Insurrezione lucana

I comuni dell'insurrezione. In rosso quelli dove fu proclamata l'unità, in marrone quelli che fornirono uomini alle forze insurrezionali, in giallo dove si ebbero tentativi contro-insurrezionali, in azzurro i comuni toccati dal percorso di Garibaldi.

L'insurrezione lucana è una serie di episodi del Risorgimento avvenuti in Basilicata nel mese di agosto dell'anno 1860. In questo periodo la provincia fu la prima, della parte continentale del Regno delle Due Sicilie, a dichiarare decaduto il re Francesco II di Borbone e a proclamare la sua annessione al futuro Regno d'Italia[1].

I preparativi[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.

Un notevole impulso alla rinascita della rete associazionistica lucana dopo le repressioni post 1848 fu dato dalla «Grande società dell'unità italiana» che, come specificato nella sua Costituzione, era erede della Carboneria e della Giovine Italia, allo scopo di «liberare l’Italia dalla tirannide interna de’ principi e da ogni potenza straniera».

Nel 1854 si costituiva a Napoli un comitato composto da Luigi Dragone e Giuseppe Fanelli, affiancati da Giovanni Matina e Giacinto Albini; il direttivo Fanelli-Dragone aveva sede operativa nella casa della moglie di quest'ultimo ed operò, di fatto, nel biennio 1856-1857, lavorando attivamente per ricostruire una rete associazionistica tra Cilento, Basilicata e Terra d'Otranto, grazie all'azione di Giacinto Albini, che aveva organizzato vari “sub-comitati”, soprattutto ad Altamura e Bitonto, intavolando stretti legami con il Comitato provinciale di Bari, nelle persone di De Laurentis, Francesco Terranova, Candido Turco.

Albini, in Basilicata, aveva istituito un “sub-comitato” a Corleto Perticara, con la collaborazione di Domenico Ruggiero, padre Alessandro da Tricarico, Carmine Senise, Domenico Dipietro, Giuseppe Defranchi, i potentini Camillo Motta e Orazio Petruccelli, il laurenzanese Domenico Asselta.

La ramificazione del Comitato di Fanelli e Dragone sul territorio provinciale di Basilicata è evidenziata dal ritrovamento, da parte della polizia borbonica, di «carte sediziose» che avevano lo scopo di promuovere gli ideali mazziniani, in special modo una fitta corrispondenza tra Napoli e Giacinto Albini, nominato commissario promotore della provincia di Basilicata[2]. Da queste lettere si evidenzia come, alla fine del 1856, la Basilicata fosse considerata dal Comitato di Napoli una delle province più pronte ad insorgere ed uno snodo fondamentale, data la sua caratteristica di “cerniera” tra province campane, pugliesi e calabresi.

Intanto, il Comitato di Napoli (rinominatosi, nell'aprile del 1860, «Comitato Napoletano della Società Nazionale Italiana») continuava ad insistere sul ruolo della Basilicata come motore dell’insurrezione "preventiva". La «Società Nazionale», facente capo a La Farina a Torino e ad Agostino Bertani a Genova, si unì ben presto al Comitato di Napoli, chiamato, infine, «Comitato dell’Ordine». La preparazione dell’insurrezione, accuratamente organizzata, confluì, infine, nel giugno del 1860, nella costituzione di un Comitato a Corleto Perticara, che corrispondeva direttamente col Comitato Centrale di Napoli, da una parte, e dall'altra con i centri della provincia. Il Comitato si strutturò immediatamente in modo ben preciso, con un direttivo di nove componenti e diversi delegati che avrebbero avuto il compito di girare nei comuni della provincia per organizzare i comitati locali e raccogliere fondi ed armi per marciare sul capoluogo, Potenza, in modo da costituire un governo provvisorio di appoggio ai volontari di Garibaldi, in modo da prevenire la raccolta dei militari borbonici nelle aree di passaggio verso Napoli[3].

Vennero, infatti, organizzati, partendo dal coordinamento centrale dell’intera provincia, 12 sottocentri, con importanti modifiche territoriali[4].

