Elezioni politiche in Italia del 1983

Elezioni politiche in Italia del 1983
Stato Bandiera dell'Italia Italia
Data
26-27 giugno
Legislatura IX legislatura
Assemblee Camera dei deputati, Senato della Repubblica
Legge elettorale Proporzionale classico
Affluenza 88,42% (Diminuzione 2,23%)
Liste
Camera dei deputati
Voti
12 153 081
32,93%
11 032 318
29,89%
4 223 362
11,44%
Seggi
225 / 630
198 / 630
73 / 630
Differenza %
Diminuzione 5,37%
Diminuzione 0,49%
Aumento 1,63%
Differenza seggi
Diminuzione 37
Diminuzione 3
Aumento 11
Senato della Repubblica
Voti
10 077 204
32,41%
9 577 071
30,81%
3 539 593
11,39%
Seggi
120 / 315
107 / 315
38 / 315
Differenza %
Diminuzione 5,93%
Diminuzione 0,65%
Aumento 1,01%
Differenza seggi
Diminuzione 18
Diminuzione 2
Aumento 6
Distribuzione del voto alla Camera
Governi
Craxi I (1983-1986)
Craxi II (1986-1987)
Fanfani VI (1987)
1979 1987

Le elezioni politiche in Italia del 1983 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano – la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – si tennero domenica 26 e lunedì 27 giugno 1983[1].

Le consultazioni videro ancora una volta la Democrazia Cristiana primeggiare sul Partito Comunista Italiano, tuttavia il brusco calo di consensi della DC portò il divario tra i due storici avversari a soli tre punti percentuali, ovvero poco più di un milione di voti, mai così ridotto nella storia repubblicana. Complessivamente la coalizione governativa del pentapartito (DC-PSI-PRI-PSDI-PLI) mantenne la maggioranza assoluta dei voti grazie al rafforzamento dei socialisti e degli altri partiti minori che compensarono quasi del tutto l'arretramento democristiano. Infine, la destra missina tornò a crescere ottenendo il suo secondo miglior risultato mentre i radicali subirono un deciso ridimensionamento.

Sistema di voto[modifica | modifica wikitesto]

Le elezioni politiche del 1983 si tennero con il sistema di voto introdotto con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, dopo essere stato approvato dalla Consulta Nazionale il 23 febbraio 1946. Concepito per gestire le elezioni dell'Assemblea Costituente previste per il successivo 2 giugno, il sistema fu poi recepito come normativa elettorale per la Camera dei deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948.

Per quanto riguarda il Senato della Repubblica, i criteri di elezione vennero stabiliti con la legge n. 29 del 6 febbraio 1948 la quale, rispetto a quella per la Camera, conteneva alcuni piccoli correttivi in senso maggioritario, pur mantenendosi anch'essa in un quadro largamente proporzionale. Secondo la suddetta legge del 1946, i partiti presentavano in ogni circoscrizione una lista di candidati.

L'assegnazione di seggi alle liste circoscrizionali avveniva con un sistema proporzionale utilizzando il metodo dei divisori con quoziente Imperiali; determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista, venivano proclamati eletti i candidati che, all'interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimere il loro gradimento per un massimo di quattro candidati.

I seggi e i voti residuati a questa prima fase venivano raggruppati poi nel collegio unico nazionale, all'interno del quale gli scranni venivano assegnati sempre col metodo dei divisori, ma utilizzando ora il quoziente Hare naturale ed esaurendo il calcolo tramite il metodo dei più alti resti. Differentemente dalla Camera, la legge elettorale del Senato si articolava su base regionale, seguendo il dettato costituzionale (art. 57).

Ogni Regione era suddivisa in molti collegi uninominali. All'interno di ciascun collegio, veniva eletto il candidato che avesse raggiunto il quorum del 65% delle preferenze: tale soglia, oggettivamente di difficilissimo conseguimento, tradiva l'impianto proporzionale su cui era concepito anche il sistema elettorale della Camera Alta. Qualora, come normalmente avveniva, nessun candidato avesse conseguito l'elezione, i voti di tutti i candidati venivano raggruppati in liste di partito a livello regionale, dove i seggi venivano allocati utilizzando il metodo D'Hondt delle maggiori medie statistiche e quindi, all'interno di ciascuna lista, venivano dichiarati eletti i candidati con le migliori percentuali di preferenza.

