Guerra Iran-Iraq

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Guerra Iran-Iraq
Da sinistra a destra e dall'alto in basso: soldato iraniano in una trincea che indossa una maschera antigas per proteggersi dagli attacchi chimici iracheni; una piattaforma petrolifera iraniana viene incendiata dopo essere stata bombardata da quattro cacciatorpediniere della marina americana durante l'operazione Nimble Archer; soldati iraniani durante la guerra; il presidente iracheno Saddam Hussein stringe la mano a Donald Rumsfeld, l'allora inviato speciale del presidente Ronald Reagan a Baghdad il 20 dicembre 1983.
Data22 settembre 1980 – 20 agosto 1988
(7 anni e 333 giorni)
LuogoGolfo Persico, confine irano-iracheno
Casus belliAttacco a sorpresa da parte dell'Iraq
EsitoCessate il fuoco proposto dall'ONU
Modifiche territorialinessuna
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
305 000 soldati
500 000 miliziani Pasdaran e Basiji
1 000 carri armati
1 000 mezzi corazzati
3 000 pezzi d'artiglieria
450 velivoli
750 elicotteri
190 000 soldati
4 500 carri armati
4 000 mezzi corazzati
7 330 pezzi d'artiglieria
500+ velivoli
100+ elicotteri
Perdite
450 000/957 000 (stime)450 000/650 000 (stime)
Voci di guerre presenti su Wikipedia

La guerra Iran-Iraq, conosciuta anche come la guerra imposta (in persiano جنگ تحمیلی‎, Jang-e-tahmīlī) in Iran e come la Qādisiyya di Ṣaddām (قادسيّة صدّام, Qādisiyyat Ṣaddām)[7] in Iraq, fu una guerra combattuta tra i due Paesi dal settembre 1980 all'agosto 1988. Ai tempi del conflitto era chiamata dagli storiografi Guerra del Golfo (Persico), notazione sopravvissuta fino all'invasione irachena del Kuwait (2 agosto 1990).

Il casus belli fu l'invasione irachena dell'Iran, avvenuta il 22 settembre 1980 dopo una lunga storia di dispute sul confine, attriti tra i regimi in causa (dittatoriale-laico quello iracheno, teocratico-dittatoriale quello iraniano, che si trasformò in repubblica islamica illiberale, ma multipartitica alla fine della guerra). L'Iran sostenne di esser stato vittima dell'attacco iracheno: infatti gli iracheni attaccarono per primi e di sorpresa, senza una formale dichiarazione di guerra.

All'inizio del settembre 1980, il dittatore iracheno Saddam Hussein sconfessò il trattato che regolava la disputa confinaria siglato nel 1975, dal suo predecessore Aḥmad ʿAlī Ḥasan al-Bakr con lo scià Moḥammad Reża Pahlavī, allora regnante in Iran. Curiosamente, entrambi i contendenti non erano soddisfatti degli accordi confinari siglati dai rispettivi predecessori: l'Iraq si rifaceva al vecchio confine ottomano in vigore fino al 1920, e l'Iran avrebbe desiderato annettersi tutto l'Iraq meridionale, a predominanza sciita, la stessa confessione religiosa maggioritaria all'interno della Repubblica Islamica.[8] Con lo scoppio della guerra, l'Iraq ristabilì le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti nel 1983, relazioni interrotte nel 1967 a seguito della Guerra dei Sei Giorni con Israele. L'Unione Sovietica, invece, aiutò direttamente con forniture militari l'Iraq e indirettamente l'Iran tramite la Siria. Dopo i primi, brucianti successi da parte dell'esercito iracheno, la guerra si trasformò in un'estenuante guerra di posizione e in un reciproco bagno di sangue.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite richiamò all'ordine più volte entrambi i governi, ma il cessate il fuoco non fu decretato prima del 20 agosto 1988, e lo scambio dei prigionieri di guerra non fu possibile fino al 2003. Il conflitto sconvolse irrimediabilmente gli equilibri della regione, e i suoi effetti si fecero sentire pesantemente nell'immediato dopoguerra: due anni dopo l'armistizio, infatti, l'Iraq invase il Kuwait nel tentativo di ottenere un riscatto economico e politico dallo stallo che ne era derivato.

