Celso Amerighi

Insegne dell'abate Celso Amerighi, in una pubblicazione dell'epoca

Celso Amerighi[1] (Siena, 18 maggio 1569Lecce, 1637) è stato un abate italiano.

Ha ricoperto la carica di Abate Generale della Congregazione benedettina dei Celestini, durante la prima metà del XVII secolo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlio secondogenito di Amerigo e Montanina Bandini Piccolomini iniziò i suoi studi a Roma sotto la tutela dell zio materno Francesco, arcivescovo di Siena, che lo introdusse negli ambienti della curia romana.

Al secolo Alessandro Romano, vestì l'abito dei celestini, assumendo il nome di Celso.

Sant'Eusebio all'Esquilino - Chiostro
Card. Scipione Borghese

Agli inizi del 1600 lo troviamo abate nel monastero di Sant'Eusebio all'Esquilino di Roma[2][3]. In questa sede, palestra dell'erudizione ecclesiastica dell'epoca, ebbe modo di stringere legami di amicizia con diversi uomini illustri, come Roberto Bellarmino e Scipione Borghese, nipote del futuro papa Paolo V.

Nel 1606 era procuratore a Roma per conto dei celestini. Nello stesso anno era già abate generale dell'ordine, come ricorda il motu proprio pontificio[4], pronunciato a conferma dei benefici e privilegi della congregazione.

In questo periodo, il suo impegno nella carica di abate generale non fu continuativo e si alternò con quello di procuratore dell'ordine a Roma. Nel suo lungo soggiorno romano divenne familiare del Papa Pio V[5] ed, in particolare, divenne assiduo frequentatore del Cardinale Roberto Bellarmino, che non a caso, nel 1606, con l'approvazione di Paolo V, era divenuto protettore e riformatore della congregazione dei Celestini. Protezione che si perpetuò fino alla sua morte, nel 1621[6].

Tra don Celso ed il cardinale si svilupparono profonde sinergie, che portarono ad una ristrutturazione territoriale dell'ordine. Fu decisa la limitazione dell'autonomia di alcuni insediamenti minori, l'unificazione di altri e la costituzione di nuovi monasteri, proseguendo l'espansione della congregazione, soprattutto nell'Italia meridionale.

L'opera dell'abate Celso si sviluppò in particolare nei territori campani, quelli lucani e in Puglia.

La riforma dell'ordine dei Celestini e la sua missione in Francia[modifica | modifica wikitesto]

Il risultato più importante ottenuto durante i ripetuti mandati fu la riunificazione, sotto la sua giurisdizione spirituale ed amministrativa, delle ramificazioni transalpine dell'ordine, da tempo allontanatesi, in una situazione di malcelata ribellione. Favorita, tra l'altro, dalla monarchia francese, che teneva ad avere un ordine monastico tutto francese. Tale riforma, voluta dal papa[7], era fortemente caldeggiata dal Bellarmino[8].

La riforma, tuttavia, non decollava ed anzi nei monasteri francesi fiorivano studi e dissertazioni filosofiche[7] che impensierirono non poco gli ambienti della curia romana, tenuto conto del clima e delle turbolenze religiose del tempo.

Nel 1613 venne eletto dal capitolo francese della congregazione monsignor Campigny come abate provinciale della congregazione transalpina dei celestini, il quale informò il Bellarmino della sua nomina.

Abbazia di Santo Spirito al Morrone

Questi era una vecchia conoscenza di don Celso, che lo aveva, in tempi non sospetti, incontrato a Roma, stigmatizzandone l'antagonismo[3]. Della sua nomina non diede notizia all'abate generale, segnando così la rottura dei rapporti con l'autorità centrale. Alcune riforme da lui promosse indussero la curia ad intervenire in modo più risoluto[9].

Nel 1618, il cardinale Bellarmino si recò nel quartier generale dei celestini[10] e lì solennemente, nell'Abbazia di Santo Spirito al Morrone, fece riconfermare il mandato a padre Celso Amerighi[11][12] ed ottenne con bolla papale anche il rinnovo per il triennio successivo, cioè dal 1621 al 1624[13], per suggellare la continuità del suo potere e l'irreversibilità del processo avviato.

Il Cardinale Bellarmino ottenne dal papa, per l'abate Celso, l'investitura di commissario pontificio e l'incarico di recarsi in Francia per effettuare una visita approfondita nei monasteri transalpini e verificare l'ortodossia della regola, suscitando il disappunto del Campigny[9], che si adoperò presso Luigi XIII per ottenere una ferma opposizione a questa iniziativa.
Questo passaggio delicato fu risolto dall'Amerighi, con l'aiuto del suo cardinale protettore ed il cardinale Scipione Borghese, che prepararono la missione con scrupolosa attenzione, investendo i massimi esponenti del clero transalpino, tra cui il nunzio apostolico, cardinale Guido Bentivoglio, che guadagnarono il favore del re francese e della reggente Maria de' Medici[14].