Circoscrizioni[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio nazionale italiano venne suddiviso alla Camera dei deputati in 32 circoscrizioni plurinominali e al Senato della Repubblica in 20 circoscrizioni plurinominali, corrispondenti alle regioni italiane.

Circoscrizioni della Camera dei deputati[modifica | modifica wikitesto]

Le circoscrizioni per la Camera dei deputati.

Le circoscrizioni della Camera dei deputati furono le seguenti:

  1. Torino (Torino, Novara, Vercelli);
  2. Cuneo (Cuneo, Alessandria, Asti);
  3. Genova (Genova, Imperia, La Spezia, Savona);
  4. Milano (Milano, Pavia);
  5. Como (Como, Sondrio, Varese);
  6. Brescia (Brescia, Bergamo);
  7. Mantova (Mantova, Cremona);
  8. Trento (Trento, Bolzano);
  9. Verona (Verona, Padova, Vicenza, Rovigo);
  10. Venezia (Venezia, Treviso);
  11. Udine (Udine, Belluno, Gorizia);
  12. Bologna (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì);
  13. Parma (Parma, Modena, Piacenza, Reggio Emilia);
  14. Firenze (Firenze, Pistoia);
  15. Pisa (Pisa, Livorno, Lucca, Massa e Carrara);
  16. Siena (Siena, Arezzo, Grosseto);
  17. Ancona (Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno);
  18. Perugia (Perugia, Terni, Rieti);
  19. Roma (Roma, Viterbo, Latina, Frosinone);
  20. L'Aquila (Aquila, Pescara, Chieti, Teramo);
  21. Campobasso (Campobasso, Isernia);
  22. Napoli (Napoli, Caserta);
  23. Benevento (Benevento, Avellino, Salerno);
  24. Bari (Bari, Foggia);
  25. Lecce (Lecce, Brindisi, Taranto);
  26. Potenza (Potenza, Matera);
  27. Catanzaro (Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria);
  28. Catania (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Enna);
  29. Palermo (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta);
  30. Cagliari (Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano);
  31. Valle d'Aosta (Aosta);
  32. Trieste (Trieste).

Circoscrizioni del Senato della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Le circoscrizioni per il Senato della Repubblica.

Le circoscrizioni del Senato della Repubblica invece erano le seguenti:

  1. Piemonte;
  2. Valle D'Aosta;
  3. Lombardia;
  4. Trentino-Alto Adige;
  5. Veneto;
  6. Friuli-Venezia Giulia;
  7. Liguria;
  8. Emilia-Romagna;
  9. Toscana;
  10. Umbria;
  11. Marche;
  12. Lazio;
  13. Abruzzo;
  14. Molise;
  15. Campania;
  16. Puglia;
  17. Basilicata;
  18. Calabria;
  19. Sicilia;
  20. Sardegna.
Andamento dell'inflazione dell'Italia dal 1962 al 2022

Quadro politico[modifica | modifica wikitesto]

Dalla fine degli anni settanta l'Italia subì un processo di rinnovamento della produzione industriale il cui fine consisteva nel rendere l'attività dell'impresa totalmente aderente al prodotto e alla domanda delegando all'esterno molti servizi accessori, evitando l'utilizzo di magazzini e favorendo la nascita di una fitta rete di piccole e medie imprese altamente specializzate. Contemporaneamente si verificò un notevole aumento del benessere materiale e del PIL, tanto che alcuni osservatori parlano di un nuovo boom economico dopo quello degli anni cinquanta e sessanta. Tuttavia lo stato doveva affrontare il problema dell'inflazione molto elevata e del disavanzo pubblico fuori controllo.

Manifesti elettorali del PSI per la campagna elettorale del 1983, lungo Via del Corso a Roma.

Questo periodo vide inoltre un notevole indebolimento dei sindacati, usciti vittoriosi dall'autunno caldo, sia perché la nuova organizzazione industriale sfavoriva la diffusione delle attività sindacali, poco presenti nelle realtà medio-piccole, sia per gli eventi legati alla marcia dei quadri intermedi FIAT nel 1980 contro lo sciopero ad oltranza degli operai, che segnò una pesante sconfitta per i sindacati costretti a cedere alle richieste della casa torinese.

