Emilio De Bono

Emilio De Bono
Il generale Emilio De Bono fotografato nel 1937 con l'uniforme da Maresciallo d'Italia

Ministro delle colonie
Durata mandato12 settembre 1929 –
17 gennaio 1935
MonarcaVittorio Emanuele III d'Italia
PredecessoreBenito Mussolini
SuccessoreBenito Mussolini

Sottosegretario di Stato al Ministero delle colonie
Durata mandato18 dicembre 1928 –
12 settembre 1929
MonarcaVittorio Emanuele III di Savoia
PredecessorePietro Bolzon
SuccessoreAlessandro Lessona

Commissario dell'Africa Orientale Italiana
Durata mandato15 gennaio 1935 –
27 novembre 1935
Predecessorecarica istituita
SuccessorePietro Badoglio

Governatore della Tripolitania
Durata mandato3 luglio 1925 –
24 gennaio 1929
PredecessoreGiuseppe Volpi
SuccessorePietro Badoglio

Governatore dell'Eritrea
Durata mandato18 gennaio 1935 –
22 novembre 1935
PredecessoreOttone Gabelli
SuccessorePietro Badoglio

Comandante generale della MVSN
Durata mandato1º febbraio 1923 –
31 ottobre 1924
Predecessorecarica istituita
SuccessoreItalo Balbo

Capo della polizia
Durata mandato11 novembre 1922 –
16 giugno 1924
PredecessoreRaffaele Gasbarri
SuccessoreFrancesco Crispo Moncada

Senatore del Regno d'Italia
LegislaturaXXVI
Incarichi parlamentari
  • Membro della Commissione per l'esame del disegno di legge "Istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni"
  • Membro della Commissione degli affari dell'Africa italiana
  • Membro della Commissione delle Forze Armate
Sito istituzionale

Dati generali
Prefisso onorifico
Partito politicoPartito Nazionale Fascista
Titolo di studioScuola militare
ProfessioneMilitare di carriera (Esercito)
Emilio De Bono
Emilio De Bono in una fotografia d'epoca
NascitaCassano d'Adda, 19 marzo 1866
MorteVerona, 11 gennaio 1944 (77 anni)
Cause della morteCondannato a morte tramite fucilazione
EtniaItaliano
ReligioneAteo[1]
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Regno d'Italia
Forza armata Regio Esercito
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale
ArmaArma di fanteria
SpecialitàBersaglieri
Anni di servizio1884 - 1944
GradoMaresciallo d'Italia
GuerreGuerra d'Eritrea
Guerra italo-turca
Prima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
BattaglieOffensiva di De Bono
Comandante diComandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale
Gruppo d'armate Sud
Studi militariScuola militare "Teulié"
Accademia militare di Modena
Altre carichePolitico
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Emilio De Bono (Cassano d'Adda, 19 marzo 1866Verona, 11 gennaio 1944) è stato un generale e politico italiano. Fu senatore del Regno d'Italia dalla XXVI legislatura. Membro del Partito Nazionale Fascista fu uno dei quattro quadrumviri della marcia su Roma. Maresciallo d'Italia e membro del Gran Consiglio del Fascismo, De Bono partecipò alla guerra italo-turca, alla prima guerra mondiale e alla guerra d'Etiopia, in quest'ultima comandò l'esercito Italiano durante le prime fasi della guerra.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

I primi anni[modifica | modifica wikitesto]

Emilio De Bono con l'uniforme da gerarca della Milizia

De Bono nacque il 19 marzo 1866 a Cassano d'Adda, figlio - con la sorella Maria - dell'ufficiale dell'Esercito Giovanni de Bono, discendente dei conti di Barlassina, e di Emilia Bazzi. Da bambino fece spesso il chierichetto allo zio prete don Giandomenico Bazzi, essendo molto legato alla famiglia della madre, cui appartenevano il funzionario della Cariplo Giulio Bazzi ed il giornalista Carlo Bazzi[2].

De Bono ebbe una sua fede personale (attestata dalla sua amicizia con Mons. Favalli preposto parroco di Cassano d'Adda e il cospicuo carteggio che tenne con lui) ma crebbe ateo. Come egli stesso riporterà nelle sue memorie: "ateismo è illuminato e razionale, basato su principi scientifici. Io sono militare, ammiro la ragione e per questo sono ateo". Prima della Marcia su Roma aderì alla massoneria della Serenissima Gran Loggia d'Italia[3].