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Alcuni tra i più importanti comandanti militari iracheni durante la guerra: da destra ʿAdnān Khayr Allāh, ʿAbd al-Jabbār Khalīl Shanshāl, Sulṭān Aḥmad Hāshim al-Tāʾī e Māher ʿAbd al-Rashīd

La guerra del 1980-88 per l'egemonia nella regione del Golfo Persico affonda le proprie radici nella millenaria rivalità tra le regioni della Mesopotamia e della Persia. Prima della nascita dell'Impero ottomano, l'odierno Iraq era parte dell'impero persiano sotto una quantità di dinastie, e vi rimase fino a che il sultano Murad IV strappò la regione al controllo dei Safavidi nel 1638. Le dispute sui confini proseguirono fino al termine della prima guerra mondiale nel 1918, anno in cui l'Impero Ottomano si disciolse e la regione entrò nella sfera britannica, che ereditò, oltre ai territori, tutte le tensioni tra Turchia e Persia.

Nel 1979 la rivoluzione iraniana sovvertì il potere dello Scià e invertì il ruolo della classe dirigente; l'Iraq, che aveva negoziato con l'imperatore persiano la fine del sostegno di Teheran alle attività indipendentiste dei curdi iracheni, e una gestione moderata della questione sciita (che in Iraq generava aspre dissidenze tra la maggioranza seguace dello sciismo e la minoranza dominante sunnita) divenne oggetto di una quantità di provocazioni di frontiera. Alcuni colloqui con lo Scià portarono allo studio di un piano iracheno per invadere fulmineamente il Paese vicino approfittando della semi-smobilitazione delle forze armate, e strappare la ricca regione del Khūzestān e la città di Shush.

La propaganda del partito Ba'th (in arabo: "Rinascita", "Risorgimento") cominciò dunque a lavorare attraverso i mass media iracheni, mostrando immagini di un Khuzestan presentato come la nuova provincia irredenta, e annunciando la sostituzione del nome del capoluogo in Nāṣiriyya, secondo la filosofia per la quale tutte le città iraniane passate sotto il controllo iracheno avrebbero preso nomi arabi. Lo stesso Golfo Persico, veniva chiamato "Golfo Arabico" e così il Mar Caspio veniva chiamato "Lago Arabico".

Un altro fattore che contribuì alle ostilità tra le due nazioni fu il pieno controllo dei corsi d'acqua dello Sha al-ʿArab all'estremo nord del Golfo Persico, che costituivano un fondamentale canale di trasporto del petrolio per entrambe le economie. Nel 1975, il Segretario di Stato Henry Kissinger ammonì di mettere un freno agli attacchi verbali all'Iraq da parte di Mohammad Rezā Pahlavī, Scià iraniano, sulla disputa del corso d'acqua conteso. Poco tempo dopo Iran e Iraq siglarono gli Accordi di Algeri, in cui l'Iraq accettò come linea di confine dello Shaṭṭ al-ʿArab la linea di massima portata del corso d'acqua (thalweg), in cambio di una normalizzazione dei rapporti diplomatici.

L'invasione irachena[modifica | modifica wikitesto]

22 settembre 1980 - Teheran

La guerra incominciò con una fulminea invasione irachena via terra nella regione meridionale (regione iraniana del Khuzestan) e nella settentrionale (Kurdistan iraniano). L'attacco a sorpresa non fu preceduto da una formale dichiarazione di guerra, appunto per conseguire il massimo vantaggio possibile. A ciò si univa il fatto che l'esercito di professione che era il fiore all'occhiello del defunto scià era stato congedato e tutto lo stato maggiore languiva in prigione o era emigrato all'estero. Lo scià era morto in esilio qualche mese prima[15].

In quell'occasione, la televisione iraniana parlò della scomparsa del "vampiro" e organizzò preghiere pubbliche di ringraziamento. All'opposto, in una riunione del partito unico Baʿth, il dittatore iracheno disse[16] che "...Con la scomparsa del nostro rivale (lo scià), e con l'esercito imperiale sostituito da imberbi ragazzini fanatici, sarà per noi un gioco da ragazzi far fuori la vecchia mummia" (riferendosi a Khomeyni). Dunque il calcolo iracheno si basava su questi fattori:

  • attacco fulmineo e sfruttamento dell'effetto sorpresa, senza preventiva dichiarazione formale di guerra.
  • Aiuto in termini di finanziamenti e di forniture belliche da parte dei sovrani arabi impauriti del fatto che il khomeinismo potesse dilagare anche nei loro regni.
  • Analoghi aiuti da parte delle superpotenze che avevano anch'esse rapporti tesi con l'Iran[17].
  • Aiuto da parte degli oppositori interni del regime iraniano[18].
  • Embargo sulle forniture militari e congelamento dei beni iraniani all'estero scaturiti con la Crisi degli ostaggi americani.
  • Epurazione dello stato maggiore iraniano; purghe nei quadri degli alti vertici; abolizione della carriera militare.
  • Inferiorità iraniana in termini di aviazione, artiglieria pesante e leggera, mezzi corazzati, radaristica.
  • Attacco aereo preliminare, stile Blitzkrieg, con eliminazione al suolo dell'aviazione avversaria, come preliminare per il successivo aiuto tattico alla fanteria corazzata avanzante.