In questo contesto la politica italiana aveva definitivamente abbandonato l'ipotesi di aperture al PCI, che sembrava ormai aver arrestato la sua ascesa, e aveva quindi formalizzato nel 1981 la nascita della coalizione del pentapartito che comprendeva tutti i principali partiti all'infuori di comunisti, missini e radicali. La nuova fase politica si aprì con i governi presieduti dal leader repubblicano Giovanni Spadolini, primo esponente non democristiano a presiedere un Governo della Repubblica[1], dal momento che alla base dall'accordo di coalizione vi era il principio che i partiti minori godessero degli stessi diritti politici dei democristiani, compresa la possibilità di guidare l'esecutivo. Gli sforzi dell'esecutivo si concentrarono sulla riduzione dell'inflazione, ma dopo poco più di un anno il Governo cadde per la cosiddetta «lite delle comari». Ne seguì un Governo presieduto dal democristiano Amintore Fanfani. Anche questo però ebbe vita breve, poiché nella primavera del 1983 il segretario socialista Bettino Craxi sfiduciò l'esecutivo, ritenendo che la sua parte fosse ormai abbastanza forte da affrontare le elezioni e guidare il Governo. Furono quindi indette dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini le elezioni anticipate.

Principali forze politiche[modifica | modifica wikitesto]

Partito Collocazione Ideologia principale Segretario Foto
Democrazia Cristiana (DC) Centro Cristianesimo democratico Ciriaco De Mita
Partito Comunista Italiano (PCI) Sinistra Eurocomunismo Enrico Berlinguer
Partito Socialista Italiano (PSI) Centro-sinistra Socialismo liberale Bettino Craxi
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI-DN) Estrema destra Neofascismo Giorgio Almirante
Partito Repubblicano Italiano (PRI) Centro Repubblicanesimo Giovanni Spadolini
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) Centro-sinistra Socialdemocrazia Pietro Longo
Partito Liberale Italiano (PLI) Centro-destra Liberalismo Valerio Zanone
Partito Radicale (PR) Centro-sinistra Radicalismo Marco Pannella
Democrazia Proletaria (DP) Estrema sinistra Comunismo Mario Capanna

Risultati[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Grafico delle elezioni politiche italiane.

Camera dei deputati[modifica | modifica wikitesto]

Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Risultati delle elezioni politiche italiane del 1983 (Camera dei deputati)
Partito Voti % Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Democrazia Cristiana (DC) 12.153.081 32,93 225 Diminuzione5,37 Diminuzione37
Partito Comunista Italiano (PCI) 11.032.318 29,89 198 Diminuzione0,49 Diminuzione3
Partito Socialista Italiano (PSI) 4.223.362 11,44 73 Aumento1,63 Aumento11
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI-DN) 2.511.487 6,81 42 Aumento1,55 Aumento12
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 1.874.512 5,08 29 Aumento2,05 Aumento13
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) 1.508.234 4,09 23 Aumento0,25 Aumento3
Partito Liberale Italiano (PLI) 1.066.980 2,89 16 Aumento0,95 Aumento7
Partito Radicale (PR) 809.810 2,19 11 Diminuzione1,26 Diminuzione7
Democrazia Proletaria (DP) 542.039 1,47 7 - Aumento7
Partito Nazionale Pensionati 503.461 1,36 0 - -
Südtiroler Volkspartei (SVP) 184.940 0,50 3 Diminuzione0,06 Diminuzione1
Liga Veneta (LV) 125.311 0,34 1 - Aumento1
Lista per Trieste (LpT) 92.101 0,25 0 - Diminuzione1
Partito Sardo d'Azione (PSd'Az) 91.923 0,25 1 Aumento0,2 Aumento1
Vallée d'Aoste - Autonomie Progrès Fédéralisme (UV-UVP-DEP)[2] 28.086 0,08 1 Diminuzione0,01 Stabile
Altre liste 158.360 0,43 0 - Diminuzione6
Totale[3] 36.906.005 100,00 630