Studiò prima (1878) al Collegio Militare di Milano, denominato oggi Scuola Militare "Teulié" e poi all'Accademia militare di Modena. Nel 1884 fu promosso sottotenente dei Bersaglieri. Destinato in Eritrea, partecipò alla campagna del 1887. Nel 1897 sposò a Torino Erminia Monti-Maironi (1869-1941) da cui non ebbe figli. Nel 1900, ormai capitano, entrò nel Corpo di Stato Maggiore. Tenente colonnello, fu in Libia durante la guerra italo-turca nel 1912 guadagnandosi la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia.

Prima guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Promosso colonnello dei Bersaglieri nel 1915, prese parte alla prima guerra mondiale, dove ottenne una prima medaglia d'argento al valor militare sul Carso già nel 1915.

Passato a comandare la Brigata "Trapani", nel 1916 fu promosso maggior generale (generale di brigata) e si distinse nella presa di Gorizia nel 1916, ottenendo una seconda medaglia d'argento. Ebbe poi il comando della Brigata Savona, della 38ª Divisione e, nel marzo del 1918, del IX Corpo d'Armata, incaricato della difesa del Monte Grappa. Fu allora che, per galvanizzare le truppe, compose il testo della celebre canzone "Monte Grappa, tu sei la mia patria", musicata da Antonio Meneghetti.

La vittoriosa resistenza contro gli Austriaci nella Battaglia del Solstizio del giugno 1918 gli fruttò la croce di commendatore dell'Ordine Militare di Savoia. Promosso Tenente Generale (generale di divisione, ma incaricato di Corpo d'Armata) nell'estate dello stesso anno, ebbe una terza medaglia d'argento al valor militare per il contributo dato alla vittoria finale mediante la difesa del Grappa.

Adesione al fascismo e Quadrumviro[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio, nel 1919, ebbe il comando del XXII Corpo d'Armata e poi del Corpo d'Armata di Verona. Collocato in Posizione Ausiliaria nel 1920, non accettando di sentirsi messo da parte, cominciò a interessarsi alla politica e si unì quell'anno al nascente Partito Nazionale Fascista.

In realtà, il partito di Mussolini non fu però la prima scelta politica di De Bono, ma piuttosto un ripiego. Il generale, infatti, si era precedentemente recato da rappresentanti del Partito Popolare per chiedere se avessero avuto necessità di un Ministro della Guerra. De Bono fu visto anche recarsi in piazza Duomo 23, presso l'abitazione di Filippo Turati, per rivolgere ai socialisti la medesima domanda.[4]

Anche se non prese parte in prima persona allo squadrismo, fu scelto per il suo prestigio militare, nell'ottobre 1922, tra i quadrumviri che guidarono la marcia su Roma delle camicie nere.

Fu anche presidente dell'Istituto Italiano di Previdenza.

Capo della polizia[modifica | modifica wikitesto]

L'11 novembre 1922, poco dopo la nascita del governo Mussolini, assunse la carica di direttore generale della Pubblica Sicurezza. Come capo della polizia riconfermò come capo gabinetto Umberto Ricci e nominò come proprio sostituto il prefetto Dante Almansi[5]. Incaricato della stesura del Regolamento nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale fascista, ne divenne, nel febbraio 1923 primo comandante generale.

Con Decreto Reale del 1º marzo 1923 fu nominato Senatore del Regno per la categoria 14 dell'articolo 33 dello Statuto Albertino (Ufficiali Generali di Terra e di Mare).

Il 18 giugno 1924, a seguito dell'uccisione del deputato social-unitario Giacomo Matteotti, lasciò la carica di capo della polizia e nell'ottobre quello di comandante della Milizia. Venne anche costretto a rinunciare a tutti i suoi incarichi, per il periodo in cui fu sottoposto all'istruttoria con l'accusa di essere stato tra gli organizzatori del complotto, ma fu infine prosciolto[6] dal Senato del Regno nell'esercizio della sua competenza di Alta corte di giustizia[7].

Governatore in Africa e ministro[modifica | modifica wikitesto]

Terminato il processo per l'affare Matteotti, De Bono accettò la carica di Governatore della Tripolitania italiana dal 1925 al 1928, ove fu tra l'altro tra gli organizzatori del Gran Premio di Tripoli. Fu insignito, grazie al suo operato in Tripolitania, della croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia per la preparazione e la direzione delle operazioni che avevano portato all'occupazione di tutta la Sirtica occidentale

Dal dicembre 1928 divenne Sottosegretario di Stato al Ministero delle Colonie, nel settembre 1929 Benito Mussolini lo nominò Ministro delle Colonie e nel 1932 accompagnò il re Vittorio Emanuele III nella sua visita in Eritrea. Restò ministro fino al gennaio 1935[8].