Infatti, i primi due mesi furono un continuo di successi per gli iracheni: subito furono catturate le città di Abadan, Khorramshahr, Dezful, Ahvaz, Susangerd. Il piano strategico iracheno prevedeva l'attestazione sul Fiume Ulai (Rud-e Karun) a meridione prima di penetrare in profondità nel cuore della Persia, e l'avanzata fino a Teheran a settentrione. Ma molti errori strategici e tattici impedirono la riuscita dell'avanzata. I fattori principali che fecero fallire l'impresa furono:

  • la repentina mobilitazione iraniana; con il compattamento dell'opinione pubblica attorno al governo, e l'emarginazione dei partiti di sinistra che stavano per incominciare a lottare contro gli islamisti; il partito comunista iraniano, una delle formazioni più forti, fece fronte unito con i suoi avversari ("i religiosi") per spirito patriottico, anche quando molti dei suoi dirigenti venivano imprigionati e fucilati.
  • L'appoggio iraniano ai curdi iracheni che costituivano, assieme agli sciiti iracheni i principali oppositori interni del regime ba'thista.
  • Il fanatismo delle "ondate umane" iraniane[19].
  • Le forniture militari[20] ufficiali e clandestine[21] all'Iran.
  • La ricostituzione del vecchio stato maggiore dell'esercito persiano con la liberazione dei generali da parte del regime; gli ufficiali iraniani e l'esercito in generale erano ancora in parte fedeli allo Scià, ma più di ogni altra cosa erano nazionalisti e patrioti, che non avrebbero potuto che combattere contro l'invasore.
  • L'esito positivo della crisi degli ostaggi americani.
  • I costi eccessivi di una guerra di posizione che i due paesi non furono in grado di sostenere a lungo e che distrussero l'economia irachena[22]. Tali debiti costituirono la causa della successiva catastrofica impresa del regime ba'thista, l'invasione del Kuwait.
  • L'arroccamento dei mezzi corazzati in disposizione di batterie fisse di cannoni, che impedì lo svolgimento del loro compito principale, ovvero la mobilità atta a sfondare il fronte avversario.
  • La mancata eliminazione dell'intero ammontare di aeromobili avversari, tanto che, nei primi mesi di guerra, l'iniziativa aerea era solo iraniana[23].
  • La scarsa preparazione delle forze irachene, un esercito di coscritti che adottava gli schemi antiquati della strategia sovietica.[24]

Il sostegno internazionale all'Iraq[modifica | modifica wikitesto]

Lo sviluppo dei rapporti con l'Unione Sovietica, con la quale l'Iraq era legata fin dal 1972 da un "trattato di amicizia e cooperazione" e della cui "sfera di influenza" faceva parte, dette un importante aiuto all'Iraq, così come il supporto da parte dei paesi del patto di Varsavia e l'acquisto di armi dall'Egitto, dalla Francia[25], dall'Italia[26], dalla Germania, dalla Gran Bretagna.

L'Iraq ricevette grossi finanziamenti economici da parte dei paesi arabi del Medio Oriente, in particolar modo dall'Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Giordania e dal Kuwait.

Il Sudan invió delle truppe a sostegno dell'esercito iracheno.

Ottenne inoltre dagli USA, dal 1984 fino alla fine della guerra, aiuti consistenti fondamentalmente in consiglieri militari, supporto di intelligence e in qualche misura in materiali "a doppio uso" (militare e civile) da parte di aziende USA che riuscirono a evadere l'embargo delle armi decretato dal Congresso, e mai rimosso. Con gli USA Baghdad riallacciò regolari relazioni diplomatiche nel novembre del 1984, dopo una lunga interruzione risalente al 1967, epoca della guerra dei sei giorni. Tuttavia già da uno-due anni prima l'Amministrazione USA di Ronald Reagan, contravvenendo in segreto agli "emendamenti Boland" che lo vietavano, aveva incominciato a dare qualche supporto di intelligence al regime iracheno.