Senato della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Risultati delle elezioni politiche italiane del 1983 (Senato della Repubblica)
Partito Voti % Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Democrazia Cristiana (DC) 10.077.204 32,41 120 Diminuzione5,93 Diminuzione18
Partito Comunista Italiano (PCI) 9.577.071 30,81 107 Diminuzione0,64 Diminuzione2
Partito Socialista Italiano (PSI) 3.539.593 11,39 38 Aumento1,01 Aumento6
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI-DN) 2.283.524 7,35 18 Aumento1,66 Aumento5
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 1.452.279 4,67 10 Aumento1,31 Aumento5
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) 1.184.936 3,81 8 Diminuzione0,41 Diminuzione1
Partito Liberale Italiano (PLI) 834.771 2,69 6 Aumento0,48 Aumento4
Partito Radicale (PR) 548.229 1,76 1 Aumento0,44 Diminuzione1
Südtiroler Volkspartei (SVP) 157.444 0,51 3 - Stabile
PLI - PRI[4] 127.504 0,41 1 - -
Liga Veneta (LV) 91.171 0,29 1 - Aumento1
Partito Sardo d'Azione (PSd'Az) 76.797 0,25 1 - Aumento1
Vallée d'Aoste - Autonomie Progrès Fédéralisme (UV-UVP-DEP)[2] 26.547 0,09 1 - Stabile
Altre liste 1.111.941 3,57 0 - -
Totale[5] 31.089.011 100,00 315

Analisi territoriale del voto[modifica | modifica wikitesto]

La Democrazia Cristiana subisce un forte calo di consensi che si concretizza in un consistente arretramento in quasi tutto il territorio nazionale. Complessivamente, per 18 senatore e 37 deputati.[6] In particolare i democristiani registrano le perdite più consistenti in Veneto (-8%), Sicilia, Sardegna e nella Provincia di Bari (-9%). Subiscono invece cali più contenuti in Friuli-Venezia Giulia e nel Centro Italia mentre, in controtendenza, la DC aumenta i propri consensi in Basilicata e Molise dove ottiene il suo miglior risultato superando il 55% dei voti. Queste ultime due regioni, insieme a Triveneto, Alta Lombardia, Abruzzo e Campania, risultano le più favorevoli allo scudo crociato. Al contrario le «Regioni Rosse» e il Nord-Ovest si mantengono ostili ai democristiani mentre nel resto del Centro-Sud la DC ottiene consensi in linea con la media nazionale[5].

Conseguenze del voto[modifica | modifica wikitesto]

I risultati delle elezioni videro un indebolimento della DC e un sostanziale rafforzamento di altri partiti come il PSI e il PRI[1]. Il PCI rimase grossomodo costante, perdendo lo 0,49%.

La Direzione DC, riunita pochi giorni dopo per discutere delle conseguenze del voto, decise quindi di rinunciare ad una delle pregiudiziali della politica italiana (mai un socialista Presidente del Consiglio) perché non poteva rinunciare alla seconda (il PCI al governo)[7], e dovette quindi accettare l'idea di formare un governo di coalizione presieduto dal segretario del PSI, Bettino Craxi, senza avere a disposizione una maggioranza di ricambio com'era stato coi governi di centro-sinistra precedenti[8]. Fu così che il 21 luglio il Presidente della Repubblica Sandro Pertini affidò al segretario socialista Craxi l'incarico di formare un nuovo Governo[1], diventando il primo Presidente del Consiglio socialista dell'Italia repubblicana. Seguì quindi una fase politica piuttosto stabile che permise a Craxi di restare in carica per quasi tutta la legislatura.

Nel 1985 l'ex Presidente del Consiglio Francesco Cossiga (in quel momento Presidente del Senato)[1] fu eletto Presidente della Repubblica al primo scrutinio con un'ampia maggioranza (752 voti), composta da tutti i partiti dell'«arco costituzionale»[1].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993, ISBN 9788817427296.
  2. ^ a b Candidatura autonomista presentata in Valle d'Aosta.
  3. ^ Archivio Storico delle Elezioni – Camera del 26 giugno 1983, in Ministero dell'interno. URL consultato il 16 aprile 2013.
  4. ^ Candidature presentate in Toscana e Abruzzo. Eletto il repubblicano Aride Rossi per Firenze Centro.
  5. ^ a b Archivio Storico delle Elezioni – Senato del 26 giugno 1983, in Ministero dell'interno. URL consultato il 16 aprile 2013.
  6. ^ Lorenzo Del Bocca, Craxi, il decisionismo al potere, in Panorama, 2 agosto 2023, p. 68
  7. ^ Giorgio Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), Rizzoli, 2004, p. 232.
  8. ^ Giorgio Galli, op. cit., p. 122

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Costituzione della Repubblica Italiana.
  • Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di fango (1978-1993), Milano, Rizzoli, 1993, ISBN 88-17-42729-2.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]