Elezioni politiche in Italia del 1953

Elezioni politiche in Italia del 1953
Stato Bandiera dell'Italia Italia
Data
7-8 giugno
Legislatura II legislatura
Assemblee Camera dei deputati, Senato della Repubblica
Legge elettorale Proporzionale classica[1]
Affluenza 93,81% (Aumento 1,62%)
Liste
Camera dei deputati
Voti
13 488 813
40,10%
6 120 809
22,60%
3 441 014
12,70%
Seggi
263 / 590
143 / 590
75 / 590
Differenza %
Diminuzione 11,99%
nuovo partito%
nuovo partito%
Differenza seggi
Diminuzione 61
nuovo partito
nuovo partito
Senato della Repubblica
Voti
11 771 179
39,76%
4 910 077
20,21%
2 891 605
11,90%
Seggi
113 / 237
51 / 237
26 / 237
Differenza %
Diminuzione 8,35%
nuovo partito%
nuovo partito%
Differenza seggi
Diminuzione 19
nuovo partito
nuovo partito
Distribuzione del voto alla Camera
Governi
De Gasperi VIII (1953)
Pella (1953-1954)
Fanfani I (1954)
Scelba (1954-1955)
Segni I (1955-1957)
Zoli (1957-1958)
1948 1958

Le elezioni politiche in Italia del 1953 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano – la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – si tennero domenica 7 e lunedì 8 giugno 1953. Il Senato, la cui legislatura aveva una durata di sei anni, fu sciolto anticipatamente.

I risultati videro la Democrazia Cristiana nuovamente maggioritaria, seppur in forte calo rispetto alle precedenti elezioni, così come pure l'intera area di governo composta da PSDI, PRI e PLI. La coalizione centrista, formatasi per ottenere il premio di maggioranza introdotto dalla nuova legge elettorale, non riuscì infatti a superare il 50% dei voti mancando l'obiettivo di pochi decimi (fermandosi al 49,2% dei consensi). Le elezioni rafforzarono invece la sinistra che, conclusa l'esperienza del Fronte Democratico Popolare, tornò divisa tra Partito Comunista Italiano e Partito Socialista Italiano, quest'ultimo privo però della connotazione di massa che aveva caratterizzato la sua nascita. D'ora in poi, infatti, il PCI sarà l'unico partito in grado di mettere in discussione il primato democristiano. Ebbero un notevole successo, seppur restando nettamente minoritaria, anche l'area della destra composta da monarchici, che con questa elezione ebbero il loro massimo storico, e i missini.

Sistema di voto[modifica | modifica wikitesto]

Fatta salva l'eccezione dell'eventuale premio di maggioranza introdotto con legge n. 148/1953, le elezioni politiche del 1953 si tennero con il sistema di voto introdotto con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, dopo essere stato approvato dalla Consulta Nazionale il 23 febbraio 1946. Il sistema fu poi recepito come normativa elettorale per la Camera dei deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Per quanto riguarda il Senato della Repubblica, i criteri di elezione vennero stabiliti con la legge n. 29 del 6 febbraio 1948 la quale, rispetto a quella per la Camera, conteneva alcuni piccoli correttivi in senso maggioritario, pur mantenendosi anch'essa in un quadro larghissimamente proporzionale.

Secondo la suddetta legge, i partiti presentavano in ogni circoscrizione una lista di candidati. L'assegnazione di seggi alle liste circoscrizionali avveniva con un sistema proporzionale utilizzando il metodo dei divisori con quoziente Imperiali; determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista, venivano proclamati eletti i candidati che, all'interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimere il loro gradimento per un massimo di quattro candidati.

I seggi e i voti residuati a questa prima fase venivano raggruppati poi nel collegio unico nazionale, all'interno del quale gli scranni venivano assegnati sempre col metodo dei divisori, ma utilizzando ora il quoziente Hare naturale ed esaurendo il calcolo tramite il metodo dei più alti resti.