Corleto Perticara era il capoluogo del primo, comprendente 18 comuni, vale a dire che ai 14 originariamente previsti (Calvello, Laurenzana, Accettura, Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Aliano, Missanello, Gallicchio, Guardia, Armento, Castelmezzano, Pietrapertosa) si aggiunsero Anzi, Trivigno, Brindisi di Montagna e Vaglio, "abbandonati" da Potenza.

L’area del Vulture-Melfese fu suddivisa tra Avigliano (intorno al quale gravitavano Ruoti, Rapone, Ruvo, Atella, Rionero, Barile, Rapolla, Ginestra, Ripacandida e Melfi) e Genzano (comprendente Maschito, Palazzo, Montemilone, Venosa, Lavello, Forenza e Banzi). Nell’area nord-orientale della Basilicata, il sottocentro di Miglionico, che prima raggruppava 11 comuni, si ripartì in due sub-centri minori, ossia Miglionico - con Matera, Montescaglioso, Pomarico, Grottole - e il sottocentro di Ferrandina, costituito da Pisticci, Bernalda, Montalbano, Craco, Salandra. Tricarico era il centro intorno al quale gravitavano i comuni di Montepeloso, Grassano, San Mauro Forte, Oliveto, Garaguso, Calciano, Albano, Campomaggiore, Tolve e San Chirico Nuovo.

Per quanto riguarda il sud della provincia, l’alta Val d’Agri gravitava su Tramutola, a capo del sottocentro comprendente Sant'Angelo Le Fratte, Pietrafesa, Sasso, Brienza, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Viggiano, Saponara, Sarconi, Moliterno, Spinoso e Montemurro. Rotonda era a capo di un sottocentro comprendente Lagonegro, Rivello, Nemoli, Trecchina, Maratea, Lauria, Castelluccio Superiore e Inferiore, Viggianello e San Severino Lucano, dunque controllando l’area strategica a cavaliere del Pollino e verso il Cilento. Il sottocentro di Castelsaraceno si trovava ad essere cerniera verso la Val Sarmento e il Serrapotamo, comprendendo Latronico, Episcopia, Carbone, San Chirico Raparo, San Martino d'Agri e Calvera, mentre l’area del Senisese era organizzata in un sottocentro piuttosto ampio, comprendente, oltre Senise, Chiaromonte, Teana, Fardella, Noepoli, San Giorgio, Terranova, Cersosimo, Casalnuovo, Rotondella, Tursi, Favale, Colobraro, Sant'Arcangelo, Castronuovo, Roccanova, Francavilla e Bollita. In tal modo, questi tre sottocentri si intrecciavano territorialmente, in modo da controllare l’area più strategica della provincia, in diretta comunicazione con il passo cruciale della Calabria cosentina.

Il sottocentro di Potenza (con Pignola, Abriola, Cancellara, Oppido, Acerenza, Pietragalla, Picerno, Tito e Vietri) restava autonomo, vale a dire che, mentre era in corrispondenza col Comitato lucano risiedente in Corleto, nel tempo stesso corrispondeva direttamente col Comitato Centrale di Napoli. A parte, in un secondo momento, venne istituito il sottocentro strategico di Bella, che avrebbe assicurato il controllo sul Marmo e sul cruciale passo delle Crocelle: esso comprendeva Muro, Castelgrande, Baragiano, Pescopagano, Balvano, San Fele.

Nel frattempo a Matera tra il 7 e l'8 agosto avvenne un episodio contro-insurrezionale, precursore del brigantaggio postunitario, l'eccidio Gattini. L'evento maturò durante la preparazione all'insurrezione della Basilicata, che non aveva affatto persuaso i contadini materani. I notabili, naturalmente, come nel resto del Mezzogiorno, erano già pronti al cambiamento, per conservare i propri privilegi e magari accrescerli[5].