L'Iraq di Saddam Hussein ottenne infine da varie nazioni, principalmente dalla Germania[27], elementi utili alla fabbricazione di armi chimiche, che vennero ampiamente usate sia per la repressione dei curdi, sia contro le truppe e i civili iraniani.

1981: Osirak e il ruolo di Israele[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Babilonia.

È ancora da chiarire con precisione quale sia stato nell'intera vicenda il ruolo di Israele che, all'epoca dello Scià, aveva avuto in via ufficiosa rapporti sostanzialmente amichevoli con l'Iran, forse nel quadro di possibili azioni geo-strategiche di sorveglianza dell'area vicino-orientale e del Golfo Persico. Nel corso del conflitto Iraq-Iran, peraltro, l'aviazione dello Stato ebraico attaccò il 7 giugno 1981 - con una manovra di elevato significato tecnologico e strategico - l'impianto nucleare iracheno di Osirak, costruito e fornito a Baghdad dai francesi nel 1972.

L'impianto venne bombardato in un'unica ripresa dall'aviazione israeliana che, nell'occasione, aveva fatto dipingere gli aerei con colore mimetico intonato al paesaggio desertico ed esponeva i contrassegni giordani[28]. Attorno a questo impianto si erano sviluppate pubblicamente polemiche e preoccupazioni, provocate dalla volontà proclamata dallo stesso Saddam Hussein di dotarsi di armamenti nucleari. In quell'occasione gli Stati Uniti condannarono il raid israeliano.

Secondo il giornalista Nicholas Kristof, se non fosse stato per l'attacco, "l'Iraq avrebbe ottenuto armi nucleari negli anni ottanta, avrebbe potuto avere adesso una provincia chiamata Kuwait e un pezzo dell'Iran."[29]

Il sostegno israeliano all'Iran[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Intervento israeliano nella Guerra Iran-Iraq.

Israele[30] fornì all'Iran armamenti pari a un valore di 75 milioni di dollari da depositi delle industrie militari israeliane e delle forze armate israeliane, nell'Operazione Seashell del 1981.[31] Il materiale includeva 150 cannoni anticarro M-40 con 24 000 proiettili per ogni cannone, pezzi di scorta per carri armati e aerei, proiettili da 106 mm, 103 mm e 175 mm e missili TOW. Questo materiale fu trasportato inizialmente attraverso mezzi aerei della compagnia argentina Transporte Aéreo Rioplatense e in seguito attraverso mezzi navali.

Il trafficante di armi israeliano Yaakov Nimrodi stipulò un accordo con il Ministero della Difesa dell'Iran per vendere armi per un valore di 135842000 $ inclusi missili MGM-52 Lance, M712 Copperhead e missili Hawk.[32][33] Nel marzo 1982, il The New York Times citò documenti che indicavano che Israele aveva fornito metà o più di tutte le armi destinate a Tehran nei precedenti 18 mesi, ammontando ad almeno 100 milioni di dollari in vendite. Il settimanale italiano Panorama riportò che Israele aveva venduto al regime di Khomeini 45 000 mitragliatrici Uzi, missili anticarro, obici e pezzi di ricambio per aerei militari. "Una larga parte del bottino sottratto al OLP durante la Guerra in Libano del 1982 finì a Tehran," affermò il settimanale.[32] Anche l'investitore e finanziere israeliano Marc Rich fu strumentale nella vendita di armi all'Iran. Dopo la rivoluzione, il governo iraniano incontrò notevoli difficoltà a vendere petrolio a mercati internazionali in quanto molte compagnie europee lasciarono l'Iran. Marc Rich inviò i dirigenti della Glencore in Iran per una settimana dopo la rivoluzione e divenne il più importante fornitore di petrolio iraniano per 15 anni. Nella sua autobiografia, The King of Oil, Rich affermò che aveva venduto armi all'Iran in cambio della vendita di petrolio iraniano a Israele attraverso una conduttura segreta. Egli affermò che entrambi i governi erano a conoscenza di questa transazione. Per queste azioni, e per aver violato le sanzioni all'Iran, Rich fu inserito nella lista dei ricercati dell'FBI per molti anni fino a quando Bill Clinton gli concesse la grazia nell'ultimo giorno del suo mandato. Dirigenti del Mossad come Avner Azular e Shabbtai Shevit scrissero personalmente entrambi a Clinton per fargli concedere la grazia.[34][35][36][37]

John Bulloch e Harvey Morris osservano che gli israeliani progettarono e produssero gli enormi blocchi di polistirene che le forze d'assalto iraniane usavano per realizzare vie di comunicazione improvvisate attraverso le difese irachene a Bassora; Israele permise agli aerei iraniani di volare nonostante una mancanza di pezzi di ricambio; e istruttori israeliani insegnarono a comandanti iraniani come gestire le truppe.

