditamente; vorrei, qualunque cosa mi costasse, scoprire una verità capace di urtare tutto il genere umano: gliela direi a bruciapelo - il Baudelaire della 'franchezza assoluta' di Mon coeur mis a nu e dei Razzi è contenuto e in un certo modo annunciato in questa dichiarazione delle Serate, che ci offre la formula di quell’incomparabile arte della provocazione nella quale Baudelaire si sarebbe distinto quasi quanto Maistre.»

In un appunto del 1971 nei Quaderni Cioran fa eco a de Maistre sul valore pratico della religione a cui pure non crede:

«L'idea di Dio è durata un bel pezzo! E non si vede con che sostituirla. Perché allora l'uomo non dovrebbe fare di tutto per conservarla, per aggrapparvisi? In ogni caso non troverà niente di meglio. Perciò è sempre una cattiva azione scalzare una credenza, per quanto sciocca, per quanto astrusa sia. È con le credenze che ci si consola, non con i ragionamenti.»

In un'intervista del 1988, Cioran chiarisce ulteriormente

«Nel saggio su De Maistre è lei a reagire alle provocazioni dell'autore delle 'Serate di San Pietroburgo'; ma si ha l'impressione che, tutto sommato, pur eccellendo nel gioco del paradosso, lei non ami essere eccessivamente complice di quello altrui.

Lei ha ragione, e ritengo che il saggio su De Maistre sia il mio testamento politico. De Maistre è un pretesto di cui mi sono servito, perché è uno scrittore estremo in tutto, grandissimo, ma anche assolutamente demente. La mia è una analisi che tende a una riflessione molto pessimista della storia, dove non ci sono né ipotesi né conclusioni. Un testo inutilizzabile, vuoi da sinistra che da destra. Quel che mi interessava soprattutto in De Maistre erano le sue idee sulla rivoluzione.

Però, in quel saggio, che è del 1957, quando scriveva che fra il paradiso primordiale delle religioni e quello finale delle utopie c'è tutto l'intervallo che separa un rimpianto da una speranza e un rimorso da un'illusione, lei lasciava supporre che la sua simpatia andasse piuttosto in direzione dell'utopia, della rivoluzione.

A quell'epoca ero molto di più dalla parte della rivoluzione di quanto lo sono oggi. Poi ho fatto molte letture che mi hanno indotto a guardare la rivoluzione sotto un altro aspetto. Per esempio, per capire cos'è stata la Rivoluzione francese, non bisogna leggere i libri di storia, bisogna leggere i memorialisti del tempo, come l'abbé Morellet. È lì, nella cronaca quotidiana, che si misura tutta l'atrocità di quel che è successo.[43]»

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Nobilis Ioseph Maistre Camberiensis ad i.u. lauream anno 1772. die 29. Aprilis hora 5. pomeridiana, 1772. La tesi di laurea di Joseph de Maistre, conservata negli archivi della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino ( link, su id.sbn.it.).
  • Elogio di Vittorio Amedeo III (Éloge de Victor-Amédée III), 1775.
  • Lettere d'un realista savoiardo ai suoi compatrioti (Lettres d'un royaliste savoisien à ses compatriotes), 1793.
  • Studio sulla sovranità (Étude sur la souveraineté), 1794 (postumo, in Œuvres inédits del 1870).
  • Dello stato di natura, ossia Esame d'uno scritto di Jean-Jacques Rousseau (De l'État de nature ou Examen d'un écrit de Jean-Jacques Rousseau), 1795 (postumo, in Œuvres inédits del 1870).
  • Considerazioni sulla Francia (Considérations sur la France), 1796.
  • Intorno allo stato del Piemonte rispetto alla carta moneta, 1797-1799. Scritto italiano pubblicato a Turn, Aosta e Venezia.
  • Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche (Essai sur le principe générateur des constitutions politiques), pubblicato da Louis de Bonald, 1814.
  • Del Papa (Du Pape), 1819.
  • Della Chiesa gallicana nel suo rapporto con il Sovrano Pontefice, per servire da seguito all'opera intitolata "Del Papa" (De l'Église gallicane dans son rapport avec le Souverain Pontife, pour servir de suite a l'ouvrage intitulé "Du Pape"), postumo, 1821.
  • Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza (Les soirées de Saint-Pétersbourg, ou Entretiens sur le gouvernement temporel de la Providence), postumo, 1821.
  • Lettere ad un gentiluomo russo sull'Inquisizione spagnola (Lettres à un gentilhomme russe sur l'Inquisition espagnole), postumo (a cura del figlio, il conte Rodolphe de Maistre), 1822.
  • Esame della filosofia di Bacone (Examen de la philosophie de Bacon), postumo, 1836.
  • Lettere ed opuscoli inediti (Lettres et opuscules indédits), postumo (a cura del figlio, il conte Rodolphe de Maistre), 1851.
  • Memorie politiche ed episolario diplomatico (Mémoires politiques et correspondance diplomatique), postumo (a cura di Albert Blanc), 1858.
  • Quattro capitoli inediti sulla Russia (Quatre chapitres inédits sur la Russie), postumo (a cura del figlio, il conte Rodolphe de Maistre), 1859.
  • La Casa di Savoja e l'Austria, postumo, (documenti inediti tratti dalla corrispondenza diplomatica), 1859.
  • Opere inedite (Œuvres inédits), postumo (a cura del nipote, il conte Charles de Maistre), 1870.