L'avvio dell'insurrezione[modifica | modifica wikitesto]

In questo contesto in piena evoluzione, Giacinto Albini, insieme a Camillo Boldoni e Nicola Mignogna si riunirono a Corleto Perticara, la sera del 13 agosto, per organizzare l'insurrezione della provincia. Al colonnello Boldoni fu dato il comando delle azioni militari, così come stabilito da un telegramma pervenuto dal comitato di Napoli del 10 agosto precedente; i poteri civili furono invece avocati dall'Albini e da Mignogna.

Il 14 agosto furono inviati messi agli altri comitati basilicatesi, ed anche nel Barese, Cosentino e nel Cilento, per diffondere le notizie e l'intenzione di marciare su Potenza. Il Boldoni informò il comitato centrale napoletano delle sue intenzioni con il seguente telegramma:

«Sabato, 18 agosto, mi recherò sopra Potenza per proclamare colà il governo di S. M. Vittorio Emanuele e la Dittatura di V. S. I.»

Il giorno 16 agosto nella cittadina di Corleto Perticara, alle cinque del pomeriggio, Albini e i suoi uomini proclamarono ufficialmente l'Unità d'Italia, in una manifestazione popolare e religiosa tenuta in piazza Del Fosso, poi ridenominata piazza del Plebiscito.

Furono deposti gli stemmi e le insegne borboniche, e al loro posto innalzati immagini di Vittorio Emanuele II re d'Italia e bandiere del regno sabaudo. La cerimonia fu accompagnata da musiche, sfilate militari e fuochi d'artificio.

Michele Lacava, presente all'evento, lo descrisse così:

«Alle 5 ore p. m. del giorno 16 agosto, presenti nella vasta del Plebiscito (allora del Castello) 400 militi della Guardia Nazionale, e del drappello d'insorti, e circa 80 disertori, il Comitato Lucano, il Prodittatore Albini ed il Colonnello Boldoni proclamano solennemente il Governo Nazionale, innalzando la gloriosa bandiera della Patria che doveva trionfare nell'Italia meridionale, come gloriosamente era trionfata a Palermo e in tutte le regioni libere di Italia. Assistevano più migliaia di persone che dalla piazza del Plebiscito, e lungo la via ora detta Nazionale, si estendevano alla Gersa, vasto luogo di pubblico passeggio; quando fu proclamato il governo Nazionale, i militi della Guardia Nazionale e degl'Insorti, presentarono le armi al sacro vessillo d'Italia, mentre delle Bande suonavano inni patriottici del 1848: ed il popolo acclamava al nuovo governo con evviva e segni di gioia impossibili a descriversi, e che sono speciali del popolo meridionale, quando in esso la passione e la gioia traboccano oltre misura.
Due degni sacerdoti, Salvatore Guerrieri, e Biagio Martino, ambo ora morti, uno nella chiesa parrocchiale, ricorrendo la festività di S. Rocco da Montpellier, primissima nel paese di Corleto; e l'altro appena dopo la proclamazione del governo Nazionale nella Gersa, predicarono al popolo: il primo mostrando il risorgimento del popolo latino e l'alleanza dell'Italia colla Francia, e come fosse precetto dell'Evangelo accogliere il governo Nazionale, e abbandonare l'infausto governo dei Re spergiuri: era volere di Dio farsi l'Italia una, libera ed indipendente. Il secondo bandi al popolo la rivoluzione avvenuta, il servaggio distrutto, e la libertà acquistata; fu felice il paragone tra Cristo Redentore del genere umano, e Garibaldi redentore dell'oppresso popolo Italiano.»

Nella serata dello stesso giorno, giunsero nella cittadina i drappelli dei comitati insurrezionali dei paesi vicini: da Pietrapertosa giunsero 45 armati agli ordini di F. Saverio Garaguso; da Aliano arrivarono 14 uomini comandati da Giambattista Leo; da Ferrandina una colonna, di numero imprecisato, comandata da Carmine Sivilla e Giacomo Leonardis; da Miglionico un drappello comandato da Giambattista Matera; da Missanello giunsero gli uomini capitanati da Rocco de Petrocellis; da Gallicchio arrivarono 82 uomini comandati da Giambattista Robilotta; da Gorgoglione e Cirigliano furono riuniti gli uomini della colonna di Giuseppe Bruno; da Montemurro gli uomini di Pietro Bonari; da Spinoso quelli di Nicola Albini. Il comitato di Corleto fornì armi, vettovaglie e munizioni, raccolti anche 4.000 ducati.