Nonostante tutti i discorsi dei leader iraniani e le denunce contro Israele alle preghiere del venerdì, erano presenti non meno di circa cento consiglieri e tecnici israeliani in Iran in ogni momento durante la guerra, ospitati in un campo isolato e attentamente sorvegliato giusto a nord di Tehran, dove rimasero perfino dopo il cessate il fuoco.[38]

Nell'agosto 1982 Aerospace Daily osservò che il supporto di Israele fu "cruciale" per consentire all'aviazione militare dell'Iran di volare contro l'Iraq. Le vendite israeliane includevano anche pezzi di ricambio per i caccia di fabbricazione americana F-4 Phantom. Anche Newsweek riportò che dopo che un disertore iraniano atterrò il suo F-4 Phantom in Arabia Saudita nel 1984, esperti dell'intelligence determinarono che molte delle sue parti erano state in origine vendute da Israele.[32]

1982: sostanziale equilibrio[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1982 l'esercito iraniano riconquistò la città di Khorramshahr e questo indusse l'Iraq[39] a proporre la pace all'Iran, mentre l'Arabia Saudita si disse disposta a risarcire il Paese per i disastri del conflitto. Il governo iraniano però si oppose, rifiutando una pace che non restaurava la situazione anteriore allo scoppio delle ostilità e la guerra riprese più feroce di prima, tanto che per le strade della capitale comparvero slogan bellici, come ad esempio quello che affermava:

Morire da martire, significa iniettare sangue nelle vene della società.

Nella primavera del 1982 la situazione militare sul fronte orientale iracheno (occidentale iraniano) si stabilizzò al termine di due poderose offensive e controffensive nella regione di Dezful e di Khorramshahr. La situazione di sostanziale equilibrio rientrava nei desiderata di tutte le cancellerie occidentali, che vedevano da una parte con grande preoccupazione l'esperienza iraniana e ne temevano il contagio in tutto il Vicino Oriente, e dall'altra temevano l'eccessivo rafforzamento nell'area dell'Iraq del regime ba'thista di Saddam Hussein.

1983: Iraq in difficoltà[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la primavera del 1982 l'Iraq cominciò seriamente a considerare l'opportunità di rientrare nei suoi precedenti confini nazionali, sgomberando il territorio iraniano occupato nel corso della prima veemente offensiva del 1980. Nel suo tentativo di mediazione incontrò però un netto rifiuto da parte del regime iraniano, che era riuscito a risvegliare nel paese un sentimento patriottico e a sopire in tal modo non pochi contrasti interni.

Nell'ottobre 1983 l'Iran riusciva a passare alla controffensiva generale, cogliendo successi che sarebbero sembrati impossibili fino ad alcuni mesi prima, tanto da penetrare nello stesso territorio nazionale iracheno. La reazione irachena fu quella di tentare di strangolare economicamente l'Iran impedendo l'ingresso e l'uscita delle navi petroliere dirette ai terminali petroliferi iraniani, facendo venir meno il flusso di valuta pregiata indispensabile a procurarsi armi sul mercato illegale internazionale.

Nel febbraio 1984 l'Iran attaccò le isole Majnūn, al largo dello Shaṭṭ al-ʿArab, il braccio congiunto dei fiumi Tigri ed Eufrate, poco prima dello sbocco in mare in corrispondenza pressappoco di Basra.

L'Iraq respingeva l'offensiva facendo largo uso di armi chimiche, che saranno in seguito impiegate anche a Halabja per sedare l'insurrezione dei curdi iracheni.

Nonostante l'uso di armi chimiche sia proibito, l'Iraq durante il corso della guerra non ricevette mai alcun tipo di sanzione.[40]

1985: iniziative di pace ONU[modifica | modifica wikitesto]

Una missione di pacificazione del Segretario generale delle Nazioni Unite, Pérez de Cuéllar, fallì nell'aprile 1985 a causa dell'intransigenza di Teheran che esigeva la condanna dell'Iraq come aggressore, il pagamento dei danni di guerra e l'allontanamento di Saddam Hussein.