Opere complete[modifica | modifica wikitesto]

  • Opere complete di Joseph de Maistre (Œuvres complètes de Joseph de Maistre), 1884-1886 (Vitte et Perrussel, 14 volumi in-8º).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Joseph de Maistre, Correspondance diplomatique, in Œuvres complètes, I, Paris, 1860, pp. III-IV.
    «Je ne suis pas français, je ne l'ai jamais été et je ne veux pas l'être»
  2. ^ a b c d e f Joseph de Maistre, pensatore europeo da una lezione del dott. Ignazio Cantoni, su scuoladieducazionecivile.org (archiviato dall'url originale il 19 novembre 2008)..
  3. ^ (EN) Richard Lebrun, Ph.D., Joseph de Maistre, how Catholic a Reaction?, in CCHA Study Sessions, n. 34, 1967, pp. 29-45. URL consultato il 12 aprile 2019 (archiviato il 7 gennaio 2007).
  4. ^ (EN) J.D.Upton, The Constitutional Thought o f Joseph de Maistre (PDF), su etheses.lse.ac.uk, Londra, The London School of Economics and Political Science, novembre 2008, p. 18 (archiviato l'11 aprile 2019)., (Tesi di dottorato in Legge); cfr. anche Mario Matucci, 1989, su books.google.it. URL consultato il 19 aprile 2019 (archiviato dall'url originale l'11 aprile 2019)., pp. 228-229
  5. ^ Andrea Cuccia, Dieci Tavole Architettoniche sulla Massoneria, Rubbettino, Catanzaro, 2005, cap. "Il movimento massonico femminile", p. 318.
  6. ^ a b La Controrivoluzione di Joseph de Maistre, su lanuovabq.it. URL consultato il 25 agosto 2022.
  7. ^ AA.VV., La massoneria, 2018 estratto
  8. ^ Copia archiviata, su eresie.it. URL consultato il 24 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2009).
  9. ^ Hofman, Amos. "Opinion, Illusion, and the Illusion of Opinion: Barruel Theory of Conspiracy." Eighteenth Century Studies Vol. 27 No. 1 (1993). 27–60.
  10. ^ Ogni nazione ha il governo che si merita
  11. ^ a b Joseph de Maistre: commento del pensiero (a cura di C. Galli), su filosofico.net..
  12. ^ Mémoires politique et corrispondence diplomatique, Paris, 1859, p. 23 ss.
  13. ^ Da Bianco e oro, Nuova Antologia, 1° novembre 1934.
  14. ^ Libro primo, Parte prima, Cap. I-II-III-IV-V-VI).
  15. ^ A causa della disastrosa situazione delle casse del Regno, il Conte de Maistre dovette separarsi dalla propria famiglia, che riuscirà a raggiungerlo solo nel 1814.
  16. ^ Phillips, Alexander I (tsar) on Encyclopaedia Britannica, Cambridge University Press, 1911.
  17. ^ a b Peter Sloterdijk, I figli impossibili della nuova era: Sull’esperimento anti-genealogico dell’epoca moderna, su books.google.it.
  18. ^ Scrive de Maistre, riguardo alla possibile unità dell'Italia, che « gli Italiani non ci fanno grande attenzione, sono tutti distratti o indifferenti » (Lettera a Massimo d'Azeglio - Torino, 21 febbraio 1821). Tuttavia preferisce che il Piemonte non s'impegni in un'impresa che gli potrebbe riuscire troppo pericolosa: « [...] esaminare se il Piemonte può essere più fiorente e felice come grande provincia o come piccolo regno. [...] Io propendo per la seconda. » (ibidem).
  19. ^ A. Blanc, Prefazione a J. de Maistre, Correspondance diplomatique, Paris, 1860, vol. I, pp. III-IV
  20. ^ A. Omodeo, Introduzione a G. Mazzini, Scritti scelti, Milano, 1934, 2a ed. 1952, op. cit.
  21. ^ Cfr. Antonino De Francesco, Tutti i volti di Marianna, p.31-32.
  22. ^ J. de Maistre, Le serate di Pietroburgo, Primo colloquio
  23. ^ Fuchs, Michel (1984). "Edmund Burke et Joseph de Maistre", Revue de l'Université d'Ottawa, vol. 54, pp. 49-58.