Epigrafe in memoria di Carmine e Tommaso Senise a Napoli.

Il giorno seguente, nella cittadina di Rionero in Vulture, il sindaco Giuseppe Michele Giannattasio scese in piazza con il quadro di Garibaldi tra le mani e urlando «Viva Garibaldi!». Successivamente, insieme con Emanuele Brienza, Canlo Musio, Nicola Mennella, Achille D'Andrea, Achille Pierro, Francesco Pennella e Costantino Vitelli, marciò alla testa di un drappello di 54 uomini alla volta di Potenza.

All'alba del 18 agosto gli uomini riuniti a Corleto, circa 500, partirono verso Potenza. Dopo una sosta nella cittadina di Laurenzana, furono raccolti altri uomini, con a capo Basilio Asselta; mentre da Accettura provenivano gli uomini di Leonardo Belmonte; giunti ad Anzi, oltre agli uomini della stessa città comandati da Francesco Pomarici, si unirono al contingente insorti provenienti da Viggiano, comandati da Luigi Marrano; Tramutola, comandati da Carlo Caputo; Saponara, comandati da Camillo Schiavone; Calvello, comandati dal signor Guerrieri; Pietrafesa (l'odierna Satriano di Lucania), comandati da Vincenzo Arnone; Vietri di Potenza e Picerno, comandati da Nicola Capece.

Al comando di Boldoni erano quindi 800 uomini.

18 agosto 1860[modifica | modifica wikitesto]

Già durante la notte del 17 agosto, le truppe insurrezionali, giunte da Melfi e da Genzano di Lucania, erano alle porte di Potenza.

Il 18 agosto, a mezzogiorno, avvistati i primi due drappelli insurrezionali, le truppe borboniche - circa 400 soldati comandati dal capitano Salvatore Castagna - rientrarono precipitosamente in città da sud, concentrandosi in piazza del Sedile, sede del Comune e delle milizie cittadine e unico spazio disponibile all'adunanza, dato che la centrale piazza dell’Intendenza era occupata dalle baracche ivi installate dopo il terremoto del 1857.

Il contrasto con la popolazione, accorsa ad osservare l’entrata della guarnigione, era inevitabile e, secondo i cronisti, voluto dal capitano Castagna per soffocare sul nascere qualsiasi movimento popolare:

Targa commemorativa a Potenza.

«Il popolo correva loro incontro festevole per abbracciarli ed il Castagna gridò: Viva il Re, Morte alla Nazione, ordinando alla sua gente facesse fuoco sul popolo.
Era lì vicino un picchetto di Guardia Nazionale, appena forte di 30 individui, prese subito le difese del popolo attaccando i gendarmi di fronte. Giunta la nuova del fatto al capo opposto della strada detto Porta Salsa (sic), si mossero altre 20 Guardie Nazionali in difesa della propria arma ed attaccarono alle spalle la Gendarmeria. Il popolo, comunque sfornito di armi, fu sollecito a pigliare parte al fatto, ed energicamente attaccando i Gendarmi, li metteva in fuga. [...] dei gendarmi ne rimasero 14 estinti, 40 prigionieri e diversi feriti.
I Gendarmi violentarono la casetta di un povero contadino e mettevano a morte quella famiglia composta de’ genitori ed un figlio.»