Il 31 marzo 1953 venne promulgata la legge n. 148/1953, composta da un singolo articolo, che introdusse un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.

Differentemente dalla Camera, la legge elettorale del Senato rimase la stessa e si articolava su base regionale, seguendo il dettato costituzionale (art.57). Ogni Regione era suddivisa in tanti collegi uninominali quanti erano i seggi ad essa assegnati. All'interno di ciascun collegio, veniva eletto il candidato che avesse raggiunto il quorum del 65% delle preferenze: tale soglia, oggettivamente di difficilissimo conseguimento, tradiva l'impianto proporzionale su cui era concepito anche il sistema elettorale della Camera Alta. Qualora, come normalmente avveniva, nessun candidato avesse conseguito l'elezione, i voti di tutti i candidati venivano raggruppati in liste di partito a livello regionale, dove i seggi venivano allocati utilizzando il metodo D'Hondt delle maggiori medie statistiche e quindi, all'interno di ciascuna lista, venivano dichiarati eletti i candidati con le migliori percentuali di preferenza.

Circoscrizioni[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio nazionale italiano venne suddiviso alla Camera dei deputati in 31 circoscrizioni plurinominali ed al Senato della Repubblica in 19 circoscrizioni plurinominali, corrispondenti alle regioni italiane.

Circoscrizioni della Camera dei deputati[modifica | modifica wikitesto]

Le circoscrizioni per la Camera dei deputati.

Le circoscrizioni della Camera dei deputati furono le seguenti:

  1. Torino (Torino, Novara, Vercelli);
  2. Cuneo (Cuneo, Alessandria, Asti);
  3. Genova (Genova, Imperia, La Spezia, Savona);
  4. Milano (Milano, Pavia);
  5. Como (Como, Sondrio, Varese);
  6. Brescia (Brescia, Bergamo);
  7. Mantova (Mantova, Cremona);
  8. Trento (Trento, Bolzano);
  9. Verona (Verona, Padova, Vicenza, Rovigo);
  10. Venezia (Venezia, Treviso);
  11. Udine (Udine, Belluno, Gorizia);
  12. Bologna (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì);
  13. Parma (Parma, Modena, Piacenza, Reggio Emilia);
  14. Firenze (Firenze, Pistoia);
  15. Pisa (Pisa, Livorno, Lucca, Provincia di Massa-Carrara);
  16. Siena (Siena, Arezzo, Grosseto);
  17. Ancona (Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno);
  18. Perugia (Perugia, Terni, Rieti);
  19. Roma (Roma, Viterbo, Latina, Frosinone);
  20. L'Aquila (Aquila, Pescara, Chieti, Teramo);
  21. Campobasso (Campobasso);
  22. Napoli (Napoli, Caserta);
  23. Benevento (Benevento, Avellino, Salerno);
  24. Bari (Bari, Foggia);
  25. Lecce (Lecce, Brindisi, Taranto);
  26. Potenza (Potenza, Matera);
  27. Catanzaro (Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria);
  28. Catania (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Enna);
  29. Palermo (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta);
  30. Cagliari (Cagliari, Sassari, Nuoro);
  31. Valle d'Aosta (Aosta).

Circoscrizioni del Senato della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Le circoscrizioni per il Senato della Repubblica.

Le circoscrizioni del Senato della Repubblica furono invece le seguenti:

  1. Piemonte;
  2. Valle D'Aosta;
  3. Lombardia;
  4. Trentino-Alto Adige;
  5. Veneto;
  6. Friuli-Venezia Giulia;
  7. Liguria;
  8. Emilia-Romagna;
  9. Toscana;
  10. Umbria;
  11. Marche;
  12. Lazio;
  13. Abruzzi e Molise;
  14. Campania;
  15. Puglia;
  16. Basilicata;
  17. Calabria;
  18. Sicilia;
  19. Sardegna.