  24. ^ A. de Tocqueville, La democrazia in America, vol. I, parte I, cap. IX, pag. 308-315; anche: L'état social et politique de la France avant et depuis 1789, pag. 36; L'Ancien régime et la Révolution, pp. 204-205; Lettera a Lord Radnor del maggio 1835, contenuta nell'Epistolario, ed. Beaumont, vol VI; pag. 41-48. Riferimenti bibliografici in nota di pag. 60 in: Anna Maria Battista, Alexis de Tocqueville - Lo spirito liberale e lo spirito religioso: Tocqueville nel dibattito sulla scuola, Editoriale Jaca Book, 1976
  25. ^ Arnold, Matthew (1973). "Joseph de Maistre sulla Russia". In: "Letteratura inglese e politica irlandese". Ann Arbor: The University of Michigan Press, p. 87.
  26. ^ Alphonse de Lamartine, Les De Maistre, in Ricordi e Ritratti, vol. 1, Paris: Hachette et Cie., 1874, p. 189.
  27. ^ Émile Faguet, Politiques et Moralistes du Dix-neuvieme Siècle, 1ª serie, Parigi: Société Française d'Imprimerie et de Librairie, 1899.
  28. ^ Alphonsus, Mère Mary (1942). L'influenza di Joseph de Maistre su Baudelaire. "De Maistre et Edgar Poe m'ont appris à Raisonner" (journaux intimes). Bryn Mawr: tesi di dottorato del Bryn Mawr College.
  29. ^ Eygun, Francois-Xavier (1990). "Influence de Joseph de Maistre sur les "Fleurs du Mal" de Baudelaire", Revue des Etudes Maistriennes, vol. 11, pp. 139-147.
  30. ^ "De Maistre e Edgar Poe mi hanno insegnato a ragionare". – Baudelaire, Charles (1919). Documenti intimi dalle opere inedite di Baudelaire. Baudelaire – La sua prosa e poesia., su archive.org. New York: The Modern Library, p. 245.
  31. ^ Armenteros, Carolina (2011). L'idea francese di storia: Joseph de Maistre e i suoi eredi, 1794-1854. Ithaca, NY e Londra: Cornell University Press ISBN 0-8014-4943-X
  32. ^ A. Comte, Catechismo positivista, 1852
  33. ^ Saintsbury, George (1917). Una breve storia della letteratura francese., su babel.hathitrust.org. Oxford: Clarendon Press, p. 469.
  34. ^ Tarrago, Rafael E., "Due conservatori cattolici: le idee di Joseph de Maistre e Juan Donoso Cortes," (PDF), in Catholic Social Science Review, vol. 4, 1999, pp. 167-177 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2014).
  35. ^ Spektorowski, Alberto (2002). "Maistre, Donoso Cortes e l'eredità dell'autoritarismo cattolico", Giornale di storia delle idee, vol. 63, n. 2, pp. 283-302.
  36. ^ Gerin-Ricard, Lazare de (1929). Les Idées Politiques de Joseph de Maistre et la Doctrine de Maurras. La Rochelle: Editions Rupella.
  37. ^ "Le celebri parole dell'abate Edgeworth [Figlio di san Luigi, salite al cielo] ai piedi del patibolo di Luigi XVI sono vere in tutti i sensi e sembrano ispirate dal soprannaturale; ma sono parole che avevano bisogno di essere dette. Davanti al patibolo della regina sono inutili poiché Maria Antonietta, per suo infinito rammarico e la sua infinita consolazione, sa una cosa che Luigi XVI non ha mai capito. Sa di essere la regina espiatoria di tutti i peccati della discendenza di Luigi il Santo, e che sotto la lama infame essa porterà alla gloria il suo sposo".
  38. ^ Steven B. Smith Reading Leo Strauss: Politics, Philosophy, Judaism, University of Chicago Press, 2007, capitolo IV
  39. ^ "Vorrei aggiungere che Joseph de Maistre è uno degli autori che più ho frequentato. Giovanissimo, mi sono appassionato a Del Papa, e poi ho letto più volte Le Serate di San Pietroburgo e le sue Considerazioni sulla Rivoluzione" (Lettera a Carl Schmitt)
  40. ^ E. Cioran, Esercizi di ammirazione, cap. I
  41. ^ «Ma la religione ordina l'umiltà e la obbedienza. Nessuno meglio di Dio conosce la nostra creta. Io oso dire che ciò che dobbiamo ignorare è più importante per noi di ciò che noi dobbiamo sapere...» (Joseph de Maistre, Le serate di San Pietroburgo, XI colloquio, traduzione così riportata in B. Croce, La critica e A. Omodeo, Un reazionario: il conte J. de Maistre, p. 165, 1939
  42. ^