La reazione, guidata da Domenico Asselta, che, tra l’altro, rimase lievemente ferito, fu, dunque, violenta e sanguinosa, svolgendosi tra le strade e i vicoli del centro, con l’inevitabile coinvolgimento della popolazione. Morirono in quattro (Giovanni e Gaetano Crisci, i contadini attaccati dalla Gendameria; Luigi Guerreggiante; Giosuè Romaniello) e molti feriti si registrarono durante la ritirata. La guarnigione, ritiratasi a sera lungo l’uscita meridionale di Potenza, dalla parte del torrente Gallitello e verso la piana di Tito, lasciava Potenza in mano agli insorti, giunti dalla via di Rifreddo (presso Pignola).

Il governo prodittatoriale[modifica | modifica wikitesto]

Il 19 agosto si costituiva a Potenza il Governo Prodittatoriale, composto da Nicola Mignogna e da Giacinto Albini che, in qualità prodittatori del generale Garibaldi, prendevano “possesso” della provincia nel nome di Vittorio Emanuele II, installandosi nel palazzo Ciccotti. A comporre quel Governo vennero chiamati, come segretari, Gaetano Cascini, Rocco Brienza, Giambattista Matera, Nicola Maria Magaldi e Pietro Lacava, uomo di fiducia, quest’ultimo, di Giacinto Albini ed esponente del Comitato dell’Ordine. Venne confermato Camillo Boldoni al comando delle forze insurrezionali e mantenuti nei loro posti i funzionari borbonici che avessero aderito al governo prodittatoriale e, nel contempo, furono costituiti vari Comitati e Commissioni cui erano chiamati a far parte, prevalentemente, esponenti della corrente moderata affiancati da uomini che, fedeli al Borbone, avevano soltanto all'ultimo momento aderito al movimento insurrezionale[7].

Non potendo estromettere dal comando della Guardia Nazionale del capoluogo Emilio Petruccelli, esponente della corrente democratica, reduce dai ferri e distintosi nei fatti del 18 agosto, il nuovo governo ne limitava i poteri e l’autorità affiancandogli un Comitato di Sicurezza Pubblica costituito da elementi moderati appartenenti alla ricca borghesia del capoluogo[8].

Fu, inoltre, istituita una Giunta Centrale di Amministrazione, composta da 7 direttori e presieduta da Francesco Antonio Casale. Direttore della Guerra (I Ufficio) era Francesco Lovito; Direttore delle Finanze, dazi, poste e procacci (II Ufficio): Ercole Ginistrelli; Direttore della Sicurezza e dei lavori pubblici, carceri, statistica (III Ufficio): Saverio de Bonis; Direttore dell’Amministrazione provinciale e municipale-affari demaniali (IV Ufficio): Giacomo Racioppi; Direttore dell’Istruzione, agricoltura, industria, commercio foreste, salute pubblica (V ufficio): Nicola Alianelli; Direttore della Giustizia (VI Ufficio): Angelo Spera; Direttore degli Affari Ecclesiastici e Beneficenze (VII Ufficio): l’arciprete Gerardo Lapenna.

Nella stessa giornata del 19 agosto, le prime azioni del Governo, relativamente all'organizzazione difensiva, riguardarono la messa in sicurezza di Potenza, sicché vennero istituiti un Comitato di sicurezza pubblica, una Commissione di ingegneri incaricati di barricare la città e l’immediata organizzazione delle milizie[9].

Contemporaneamente ai primi decreti della Prodittatura si avviò un produttivo progetto ad ampio raggio che si faceva portavoce del governo: il «Corriere Lucano. Giornale Ufiziale dell’Insurrezione», che, pubblicato a partire dal 23 agosto, nei giorni di martedì, giovedì e sabato, era composto da un editoriale, dagli atti e proclami del governo e dalle iniziative in campo militare ed economico. Presentandosi come organo ufficiale della Prodittatura, aveva la sua sede in palazzo Ciccotti, la sede del duumvirato Albini-Mignogna; dalle sue colonne sosteneva l’insurrezione con editoriali che, secondo le indicazioni governative, non recavano alcuna firma.

Intanto, un decreto del 27 agosto stabiliva che[10]:

«I capi, complici, e fautori di moti violenti e a mano armata per l’esercizio di pretesi diritti sulla proprietà, saranno puniti, i capi con la pena di morte, e i complici e fautori di un grado di meno; senza pregiudizio delle pene, a cui potessero incorrere per altri reati preveduti dalle leggi penali attualmente vigenti.»