Quadro politico[modifica | modifica wikitesto]

I governi De Gasperi e la nuova legge elettorale[modifica | modifica wikitesto]

La I legislatura della Repubblica Italiana vide susseguirsi tre governi presieduti dal leader democristiano Alcide De Gasperi, tutti sostenuti dalla coalizione centrista, composta da DC, PSDI, PLI e PRI. Fu un periodo di stabilità politica che permise di varare importanti riforme, come quella agraria, e fondamentali provvedimenti per la ricostruzione del Paese dopo la guerra, come la Legge Fanfani. Sul piano internazionale, il governo si operò per stringere ulteriormente i vincoli dell'Italia con l'occidente aderendo alla CECA e alla NATO. Questa linea politica fu duramente contestata dalle sinistre, che avevano il Patto di Varsavia come punto di riferimento, ma anche da alcune parti dell'elettorato cattolico, che, seguendo i dettami di Pio XII, non vedeva di buon grado le alleanze militari. Vedendo quindi rinvigorirsi sia le forze di sinistra che quelle di destra, De Gasperi fece approvare una nuova legge elettorale che avrebbe dovuto premiare la coalizione centrista con il 65% dei seggi qualora avesse superato il 50% dei voti. Questo traguardo era ritenuto raggiungibile senza difficoltà (considerando che alle precedenti elezioni il centro aveva superato il 60% dei voti) e avrebbe garantito stabilità e governi di centro anche per la futura legislatura.

Principali forze politiche[modifica | modifica wikitesto]

Partito Collocazione Ideologia principale Capo politico Foto
Democrazia Cristiana (DC) Centro Cristianesimo democratico Alcide De Gasperi[2]
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) Centro-sinistra Socialdemocrazia Giuseppe Saragat
Partito Liberale Italiano (PLI) Centro-destra Liberalismo Bruno Villabruna
Partito Repubblicano Italiano (PRI) Centro-sinistra Repubblicanesimo Oronzo Reale
Partito Comunista Italiano (PCI) Sinistra Comunismo Palmiro Togliatti
Partito Socialista Italiano (PSI) Sinistra Socialismo Pietro Nenni
Partito Nazionale Monarchico[3] (PNM) Destra Monarchismo Alfredo Covelli
Movimento Sociale Italiano (MSI) Destra Neofascismo Augusto De Marsanich

Campagna elettorale[modifica | modifica wikitesto]

La nuova legge elettorale fu uno dei temi più importanti della campagna elettorale. Ribattezzata Legge Truffa dalle opposizioni, essa fu portata come esempio di una pericolosa involuzione democratica, fomentando la paura per una nuova fase autoritaria dopo quella fascista. Anche nella coalizione di governo vi furono dissensi e alcune componenti liberali e socialdemocratiche abbandonarono il centro con il dichiarato intento di non far raggiungere il quorum alla DC e i suoi alleati (PSDI, PLI, PRI).

Risultati[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Grafico delle elezioni politiche italiane.

Camera dei deputati[modifica | modifica wikitesto]