    «Ciò cui mira è inchiodare gli uomini alla tradizione, distoglierli dal bisogno che hanno d’interrogarsi sul valore e la legittimità dei dogmi e delle istituzioni. – Oso dire che quello che dobbiamo ignorare è più importante di quello che dobbiamo sapere - Il positivismo trasse il maggior profitto dai sistemi ‘retrivi’, di cui rifiutò il contenuto e le credenze solo per adottarne meglio l’armatura logica, il contorno astratto. Auguste Comte si servì delle idee di de Maistre come Marx di quelle di Hegel. Diversamente attenti alla sorte della religione, ma parimenti asserviti ai relativi sistemi, positivisti e cattolici sfruttarono nel modo più appropriato ai propri interessi il pensiero dell’autore di Du Pape; ben più libero, un Baudelaire v’attinse, per semplice necessità interiore, alcuni temi, come quelli del male e del peccato, o taluni suoi ‘pregiudizi’ contro le idee democratiche e il ‘progresso’. - Ciò che si crede vero va detto e detto arditamente; vorrei, qualunque cosa mi costasse, scoprire una verità capace di urtare tutto il genere umano: gliela direi a bruciapelo - il Baudelaire della 'franchezza assoluta' di Mon coeur mis a nu e dei Razzi è contenuto e in un certo modo annunciato in questa dichiarazione delle Serate, che ci offre la formula di quell’incomparabile arte della provocazione nella quale Baudelaire si sarebbe distinto quasi quanto Maistre. Vi si distinguono d’altro canto tutti coloro i quali, per chiaroveggenza o per acredine, ripudiano gli incantesimi astuti del Progresso. Perché i conservatori impiegano così bene l’invettiva e in genere scrivono con maggior cura dei ferventi dell’avvenire? Il fatto è che, furenti d’esser contraddetti dagli avvenimenti, si gettano sul verbo, dal quale, in mancanza d’una più sostanziale risorsa, traggono vendetta e consolazione. Gli altri, tranquilli dal lato della 'storia', scrivono senz’arte, anzi senza passione, consci che lo stile è la prerogativa e quasi il 'lusso' del fallimento.»

  43. ^ Intervista a Cioran (1988) - CIORAN O LA MORTE DELL'UTOPIA di Benedetta Craveri
  44. ^ Joseph Marie de MAISTRE, su Accademia delle Scienze di Torino. URL consultato il 17 novembre 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Armenteros, Carolina, The French Idea of History: Joseph de Maistre and his Heirs, 1794-1854 (Ithaca, NY e Londra: Cornell University Press, 2011).
  • Armenteros, Carolina e Richard Lebrun, Joseph de Maistre and his European Readers: From Friedrich von Gentz to Isaiah Berlin (Leiden and Boston: Brill, 2011).
  • Armenteros, Carolina e Richard Lebrun, Joseph de Maistre and the Legacy of Enlightenment, SVEC (Oxford: The Voltaire Foundation, 2011).
  • Armenteros, Carolina e Richard Lebrun, The New enfant du siècle: Joseph de Maistre as a Writer (PDF), su research-repository.st-andrews.ac.uk., in St Andrews Studies in French History and Culture 1 (2010).
  • Armenteros, Carolina, "From Human Nature to Normal Humanity: Joseph de Maistre, Rousseau, and the Origins of Moral Statistics," Journal of the History of Ideas, 68, 1 (2007): 107–30.
  • Armenteros, Carolina, "Parabolas and the Fate of Nations: Early Conservative Historicism in Joseph de Maistre's De la souveraineté du peuple," History of Political Thought, 28, 2 (2007): 230–52.
  • Barthelet, Philippe, Joseph de Maistre: Les Dossiers H (Geneva: Éditions L'Âge d'Homme, 2005).
  • Berardi, Silvio. La teocrazia universale di Joseph de Maistre. Tra Rivoluzione e Restaurazione. Roma, Anicia, 2008. ISBN 978-88-7346-505-8.
  • Cioran, Émile. Essai sur la pensée réactionnaire: à propos de Joseph de Maistre (in italiano edito come Saggio sul pensiero reazionario. A proposito di Joseph de Maistre). Fata Morgana, Parigi, 1977.
  • Campari&deMaistre. Joseph de Maistre. Il padre del pensiero controrivoluzionario. Historica Edizioni, Roma, 2021. ISBN 978-8833372358
  • Fisichella, Domenico. Giusnaturalismo e teoria della sovranità in Joseph de Maistre. Messina-Firenze, 1963. (ora in Id. Politica e mutamento sociale. Costantino Marco Editore, Lungro di Cosenza, 2002, pp. 191–243. ISBN 88-85350-97-6.)
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