Subito dopo la notizia irachena della riconquista delle isole Majnūn nel 1986, il 9 febbraio di quell'anno l'Iran lanciava l'offensiva Val Fajr-8 che mandava in rotta le difese irachene le quali perdevano il controllo del porto di Fāw, risultato consolidato dalla successiva offensiva iraniana denominata Val Fajr-9. Le successive operazioni iraniane, definite Kerbelāʾ (4, 5 e 6), portarono l'Iran nella zona di Basra, impegnando le forze irachene nell'area di Qasr-e Shirin.

1986: lo scandalo "Irangate" o "Iran-Contras"[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Irangate.

Nel gennaio 1986 esponenti dell'amministrazione Reagan assicuravano segretamente la vendita a Teheran di importanti forniture militari (cosiddetto scandalo "Irangate" o "Iran-Contras") il cui massimo artefice fu il tenente colonnello Oliver North, membro dello staff del Consiglio per la sicurezza nazionale.

L'operazione, che usava fondi neri creati con la vendita di armi all'Iran (in cambio del rilascio di sette ostaggi statunitensi detenuti in Libano dal gruppo paramilitare filo-iraniano Hezbollah) per finanziare i guerriglieri anti-sandinisti Contras nella guerra civile nicaraguense, violava apertamente una serie di delibere del Congresso statunitense che vietavano all'amministrazione sia di intervenire nella guerra civile nicaraguense sia di fornire armi ai contendenti del conflitto Iran-Iraq.

1987-1988: il ruolo dell'ONU. La Risoluzione n. 598 e la fine del conflitto[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1987 dopo anni di guerra in cui il conflitto era in situazione di stallo, il Golfo Persico salì alla ribalta dell'opinione pubblica mondiale quando Iran e Iraq estesero le ostilità al traffico marittimo commerciale coinvolgendo anche navi appartenenti a nazioni neutrali. Le nazioni occidentali inviarono nella zona alcune unità navali per garantire la protezione del traffico commerciale (operazione Earnest Will). Tra le navi coinvolte negli attacchi la motonave italiana Jolly Rubino, attaccata da parte dei Guardiani della rivoluzione iraniani. L'attacco spinse la Marina Militare Italiana a inviare un contingente nell'area, formato da fregate, unità logistiche e cacciamine impegnate in operazioni di scorta al naviglio mercantile e di bonifica da mine navali. Al termine della missione, denominata Golfo 1, la bandiera della Marina Militare venne decorata con la croce dell'Ordine militare d'Italia, dimostrando al contempo la bontà dell'opera di potenziamento[41].

Il 20 luglio 1987 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU chiedeva un cessate il fuoco ma la pretesa iraniana che si condannasse l'aggressione irachena fece fallire il possibile avvio di una tregua armata. Nell'agosto del 1988, a 8 anni dallo scoppio delle ostilità e dopo la morte di oltre 1 milione di uomini e donne, la risoluzione n. 598 dell'ONU con la sua proposta di cessazione delle ostilità, fu inaspettatamente accettata dai due paesi ormai ridotti in realtà allo stremo e il 9 agosto 1988 il Consiglio di Sicurezza poté votare la creazione dell'UNIIMOG[42], incaricato di sovraintendere al rispetto della tregua.

Il cessate il fuoco non garantì il ritorno all'Iran dei territori occupati da parte dell'Iraq: questo avvenne solamente nel dicembre 1990, alla vigilia della guerra per la liberazione del Kuwait, poiché il dittatore iracheno desiderava garantirsi di non avere un secondo fronte aperto. L'Ayatollah Ruhollah Khomeyni (1902 - 1989), massima carica spirituale del paese, da sempre contrario alla cessazione delle ostilità[43] fu indotto - come affermò pubblicamente - "a bere l'amaro calice della tregua" su pressione del delfino e Presidente del Consiglio, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani.

Rafsanjani era, infatti, un "pragmatico" ed era conscio che lo stato era al collasso militare[44], civile[45], internazionale[46]. Nel frattempo, la guerra, oltre a causare centinaia di migliaia di vittime, militari e civili, fornì il pretesto all'ala radicale della teocrazia iraniana per epurare l'ala moderata: l'ayatollah Mohammad Beheshti, capo degli intransigenti, divulga finti documenti su un ipotetico complotto contro la vita di Khomeini e per il rovesciamento della Repubblica Islamica.