Totale Percentuale (%)
Elettori 30.272.236  
Votanti 28.406.479 93,84 (su n. elettori)
Voti validi 27.087.701 95,36 (su n. votanti)
Voti non validi 1.318.778 4,64 (su n. votanti)
di cui schede bianche 430.888 1,52 (su n. votanti)
Quorum premio di maggioranza 13.543.851 50,01 (su n. voti validi)
Blocco di centro 13.488.813 49,80 (su n. voti validi)
Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Risultati delle elezioni politiche italiane del 1953 (Camera dei deputati)
Coalizione Partito Voti % Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Centro democratico
Democrazia Cristiana (DC) 10.862.073 40,10 263 Diminuzione8,41 Diminuzione42
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) 1.222.957 4,51 19 Diminuzione2,56 Diminuzione14
Partito Liberale Italiano (PLI) 815.929 3,01 13 Diminuzione0,81[4] Diminuzione6
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 438.149 1,62 5 Diminuzione0,86 Diminuzione4
Südtiroler Volkspartei (SVP) 122.474 0,45 3 Diminuzione0,02 Stabile
Partito Sardo d'Azione (PSd'Az) 27.231 0,10 0 Diminuzione0,14 Diminuzione1
Totale Coalizione di centro[5] 13.488.813 49,80 303 Diminuzione15,81 Diminuzione67
Partito Comunista Italiano (PCI) 6.120.809 22,60 143 Aumento4,32 Aumento35
Partito Socialista Italiano (PSI) 3.441.014 12,70 75
Partito Nazionale Monarchico (PNM) 1.854.850 6,85 40 Aumento4,07 Aumento26
Movimento Sociale Italiano (MSI) 1.582.154 5,84 29 Aumento3,84 Aumento23
Unione Socialista Indipendente (USI) 225.409 0,83 0 - -
Unità Popolare (UP) 171.099 0,63 0 - -
Alleanza Democratica Nazionale (ADN) 120.685 0,45 0 - -
Altre liste 82.886 0,31 0 Diminuzione0,08 Diminuzione1
Totale[6] 27.087.701 100,00 590 Aumento16

Senato della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Totale Percentuale (%)
Elettori 27.172.871  
Votanti 25.483.201 93,78 (su n. elettori)
Voti validi 24.296.277 95,34 (su n. votanti)
Voti non validi 1.186.924 4,66 (su n. votanti)
di cui schede bianche 634.558 2,49 (su n. votanti)
Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Risultati delle elezioni politiche italiane del 1953 (Senato della Repubblica)
Partito Voti % Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Democrazia Cristiana (DC) 9.660.210 39,76 113 Diminuzione7,42 Diminuzione14
Partito Comunista Italiano (PCI)[7] 4.910.077 20,21 51 Aumento1,32 Aumento5
Partito Socialista Italiano (PSI)[7] 2.891.605 11,90 26
Partito Nazionale Monarchico (PNM) 1.581.128 6,51 14 Aumento5,25 Aumento13
Movimento Sociale Italiano (MSI) 1.473.645 6,07 9 Aumento5,35 Aumento8
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI)[8] 1.046.301 4,31 4 - Diminuzione4
Partito Liberale Italiano (PLI)[9] 695.816 2,86 3 - Diminuzione4
Partito Repubblicano Italiano (PRI)[8] 261.713 1,08 0 Diminuzione1,54 Diminuzione4
Unità Popolare (UP) 172.545 0,71 0 - -
Alleanza Democratica Nazionale (ADN) 165.845 0,68 1 - Aumento1
Südtiroler Volkspartei (SVP) 107.139 0,44 2 - Stabile
Altre liste e liste miste 1.330.253 5,48 14 - Aumento5
Totale[10] 24.296.277 100,00 237 Stabile

Analisi territoriale del voto[modifica | modifica wikitesto]

Partiti maggioritari nelle singole province per la Camera.

La Democrazia Cristiana perde consenso in tutta Italia ma è nel centro-sud che registra i cali peggiori, spesso superiori al 15% con punte del 18% nelle province di Salerno ed Enna. Perde solo qualche punto nelle regioni rosse, che si distinguono nuovamente come le più ostili ai democristiani, mentre al nord i decrementi sono in linea con quello nazionale. Il forte arretramento al sud riporta i risultati del meridione in linea con la media nazionale e sposta notevolmente l'asse geografico del partito verso nord. In particolare il Triveneto e l'alta Lombardia dimostrano ancora un consenso granitico per lo scudo crociato. Altre zone forti sono le province di Cuneo, Lucca, e le zone più meridionali del centro (basse Marche, Basso Lazio e Molise). Si confermano, invece, di poco al di sotto del risultato finale le percentuali del Nord-Ovest[6].