La forma di governo assunta dalla Prodittatura univa alla sua provvisorietà una quasi insperabile efficacia. Albini voleva con questa formula arginare le possibili insurrezioni popolari che avrebbero sicuramente minato la stabilità del neonato esperimento amministrativo. Solidi collaboratori furono lo storico Giacomo Racioppi e il giurista Nicola Alianelli, sulle cui capacità si contava per la fondamentale coordinazione degli organi di governo. Se, comunque, il Governo lucano si adoperava al meglio per mantenere la provincia sotto controllo, sull'annosa questione della terra, che aveva animato il popolo a non opporsi all'insurrezione, assunse una posizione di immobilismo. Un decreto del 29 agosto stabiliva, infatti, che[11]:

«Ogni sboscamento o dissodamento in fondi di proprietà pubblica o privata che sia, non esclusi i demaniali del Comune, commesso con attruppamento, sarà punito col primo grado dei ferri per gli autori principali e pei complici.»

Furono approvati provvedimenti per l'istruzione e per le infrastruttureː infatti, dopo aver stabilito, il 31 agosto, la revoca dell'affidamento ai Gesuiti del collegio di Potenza, si stabilì che sarebbero state aggiunte al collegio le scuole agricole e tecniche[12] e ancora il Governo Provvisorio fu desideroso di decretare la costruzione di una ferrovia di collegamento dal Tirreno allo Ionio[13]:

«Sarà costruita a cura dello Stato, sia a spese del pubblico Tesoro, sia con concessione a compagnie d’imprenditori, una Ferrovia, che innestandosi a quella della provincia di Principato Citeriore, abbia termine in Taranto, attraversando i distretti di Potenza e Matera in Basilicata per la parte più centrale possibile.»

Il 2 settembre Giuseppe Garibaldi entrò in territorio basilicatese, a Rotonda. Il giorno seguente attraversò in barca la costa di Maratea, e presso Lagonegro, in località Fortino, raccolse i volontari lucani che lo seguirono fino alla Battaglia del Volturno. Garibaldi avrebbe scelto di affidare, il 6 settembre ad Auletta, il governo provvisorio a Giacinto Albini poiché questi era tra i pochi insorti liberali a non aver mai servito il governo borbonico[14]. Sta di fatto che, nelle testimonianze documentali pervenute, il generale elogiò più volte l'iniziativa lucanaː ad esempio, nel «Corriere Lucano» del 18 settembre, si riporta un aneddoto, in cui Garibaldi, ricevuto a Napoli il comandante della «Brigata Lucana» Ascanio Branca, si espresse nei confronti dei militi basilicatesi:

Manifesto del governo provvisorio a Garibaldi.

«Si, so il vostro patriottismo. Dite ai vostri lucani che li preferirò sempre. Credete a me, ho combattuto con uomini disciplinati, e con borghesi, e, se questi hanno avuto valore, sono stati più terribili. Io vi stimo come il primo corpo disciplinato e vi terrò sempre avanti a tutti. Salutatemi i vostri commilitoni.»

Il 10 settembre il Governo Prodittatoriale della Basilicata si sciolse e la provincia passò agli ordini di Garibaldi dittatore di Napoli. Risale, infatti, al 10 settembre l’ultimo atto del Governo Prodittatorialeː

«Italia e Vittorio Emanuele
Il Governatore generale della Basilicata
Sulla considerazione, che lo scopo per cui furono create le Giunte insurrezionali Municipali è ormai raggiunto, e che cessate le condizioni straordinarie, tutt’i pubblici poteri rientrar debbono nella sfera di azione loro attribuita dalle leggi ordinarie; dispone:
Le Giunte insurrezionali municipali create con ordinanza del 19 agosto restano abolite; e le facoltà concesse a’ commissarii delegati ad installarle sono ritirate.
Potenza, il dì 10 settembre 1860.»