Il 10 gennaio 1930 propose a Pietro Badoglio la costruzione di campi di concentramento, per contrastare la resistenza nella zona della Cirenaica dei guerrieri senussiti guidati da Omar al-Mukhtar.[9][10] Il 25 giugno 1930, dietro indicazione di Badoglio e Mussolini, avviò la deportazione delle popolazioni di tutte le tribù del Gebel, che vennero strappate all'altopiano e concentrate alle falde, in una zona semidesertica.[9] L'operazione coinvolse circa 100.000 persone e fu una delle più grandi deportazioni della storia del colonialismo europeo.[9] Nel 1931 a El-Abiar venne aperto un campo di concentramento nel quale vennero rinchiuse oltre 8.000 persone,[11] trattenute in condizioni disumane e degradanti, sottoposte a sevizie e violenze, senza cure mediche.[9][10]

La guerra d'Etiopia[modifica | modifica wikitesto]

Emilio De Bono in Abissinia all'inizio della Guerra d'Etiopia
Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva di De Bono.

Nel novembre del 1932, su richiesta di Mussolini, De Bono preparò un piano per l'invasione dell'Etiopia. Il piano delineava un metodo tradizionale di penetrazione nell'entroterra: una forza relativamente piccola sarebbe gradualmente entrata nell'Eritrea meridionale, stabilendo una base di potenza contro gli oppositori disorganizzati. L'invasione progettata da De Bono era stata prevista come a basso costo, facile e sicura, ma molto lenta.[12]

Mussolini separatamente coinvolse l'esercito nelle pianificazioni e, nei due anni successivi, i generali stabilirono che per l'operazione prevista era necessario un numero di militari cinque o sei volte superiore a quello previsto da De Bono. Nel 1934 Mussolini aveva cercato di enfatizzare l'idea della guerra totale accelerando i tempi.[13]

Nel gennaio 1935, lasciato il ministero, divenne governatore dell'Eritrea e commissario dell'AOI, e il 3 aprile comandante delle operazioni italiane in Etiopia durante la seconda guerra italo-etiopica e delle forze d'invasione dall'Eritrea, conosciuta anche come "Fronte nord" (il Fronte sud era la Somalia). De Bono ebbe, sotto il suo comando diretto, una forza di nove divisioni d'esercito in tre corpi d'armata: il I, il II ed il corpo eritreo.[14]

Il bando di soppressione della schiavitù.

Il 3 ottobre le forze al suo comando passarono il confine. Il 6 ottobre presero Adua. Poco dopo De Bono entrò nella città di Axum, importante sotto il profilo storico e religioso. Dopo questi iniziali trionfi, ad ogni modo, la sua avanzata rallentò di molto a causa delle difficoltà d'approvvigionamento e del terreno aspro e privo di vie di comunicazione.

Ma Mussolini era impaziente e notava giorno per giorno come l'invasione fosse troppo lenta per i suoi gusti. Spronò De Bono, chiedendo un ampliamento del fronte e un'ulteriore avanzata sulla linea Macallé-Tacazzé, ordinandogli d'attaccare il 3 novembre. De Bono provò a protestare ma dovette eseguire e l'8 novembre, il I corpo d'armata ed il corpo eritreo conquistarono Macallè e fu questo il limite dell'avanzata italiana sotto De Bono.[15] Il 14 novembre 1935 ad Adua promulgò il bando che metteva fuori legge lo schiavismo nella regione del Tigrè[16][17].

Cercò di proseguire la sua tattica di avanzata prudente, ben sapendo che tutto il fronte ora si trovava in pericolo. L'ala sinistra era troppo sbilanciata verso l'esterno e quasi isolata. I rifornimenti, che dalla base di Senafè raggiungevano Adigrat dopo 80 chilometri di piste, ora dovevano superarne altri 120 per arrivare fino al II Corpo sul Tacazzè. In più, se gli Etiopici avessero attaccato in forze, avrebbero potuto sfondare, piombare su Macallè con tutti i suoi depositi, distruggerli ed accerchiare l'armata italiana.