Il Partito Comunista Italiano risulta nuovamente predominante nel Centro Italia, specialmente in Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, e piuttosto apprezzato nel Nord Ovest, regioni in cui ottiene rispettivamente il 35 e il 25%. Riesce, però, ad uscire dalle sue solite zone d'influenza e ottiene consensi superiori alla media nazionale in Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sicilia. Continua, tuttavia, ad avere enormi difficoltà nel Nord Est, dove a stento supera il 10% dei voti, in Campania e in Sardegna[6].

Il Partito Socialista Italiano va particolarmente bene in Umbria, dove ottiene il 20% dei voti, e nel Nord Italia, in cui supera il 15% dei voti. Più precisamente ottiene risultati sopra il 20% dei consensi sulla retta che va da Novara a Ferrara passando per Varese, Cremona, Mantova, in cui raggiunge il 25% delle preferenze, e Venezia. Nel resto del Paese ottiene risultati in linea con la media nazionale o di poco inferiore, superando il PCI in Veneto e Lombardia[6].

Il Partito Nazionale Monarchico ottiene la maggior parte dei suoi consensi nel Sud Italia, in particolare dalla Campania, in cui supera il 15% dei voti, dalla Puglia e dalla Sicilia dove ottiene circa il 10% delle preferenze. Sopra la media nazionale il resto del Sud, mentre nel Nord Italia i risultati sono piuttosto inferiori alla media eccezion fatta per il Piemonte in cui raggiunge quasi il 7%. Profondamente inferiori alla media in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche dove non supera nemmeno il 2% dei voti[6].

Il Movimento Sociale Italiano incrementa i propri consensi in tutta Italia con massimi del 10% di aumento in Sicilia. In generale nel Centro Sud cresce maggiormente rispetto al Nord e ciò rafforza il forte radicamento in questa parte del Paese, specialmente nel Lazio, in Abruzzo e in Sicilia dove ottiene i suoi risultati migliori. Nel Nord Italia ottiene consensi non troppo inferiori alla media con percentuali particolarmente elevate nel Friuli-Venezia Giulia[6].

Il Partito Socialista Democratico Italiano perde consensi su quasi tutto il territorio, con decrementi particolarmente marcati nel Nord Italia che però non intaccano il forte radicamento del partito in questa zona, soprattutto in Piemonte, Emilia ed estremo Nord Est. Al Sud i cali sono più contenuti ma non fanno che accentuare la debolezza del PSDI in questa parte d'Italia. Le uniche eccezioni al declino generale sono Campania e Calabria dove i socialdemocratici aumentano i propri voti.[6].

Il Partito Liberale Italiano risulta in crescita o al più stabile in tutto il Centro Nord, specialmente in Piemonte, mentre in tutto il Sud si verifica una vera e propria emorragia di voti con decrementi che superano il 10% in Campania e Puglia. A seguito di questo fatto la geografia del voto liberale cambia notevolmente, con il Nord Ovest che assume il ruolo di zona forte, mentre restano nel Sud alcune isolate roccaforti liberali, come Campobasso, dove raggiunge quasi il 15% dei voti, Benevento e Messina in cui supera il 10%[6].

Il Partito Repubblicano Italiano subisce notevoli cali di consensi, anche superiori al 5%, in tutto il Centro Italia che però non intaccano la sua forze in queste zone, particolarmente in Romagna, dove ottiene più del 10% dei voti, nelle Marche, nel Lazio, sulla costa toscana. Il calo peggiore si registra nella Provincia di Trapani, dove i repubblicani dimezzano i propri voti restando però ancora molto forti. Nel resto d'Italia stenta a superare il punto percentuale ed è generalmente in calo[6].

La Democrazia Cristiana sopravanza il Partito Comunista Italiano di quasi 18 punti percentuali, e questo si traduce con un'affermazione su quasi tutto il territorio nazionale con l'esclusione delle Regioni Rosse, ovvero Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, anche se lo scudo crociato riesce ad imporsi in alcune province di queste regioni e in altre è superato di pochi punti percentuali. Per quanto riguarda i distacchi, la DC è incontrastata nella sua roccaforte lombardo-veneta, dove infligge al secondo classificato ritardi anche superiori al 50%. Molto forte l'affermazione in Sardegna e nella parte meridionale del Centro Italia. Nel resto del Paese, il vantaggio democristiano è più contenuto e talvolta piuttosto risicato. Il PCI ottiene i suoi maggiori vantaggi in Provincia di Ferrara e nella parte meridionale della Toscana.[6].