L'insurrezione nella storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Spedizione dei Mille.

Il punto di vista marxista sul Risorgimento basilicatese tende a sottolineare alcuni aspetti dell'insurrezione della Basilicata, sminuendone il carattere popolare e rivoluzionario: in effetti, lo storico potentino Tommaso Pedio ritiene come tra le forze dirigenti degli insorti della Basilicata regnasse un clima di immobilismo sulla questione delle terre demaniali, che erano state la leva di pressione sulla popolazione lucana.

Il giornale ufficiale dell'insurrezione, il "Corriere Lucano", scriveva, infatti:

«I terreni demaniali, e comunali, quelli appartenenti alla corona, ed a talune mani morte di oziosi, ed infingardi, verranno legalmente divisi, e distribuiti al popolo, e ciascun proprietario del terreno ottenuto troverà nel concorso delle banche agrarie provinciali i mezzi per provvedere agl'istrumenti necessari al lavoro, e alle scorte di sementi, o di mano d'opera»

Pedio, su questa base, pone l'accento su come la stessa insurrezione fosse stata portata avanti proprio dalla classe sociale dei latifondisti, che nulla avevano a guadagnare dalla lottizzazione dei beni demaniali. In un documento dell'epoca, infatti, il prodittatore Giacinto Albini, a tale proposito scriveva:

«Per trovar modo di finire una volta l’annosa questione, converrebbe trovare un espediente che più allo stesso diritto appoggiasse alla equità e che fosse dettato non solo dalla giustizia, ma eletta politica di necessità. Se è giustizia ritorre le usurpazioni e secondo la legge spartire a’ nulla tenenti i beni demaniali, sarebbe di necessità politica non disgustarsi la classe de’ proprietari, che son pure la forza delle Nazioni, e che sono stati i sostegni veri e precipui del movimento che ha portato l’attuale ordine cose. Un espediente di equità, di politica prudenza e di facile esecuzione, il quale contenterebbe le due parti nemiche contendenti potrebbe essere questo: 1) Dividere e quotizzare a' nulla tenenti, col pagamento di un certo canone, i beni demaniali di cui sia il Comune presentemente in possesso di fatto; 2) Censire a' proprietari stessi riportati come usurpatori de' demani, que' fondi che il Comune vorrebbe pretendere come demaniali e per tal modo rispettare lo status quo; anzi legittimare questo possesso anomalo, con imporre il pagamento di un canone.»

Lo stesso Pedio ha poi fatto notare come la storiografia tradizionale tendesse, invece, ad enfatizzare i sostenitori dell'insurrezione, dipingendoli come strenui oppositori del caduto governo borbonico, anche se, in realtà, molti di essi avevano precedentemente servito. Secondo lo storico potentino, invece, essi avrebbero appoggiato il movimento liberale di Albini per mantenere, anche con il nuovo governo, lo status quo precedente[14].

Oggi, invece[17], l'insurrezione basilicatese viene riconsiderata nel contesto più generale degli anni 1848-1859, come significativa risultante di un’accurata pianificazione d’ambito nazionale e meridionale, attuata con l’obiettivo di imprimere un’accelerazione, sia pure in chiave moderata, al processo unitario, in modo tale da poterlo far percepire, proprio secondo gli indirizzi del Cavour, come «atto spontaneo» delle popolazioni meridionali, dunque non casualmente prima dello sbarco di Garibaldi in Calabria.

Eppure, a livello più generale, travolti dall'iniziativa politica di parte siciliana, incapaci di organizzare un moto di popolo a sostegno di Garibaldi, i liberali meridionali avrebbero visto franare il loro tradizionale predominio a livello locale; e proprio l’incapacità di mantenere sotto controllo tale situazione che riprese vigore i conflitti all'interno della provincia meridionale spinse a reclamare l’immediata uniformazione del Mezzogiorno al quadro politico-amministrativo del Piemonte.