Abolhassan Banisadr fu dimissionato dalle cariche di Presidente della Repubblica e capo di Stato Maggiore dell'Esercito[47] e dovette riparare in esilio a Parigi nel luglio 1982, mediante un rocambolesco dirottamento aereo, temendo per la propria vita. Meno fortunato fu l'altro delfino di Khomeini caduto in disgrazia, Sadegh Ghotbzadeh che, assieme a Bani Sadr, fu accanto a Khomeini al tempo del suo esilio: destituito dalla carica di Ministro degli Esteri e delle Telecomunicazioni, fu arrestato nell'aprile 1982 e costretto a un'umiliante autocritica in televisione[48]. Il tribunale rivoluzionario, presieduto dall'ayatollah Sadegh Khalkhali (1927 - 2003) emise il verdetto di condanna a morte. All'alba del 15 settembre 1982 passa nelle mani del boia[49]. Bani Sadr, anni dopo, pubblicò un pamphlet dall'eloquente titolo: "Padre[50], ecco la verità!", in cui rivolse un'attenta e ponderata critica alle degenarazioni della politica religiosa, per le quali "la Rivoluzione aveva divorato i suoi figli", evidente riferimento alla propria condizione e a quella del collega giustiziato.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Iran and Syria Archiviato il 14 ottobre 2015 in Internet Archive.
  2. ^ Metz, Helen Chapin, ed. (1988), "Arms from France", Iraq: a Country Study, Library of Congress
  3. ^ Fanning the Flames: Guns, Greed & Geopolitics in the Gulf War.
  4. ^ Metz, Helen Chapin, ed. (1988), "The Soviet Union", Iraq: a Country Study, Library of Congress Country Studies
  5. ^ Metz, Helen Chapin, ed. (1988), "Arms from The Soviet Union", Iraq: a Country Study, Library of Congress
  6. ^ Alex Vatanka, The Odd Couple, in The Majalla, Saudi Research and Publishing Company, 22 marzo 2012. URL consultato il 7 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 29 novembre 2014).
  7. ^ Il riferimento è alla vittoria degli Arabi musulmani sui Persiani sasanidi nel 636 d.C. (anno 15 dell'Egira).
  8. ^ Si vedano le varie annate della rivista scientifica Oriente Moderno e la sua puntuale cronologia degli avvenimenti dell'Iraq e dell'Iran.
  9. ^ https://csis-prod.s3.amazonaws.com (PDF), su csis-prod.s3.amazonaws.com. URL consultato il 17 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 30 maggio 2016).
  10. ^ Farrokh, Kaveh. Iran at War: 1500–1988. Oxford: Osprey Publishing. ISBN 9781780962214.
  11. ^ a b Pollack, Kenneth M. (2004). "Iraq". Arabs at War: Military Effectiveness, 1948–1991. Lincoln: University of Nebraska Press. ISBN 9780803287839.
  12. ^ (EN) VIII Phase Five: New Iranian Efforts at "Final Offensives",1986-1987 (PDF). URL consultato il 17 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 30 maggio 2016).
  13. ^ https://web.archive.org/web
  14. ^ Patrick Tyler, Officers Say US Aided Iraq in war despite use of gas, in The News York Times. URL consultato il 9 febbraio 2017 (archiviato il 20 gennaio 2018).
  15. ^ Il 28 luglio 1980 al Cairo, in Egitto per un tumore al fegato
  16. ^ Stando alla testimonianza del suo ministro degli Esteri.
  17. ^ Il dittatore iracheno aveva pubblicamente affermato, nel corso, di un'intervista rilasciata a un quotidiano del Qatar che avrebbe liberato gli ostaggi americani che il regime di Teheran aveva catturato il 4 novembre 1979 con l'occupazione dell'ambasciata americana in Iran e che avrebbe stroncato definitivamente la sovversiva propaganda iraniana rivolta alle popolazioni musulmane delle repubbliche centro-asiatiche sovietiche.
  18. ^ I Curdi iraniani; il Tudeh - il Partito comunista Iraniano, bollato dal regime con l'epiteto di "Partito degli ipocriti" guidato da Massoud Rajavi - e il suo braccio armato, i "Mujāhidin del Popolo", o "Mojahedin-e Khalq"; i militari fedeli al vecchio regime; i fedelissimi del partito monarchico "Bandiera Nazionale" facente capo al figlio del defunto scià; la borghesia e i commercianti.
  19. ^ Furono pubblicate eloquenti fotografie di ragazzini e adolescenti iraniani morti in battaglia recanti al collo "le chiavi del Paradiso", contro le quali gli iracheni dovettero ricorrere addirittura ai gas nervini.