Conseguenze del voto[modifica | modifica wikitesto]

Le liste apparentate di DC, PSDI, PLI e PRI ottennero il 49,24% dei voti, mancando, seppur di poco, la soglia introdotta dalla nuova legge elettorale per ottenere il premio di maggioranza. L'attribuzione dei seggi rimase quindi proporzionale e il centro governativo, nonostante il notevole ridimensionamento, conquistò una risicata maggioranza in entrambi i rami dei Parlamento. La delusione per il risultato, però, fu palpabile e venne attribuita soprattutto a De Gasperi. Il premier uscente ottenne l'incarico di formare il nuovo governo, un monocolore DC, che però durò solamente un mese, segnando la fine della carriera politica dello statista democristiano. Si succedettero per il resto della legislatura governi instabili e mutevoli nella loro composizione sempre sostenuti dal centro e guidati da esponenti democristiani, che nel 1955 portarono al Quirinale il loro collega di partito Giovanni Gronchi, primo presidente del partito cattolico.

Il fallimento della legge truffa ebbe tuttavia conseguenze ancora più ampie che segnarono il quadro politico italiano per quasi tutto il resto del XX secolo. Il sistema maggioritario, introdotto due anni prima a livello locale, venne abolito anche per le elezioni amministrative, sia provinciali che comunali, a favore di un universale sistema proporzionale senza alcun correttivo.[11] La conseguente instabilità generalizzata, oltre a privare i cittadini della reale possibilità di scegliere i propri governi tramite l’alternanza tipica delle altre democrazie occidentali, portò due tratti tipici quel sistema politico che decenni dopo sarà chiamato la "Prima Repubblica": la partitocrazia, ossia quell’equivalenza se non preminenza delle cariche partitiche sulle cariche pubbliche tipica dei regimi socialisti dell'Europa orientale, e il consociativismo che portò, seppur in forme diverse, tutti i partiti dell’arco costituzionale a condividere il potere con conseguenze a carico della spesa pubblica in un quadro di democrazia bloccata.[12]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Le condizioni per l‘attivazione della legge elettorale del 1953 non si verificarono, lasciando le sue clausole inapplicate.
  2. ^ Presidente del Consiglio dei ministri
  3. ^ Accoglie nelle proprie liste piemontesi Alessandro Scotti del Partito dei Contadini d'Italia, che risulterà eletto e aderirà al gruppo misto.
  4. ^ Nel Blocco Nazionale nel 1948
  5. ^ Liste apparentate per ottenere il premio di maggioranza
  6. ^ a b c d e f g h i j Archivio Storico delle Elezioni – Camera del 7 giugno 1953, in Ministero dell'interno. URL consultato il 16 aprile 2013.
  7. ^ a b Lista presentata in tutte le circoscrizioni, ad eccezione del Trentino-Alto Adige, nella quale vi era una lista unica PCI-PSI
  8. ^ a b Lista presentata in tutte le circoscrizioni, ad eccezione del Lazio, nella quale vi era una lista unica PLI-PSDI-PRI, e della Calabria, nella quale vi era una lista unica PSDI-PRI
  9. ^ Lista presentata in tutte le circoscrizioni, ad eccezione del Lazio, nella quale vi era una lista unica PLI-PSDI-PRI
  10. ^ Ministero dell'Interno - Archivio storico delle Elezioni
  11. ^ “Crisi della politica e riforme istituzionali”, a cura di Giorgio Giraudi.
  12. ^ “Il sistema politico italiano: Origini, evoluzione e struttura”, di Luciano M. Fasano, Nicolò Addario.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Costituzione della Repubblica Italiana

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]