Da qui una contraddizione che avrebbe pesato in modo determinante sugli sviluppi dell’Italia unita, perché la ricerca di un punto d’incontro ideologico tra gruppi dalla cultura politica differente avrebbe presto portato ad accentuare la riflessione sul primato dello Stato, col risultato di impedire la liberazione del dibattito politico dalle secche in cui lo aveva trascinato il fallimento del 1848.

L’insurrezione, dunque, va pienamente inserita nel suo contesto storico, in quanto risultante di un’accurata pianificazione di ambito nazionale e meridionale (specie del notabilato democratico e clientelare), ma di fatto realizzata anche dalla borghesia terriera con l’obiettivo di ottenere, certamente, posti di rilievo nel futuro Stato unitario e, da parte del popolo, di risolvere finalmente la questione demaniale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tommaso Pedio, La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870), Potenza, 1962, p. 109
  2. ^ Archivio di Stato di Potenza, Carte Albini, fasc. 1, “Governo Borbonico (1848-1857)”.
  3. ^ A. D'Andria, Tra le seconde file. Cultura e azione politica dei Commissari del Governo Prodittatoriale del 1860, in «Bollettino Storico della Basilicata», XXVII (2011), n. 27, pp. 44-45.
  4. ^ Per quanto segue, cfr. A. D'Andria, Dall'insurrezione del 1860 alla Prodittatura: cultura e azione politica, in La Basilicata per l’Unità d’Italia. Cultura e pratica politico-istituzionale (1848-1876), a cura di A. Lerra, Milano, Guerini e Associati, 2014, pp. 148 ss.
  5. ^ Brigantaggio treccani.it
  6. ^ a b c d e f g Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermini nel 1860, Napoli, 1867.
  7. ^ Archivio di Stato di Potenza, Governo Prodittatoriale Lucano, b. 4, fasc. 41, f. 3.
  8. ^ R. Riviello, Cronaca Potentina, Potenza, Garramone e Marchesiello, 1889, p. 213.
  9. ^ A. D'Andria, Dall'insurrezione..., cit., pp. 160-161.
  10. ^ Ord. X, art. 1.
  11. ^ Ord. XIV, art. 1.
  12. ^ Ord. XX, art. 1.
  13. ^ Ord. XXIII, art. 1.
  14. ^ a b Tommaso Pedio, La Basilicata Borbonica, Venosa, Osanna, 1986, passim.
  15. ^ Decio Albini, La Lucania e Garibaldi nella rivoluzione del 1860, Roma, Tip. delle Mantellate, 1912.
  16. ^ Lettera in Tommaso Pedio, Reazione alla politica piemontese ed origine del Brigantaggio in Basilicata, Potenza, Vito Riviello, 1965.
  17. ^ A. Lerra, Dall'alba della nuova Italia all'Unità. Per una "rilettura" degli snodi del Risorgimento in Basilicata, in «Bollettino Storico della Basilicata», XXVII (2011), n. 27, pp. 7 ss.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermini nel 1860, Napoli, Morelli, 1867.
  • Michele Lacava, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860 e delle cospirazioni che la precedettero, Napoli, Cav. A. Morano, 1895.
  • Tommaso Pedio, Dizionario dei patrioti lucani. Artefici e oppositori (1700-1870), Bari, Grafica Bigiemme, 1969-1990, 5 voll.
  • A. D'Andria, Tra le seconde file. Cultura e azione politica dei Commissari del Governo Prodittatoriale del 1860, in «Bollettino Storico della Basilicata», XXVII (2011), n. 27.
  • A. D'Andria, Dall'insurrezione del 1860 alla Prodittatura: cultura e azione politica, in La Basilicata per l’Unità d’Italia. Cultura e pratica politico-istituzionale (1848-1876), a cura di A. Lerra, Milano, Guerini e Associati, 2014.
  • A. D'Andria-A. Cecere, Quelli che credettero. Memoria e mito del 1860 lucano tra Ottocento e Novecento, Moliterno (PZ), Valentina Porfidio Editore, 2023. ISBN 9788898579686

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]