  20. ^ Principalmente cinesi.
  21. ^ Principalmente siriane e israeliane. In seguito giunsero anche forniture statunitensi che furono la causa del cosiddetto Irangate.
  22. ^ Prima della guerra, in Iraq erano gratuiti scuole, ospedali, benzina, gas ed energia elettrica.
  23. ^ Esplicita la dichiarazione dell'allora presidente della repubblica iraniana Abolhassan Banisadr alla televisione: "L'Iraq attacca? E noi rispondiamo bombardando Baghdad".
  24. ^ La strategia sovietica era un'evoluzione di facciata del Blitzkrieg nazista e prevedeva ranghi compatti e colonne motorizzate aiutate da attacchi aerei preventivi. A ciò si contrapponeva la teoria della "Difesa elastica" statunitense che era stata importata dallo stato maggiore dell'esercito imperiale iraniano e che ora entrava in azione corredata da attacchi missilistici sul campo di battaglia e sugli obiettivi strategici delle retrovie (e anche sulle città e sulle popolazioni civili).
  25. ^ Caccia Super-Etendard e missili aria-terra Exocet nel 1983
  26. ^ Navi militari
  27. ^ (EN) Germany was 'key supplier' of Saddam supplier, su the Guardian, 18 dicembre 2002. URL consultato il 1º luglio 2022.
  28. ^ L'attacco proveniva da un sorvolo a bassa quota della Giordania, e molti analisti sospettano che quest'ultima fosse connivente con lo Stato Ebraico.
  29. ^ Nicholas Kristof, ‘‘The Osirak Option,’’ New York Times, Nov. 15, 2002, p. A31.
  30. ^ Irangate: The Israel Connection excerpted from the book The Iran Contra Connection Secret Teams and Covert Operations in the Reagan Era, su thirdworldtraveler.com. URL consultato il 17 marzo 2020.
  31. ^ Ronen Bergman, The Secret War with Iran, Free Press, 2008, p.40-48
  32. ^ a b c Scott, Peter Dale, The Iran-Contra Connection: Secret Teams and Covert Operations in Reagan Era, 1987, South End Press, p. 169-174
  33. ^ Jane Hunter, November 1986, Washington Report on Middle East Affairs, Israeli Arms Sales to Iran
  34. ^ https://www.nytimes.com/2001/04/11/us/plotting-a-pardon-rich-cashed-in-a-world-of-chits-to-win-pardon.html?pagewanted=all
  35. ^ https://www.nytimes.com/2001/02/23/us/clinton-pardons-democrats-this-time-clintons-find-their-support-buckling-weight.html
  36. ^ http://articles.latimes.com/2001/feb/21/news/mn-28265
  37. ^ https://www.swissinfo.ch/eng/swiss_news/King_of_oil_discloses_his_secret_lives.html?cid=7657620
  38. ^ Bulloch, John, The Gulf War : Its Origins, History and Consequences by John Bulloch and Harvey Morris, London : Methuen London, 1989, p.17
  39. ^ Che cominciava a perdere l'originario vantaggio fornitogli dalla rapidità del suo attacco di sorpresa.
  40. ^ (EN) Thousands die in Halabja gas attack, BBC News, 16 marzo 1988.
  41. ^ La situazione nel Mediterraneo a metà degli anni '80, su marina.difesa.it. URL consultato il 16-11-2007.
  42. ^ United Nations Iran-Iraq Military Observer Group
  43. ^ Anche per motivi personali, essendo stato cacciato dall'Iraq, dove si trovava in esilio, dopo la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi, nel 1975.
  44. ^ Gli iracheni erano stati riforniti d'armi da parte di Stati Uniti e Unione Sovietica e nel maggio 1988 avevano ricacciato oltre lo Shaṭṭ al-ʿArab l'esercito khomeinista, mentre gli Stati Uniti garantivano la navigabilità del Golfo Persico con una potente flotta da guerra che implacabilmente affondava i barchini dei Pasdaran e dei Basiji, sminando le acque di quel tratto di mare.
  45. ^ Proteste per il carovita e per i razionamenti
  46. ^ Avversione del mondo arabo, dei paesi occidentali e asiatici, eccezion fatta per Siria, Libano, Cina.
  47. ^ 21 giugno 1981, sostituito da Khomeini in persona come capo di stato maggiore e da Mohammad Ali Rajai come Presidente della repubblica
  48. ^ «Mi vergogno davanti alla nazione. Liberatemi o giustiziatemi», disse.
  49. ^ Alcune fonti parlano d'impiccagione, altre - più attendibili - di fucilazione.
  50. ^ Rivolto a Khomeini

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