Card. Bentivoglio
Maria de'Medici
Luigi XIII

Infine l'abate generale partì per la Francia e vi soggiornò, complessivamente, per quasi due anni[9]. Appena giunto nell'ottobre del 1618, dopo i preliminari diplomatici di presentazione ai monarchi francesi, presiedette a Parigi un primo capitolo provinciale dei monaci transalpini[15], ai quali volle riunire anche quelli delle Fiandre. Nei mesi successivi, nella sua lunga visita presso la maggior parte dei monasteri ribelli, riuscì a sanare tutte le dispute e riportò nell'alveo delle regole celestine tutti i monaci dissidenti, scongiurando la temuta secessione dell'abate Campigny.

A suggello di tali risultati, celebrò un secondo capitolo, nella capitale francese, nel 1620[16], dove, di fatto, se pur in modo non del tutto indolore, fu ratificata la riconciliazione dei celestini, che tornarono nuovamente sotto la giurisdizione dell'unico abate generale dell'ordine. Unica concessione, del tutto formale, fu l'istituzione di un nome sussidiario. La comunità dei monaci francesi assunse, così, il nome di San Mauro[7]. Tale successo[17] fu ratificato dal commiato ricevuto a corte da Luigi XIII e dalla reggente che, ricevendolo dopo la missione, avallarono il suo operato, così come era nei voleri del Bellarmino e del segretario di Stato pontificio Scipione Borghese[7].

Il nuovo papa Gregorio XV promulgò con bolla del 17 maggio 1621 la creazione della Congregazione di San Mauro, per i monaci celestini d'oltralpe, che avrebbe dovuto richiamarsi alla regola della Congregazione cassinese e della Congregazione dei Santi Vitone e Idulfo. Al suo vertice sarebbe stato istituito un vicario generale per la nazione francese, da eleggere periodicamente, secondo gli usi monastici.[18]

«... Congregationem sancti Mauri Gallicanam Parisiensem nuncupandam, ad istar Congregationis montis Cassini, seu sanctorum Vitonis et Hidulphi, per unum vicarium generalem natione Gallum, seu ex loco temporali dominio dicti Ludovici regis subiecto oriundum, a capitulo generali eiusdem Congregationis, ut infra erigendae, singulo quoque anno, vel biennio, aut triennio regendam et gubernandam ...»

I rapporti con Roberto Bellarmino[modifica | modifica wikitesto]

Don Celso ebbe con il cardinale protettore, una frequentazione intensa. Si conobbero nell'abbazia di Sant'Eusebio all'Esquilino, ma dopo il 1612, per questioni religiose e problematiche riferite alla congregazione dei Celestini, si incontrarono quasi giornalmente. L'abate divenne così domestico e familiare del cardinale[19] e questo rapporto durò per nove anni, fino alla morte del Bellarmino[20].

San Roberto Bellarmino

Nella prima causa[20] di canonizzazione del cardinale Bellarmino, la sua testimonianza, avvenuta nel 1622, lunga e particolareggiata, poneva in risalto l'eroicità, la castità. la fortitudine, l'umiltà e la carità, nonché varie predizioni e presunte guarigioni[21].
Egli stesso gravemente infermo, sul punto di ricevere l'olio santo e "stimato come vicinissimo a morte", riferì che il Bellarmino gli segnò con la croce la fronte e pronunciando delle parole, da lui non comprese, lo invitò, poi, a "stare allegramente, perché non morrebbe per quella infermità, perché Dio Nostro Signore lo voleva guarire". Subito dopo, si riprese con immediatezza, fino a completa guarigione[22]

Raccolta di deposizioni per la canonizzazione del Bellarmino

Tuttavia un ostacolo di natura tecnica, proveniente dalla legislazione generale sulle beatificazioni, emanata da Urbano VIII, comportò una dilazione, che non permise l'immediata canonizzazione del cardinale.

In tempi successivi, il padre Don Bernardo Paglioni, procuratore generale dei monaci Celestini, rintracciò negli archivi la testimonianza di don Celso, che fu presentata, a più riprese, ai papi Innocenzo X, Alessandro VII e Clemente XI[20], mettendo in evidenza alcuni passaggi:

«Non ho mai trovato persona più mansueta, più umile, più pia di lui, ed in queste virtù io tengo per fermo, che nel suo tempo ne sia stato nel Mondo unico specchio ... Io ho conosciuto il detto Illṁo Sig. Cardinale Bellarmini persona di pura Fede, di soda Speranza e di una indicibile ardentissima Carità ammirando il lui verificate le parole di San Paolo: Carithas omnia vincit, omnia credit, omnia sustinet, omnia sperat...»

La sua deposizione fa parte di un numero di testimonianze raccolte dal padre gesuita Antonio Maria Bonucci nel XVII secolo. Testimonianze che poi costituirono la base documentaria dei successivi processi di canonizzazione, fino a quello risolutivo tenuto nel 1930 da Pio XI.

Dopo la morte del Bellarmino, Celso continuò il suo mandato come Abate generale fino al 1624. Dopodiché rimase ancora a Roma come abate di Sant'Eusebio e procuratore generale della congregazione fino alla fine degli anni venti.