Per queste ragioni, ricevuto l'ordine d'occupare l'Amba Alagi, obiettivo indifendibile ma legato alla memoria dell'eroica resistenza sostenutavi da Pietro Toselli nel 1895, De Bono telegrafò a Mussolini muovendo parecchie obiezioni; ciò determinò, il 17 dicembre, la sua sostituzione con Pietro Badoglio, con il Telegramma di Stato n.13181, nel quale si ribadiva che con la conquista di Macallé cinque settimane prima, la sua missione poteva dirsi conclusa. Il 16 gennaio 1936, De Bono venne promosso Maresciallo d'Italia, e il 3 ottobre 1937 il re lo insignì dell'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata.

Seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Fotografia di De Bono scattata a Roma il 21 novembre 1940. Il maresciallo si trova tra Heinrich Himmler e Rodolfo Graziani

Nel 1939 veniva nominato Ispettore delle Truppe d'Oltremare, svolgendo anche attività in Senato. Nel 1940, De Bono assunse il comando delle difese meridionali (Gruppo d'armate Sud) acquartierandosi in Sicilia e si oppose all'entrata in guerra dell'Italia nella seconda guerra mondiale, ma mantenne un basso profilo sulla questione.

Membro del Gran Consiglio del Fascismo fin dalla istituzione nel 1923, durante la riunione del 25 luglio 1943, dove si era recato con in tasca un santino di San Giuseppe[18], fu il primo a prendere la parola dopo Mussolini: pronunciò nell'occasione un discorso in difesa delle forze armate, ma, visto il clima fortemente teso che caratterizzò quella seduta, apparve confuso e privo di concentrazione[19]. Successivamente intervenne un'altra volta, e infine votò in favore della sfiducia a Mussolini.

Nei giorni successivi alla caduta del regime, non inviso ai sostenitori del nuovo capo del governo Badoglio, De Bono godette di forte autonomia, tanto che gli fu consentito un saltuario ingresso al Ministero della Guerra. Dopo l'8 settembre e la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana (23 settembre 1943) il vecchio militare non tentò la fuga all'estero, alla quale aveva comunque pensato. Era infatti convinto che Mussolini – nonostante tutto – non avrebbe permesso che gli fosse fatto alcun male[3].

Il processo di Verona e la fucilazione[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo di Verona.
I sei imputati presenti al processo di Verona: (da sin.) De Bono (con le mani sul viso), Carlo Pareschi, Galeazzo Ciano, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Tullio Cianetti. (Fotografia originale)

Il 4 ottobre 1943 fu catturato a Roma dalle truppe della neonata Repubblica Sociale Italiana mentre si aggirava in bicicletta. Fino al gennaio 1944 rimase a Cassano d'Adda in attesa di essere processato a Verona; trasferito nel capoluogo scaligero, venne separato dagli altri prigionieri per motivi d'età e di salute[3]. Il 10 gennaio 1944, al processo di Verona, fu condannato alla pena capitale per alto tradimento.

Il generale Renzo Montagna, uno dei nove giudici, rivelò che il quadrumviro fu inizialmente salvato dalla fucilazione per 5 voti a 4 (esattamente come era successo a Cianetti). Tuttavia il capo fascista della provincia di Ferrara Enrico Vezzalini minacciò i magistrati accusandoli di "debolezza" e, a quel punto, il giudice Riggio cambiò parere schierandosi per la colpevolezza[20][21]. De Bono, stanco e malato, commentò così la sua condanna a morte: "Mi fregate di poco, ho settantotto anni"[22]. La sua domanda di grazia, come quella degli altri condannati, fu bloccata da Pavolini e l'11 gennaio venne fucilato insieme agli altri quattro ex gerarchi fascisti.

È sepolto, con il quadretto raffigurante San Giuseppe donatogli dalla madre quando era bambino, in una cappella condivisa con le famiglie Bazzi e Tornaghi al cimitero di Cassano d'Adda. Come da disposizioni testamentarie, sulla sua lapide è inciso l'epitaffio Fu e volle essere soprattutto un soldato.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

De Bono, accompagnato da De Vecchi a Rodi passa in rivista le truppe.
Medaglia a ricordo della campagna d'Africa - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia a ricordo della campagna d'Africa
Cavaliere di Gran Croce di Grazia Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce di Grazia Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta
— 20 gennaio 1930

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ De Bono fu tuttavia per tutta la vita vicino a molti sentimenti tipicamente cattolici, per influsso della Fede materna, primo fra tutti l'attaccamento al personaggio di San Giuseppe, sempre per motivi legati al culto religioso particolarmente forte in sua madre
  2. ^ Archivio storico di Intesa San Paolo, Fotografie della prima guerra mondiale dall’Archivio di Giulio Bazzi, Monografie, n. 15, 2019, p. 33.
  3. ^ a b c DE BONO, Emilio in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 33 (1987).
  4. ^ Generali, Domenico Quirico, Oscar Mondadori, pag. 302.
  5. ^ Guido Leto, p. 13.
  6. ^ Il senatore De Bono “è stato assolto per insufficienza di prove dall’addebito di partecipazione all’aggressione contro il Deputato Amendola, dall’addebito di favoreggiamento nel delitto contro il Deputato Matteotti, dall’addebito di favoreggiamento nell’aggressione contro il Deputato Misuri e dall’addebito di aver rilasciato un passaporto falso ad Amerigo Dumini”: Comitato parlamentare delle Opposizioni, La questione morale dopo le risultanze dell’istruttoria De Bono presso l’Alta Corte di Giustizia, Roma, 1925, Stabilimento tipografico via Mario de’ Fiori, p. 6.
  7. ^ ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 1.2.257.2.115, Sentenza di non luogo a procedere contro il senatore Emilio De Bono 12 giugno 1925.
  8. ^ http://storia.camera.it/governi/i-governo-mussolini#nav.
  9. ^ a b c d Antonio Scurati, Mussolini e i campi di concentramento italiani in Africa| «M. L’uomo della provvidenza», su Corriere della Sera, 22 ottobre 2020. URL consultato il 22 ottobre 2020.
  10. ^ a b Scurati, Antonio., M : l'uomo della provvidenza, Bompiani, 2020, ISBN 978-88-301-0265-1, OCLC 1198708982. URL consultato il 22 ottobre 2020.
  11. ^ I campi fascisti - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, su campifascisti.it. URL consultato il 22 ottobre 2020.
  12. ^ Baer, Test Case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations, p. 12.
  13. ^ Baer, Test Case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations, p. 13.
  14. ^ Barker, A. J., The Rape of Ethiopia 1936, p. 33.
  15. ^ Barker, A. J., The Rape of Ethiopia 1936, p. 36.
  16. ^ Arrigo Petacco, "Faccetta nera", storia della conquista dell'impero pag. 90 " Il primo atto ufficiale compiuto da De Bono subito dopo l'inizio del conflitto fu la liberazione degli schiavi. E non poteva non farlo: l'abolizione della schiavitù era il principale motivo con cui l'Italia giustificava l'aggressione all'Etiopia davanti alla Lega delle Nazioni".
  17. ^ Ezio Colombo a cura, Abissinia, l'ultima avventura, pag 85: "Nell'Impero etiopico esisteva ancora la schiavitù: il 14 ottobre, subito dopo l'occupazione di una parte del Tigrai, il comando italiano ne proclamò l'abolizione..".
  18. ^ Generali, Domenico Quirico, Oscar Mondadori, pag. 322.
  19. ^ Carlo Scorza, La notte del Gran Consiglio, Palazzi, 1968, p. 38.
  20. ^ Oggi Illustrato, n. 27, 1958.
  21. ^ Gian Franco Verrè, Il processo di Verona, Mondadori, 1963, p. 168.
  22. ^ Carlo Borsani jr, Carlo Borsani: una vita per un sogno (1917-1945), ISBN 88-425-1819-0 (pag. 80).
  23. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Governatore della Tripolitana Successore
Giuseppe Volpi 3 luglio 1925 – 24 gennaio 1929 Pietro Badoglio
Predecessore Ministro delle colonie del Regno d'Italia Successore
Benito Mussolini
ad interim
12 settembre 1929 – 17 gennaio 1935 Benito Mussolini
ad interim
Predecessore Governatore dell'Eritrea Successore
Ottone Gabelli 18 gennaio 1935 – 22 novembre 1935 Pietro Badoglio
Predecessore Alto Commissario dell'Africa Orientale Italiana Successore
Titolo inesistente 15 gennaio 1935 – 27 novembre 1935 Pietro Badoglio
Predecessore Comandante generale della MVSN Successore
carica istituita 1º febbraio 1923 – 31 ottobre 1924 Italo Balbo
Predecessore Capo della polizia Successore
Raffaele Gasbarri 11 novembre 1922 – 16 giugno 1924 Francesco Crispo Moncada
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