Gli ultimi anni - Nelle province del Regno di Napoli[modifica | modifica wikitesto]

Altare della Santa Croce. Lecce Alla base le insegne dell'abate Celso

Negli anni trenta del XVII secolo, abbandonando la vita pubblica, si trasferì nel Regno di Napoli e precisamente nelle province pugliesi e lucane, dove durante il suo mandato di abate generale, furono numerosi gli insediamenti monastici realizzati.
Dopo la soppressione della congregazione, la maggior parte dei documenti celestini, sebbene sia in atto un lento recupero, sono andati dispersi. Rimane testimonianza, di questa attività di don Celso, solo il recupero della chiesa di Santa Maria in Betlemme, detta, della Sanità. L'insediamento ubicato a Mesagne, era in stato di abbandono e Don Celso nel 1618 con assenso pontificio, la concesse ai padri celestini che edificarono un monastero ad essa adiacente[23]. La chiesa fu riedificata nel 1637[24] e rappresenta un monumento barocco, in stile rococò pugliese, tra i più ricchi del territorio[25].

Per un certo periodo, don Celso, è stato presente anche a Montescaglioso, ma non è chiaro in quale veste, in quanto l'abbazia di San Michele Arcangelo, ivi ubicata, era sotto la giurisdizione dei benedettini, ed egli, pur essendo un benedettino, apparteneva alla congregazione dei celestini. Rimangono comunque, a testimonianza del suo passaggio, alcune decorazioni rappresentanti i suoi simboli araldici.

Nel periodo passato nelle province del Regno di Napoli, si occupò principalmente della penisola salentina dove era abate e cappellano regio della Basilica di Santa Croce e dell'annesso Palazzo dei Celestini di Lecce[26][27]. Non ci sono notizie di quella che fu la sua attività amministrativa. Fu testimone della fioritura artistica della celebrata basilica, gioiello del barocco Leccese, e fece erigere dallo scultore Cesare Penna il pregevole Altare della Santa Croce[26][28].

Don Celso, morì, presumibilmente a Lecce intorno al 1637, all'età di 68 anni.

La congregazione dei celestini, con l'avvento di Napoleone, fu soppressa, prima, nel 1807, nel Regno di Napoli e, poi, nel 1810, nel resto di Italia. Non fu più ricostituita.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ ricordato anche come Celso Americo Romano
  2. ^ Massimo Carlo Giannini, Religione, conflittualità e cultura. Il clero regolare nell'Europa d'antico regime, Roma, Bulzoni, 2006, p. 360.
  3. ^ a b Libreria Colacci, I Celestini in Abruzzo: figure, luoghi, influssi religiosi, culturali e sociali: atti del Convegno: L'Aquila, 19-20 maggio 1995. Pagg. 91, 121 . Fonte
  4. ^ L. TOMASSETTI et Collegii adlecti Romae virorum s. theologiae et ss. canonum peritorum, Bullarium Romanum (Tomi XXIV), Augustae Taurinorum: Seb. Franco, H. Fory et Henrico Dalmazzo editoribus: [poi] A. Vecco et sociis, 1857-1872. Tomo XI, parte II, Bolla XXXVII, pag. 310 e seguenti . Fonte Archiviato il 22 ottobre 2014 in Internet Archive., parte III, Bolla XXXVII, pag.313-314 . Fonte Archiviato il 12 aprile 2016 in Internet Archive.. Origine Archiviato il 25 agosto 2014 in Internet Archive.
  5. ^ Cosimo Damiano Fonseca, L'Esperienza monastica benedettina e la Puglia: atti del convegno di studi organizzato in occasione del XV centenario della nascita di san Benedetto (Bari, Noci, Lecce, Picciano, 6-10 ottobre 1980). Pag. 226 - Congedo Ed. - Galatina (Lecce) 1984
  6. ^ Galeota, Gustavo. Il Cardinale Roberto Bellarmino protettore e riformatore della congregazione dei Celestini (1606-1621) I celestini in Abruzzo: figure, luoghi, influssi religiosi culturali e sociali: atti del Convegno: L'Aquila, 19-20 maggio 1995, pp. 83-174
  7. ^ a b c d Luigi de Steffani, La Nunziatura di Francia del Cardinale Guido Bentivoglio, lettere a Scipione Borghese, Cardinal nipote e segretario di Stato di Paolo V. Tratte dagli originali. Pag. 52. Ed. Felice Le Monnier. Firenze -1867 . Fonte
  8. ^ Ugo Paoli, Fonti per la storia della congregazione celestina nell'Archivio segreto vaticano. Badia di Santa Maria del Monte. Pag. 66. Cesena - 2004 . Fonte
  9. ^ a b c Libreria Colacci. Op. cit. Pagg. 108,115,122 . Fonte
  10. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 100 . Fonte
  11. ^ Istituto grafico tiberino, Rivista di storia della Chiesa in Italia.Pag. 269 - Herder 1997 . Fonte
  12. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 95 . Fonte
  13. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 100 . Fonte
  14. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 105, 119 . Fonte
  15. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 97 . Fonte
  16. ^ Libreria Colacci. Op. cit. Pag. 94 . Fonte
  17. ^ Daniello Bartoli, Delle opere del padre Daniello Bartoli della Compagnia di Gesù: Della vita del cardinal Bellarmino libri quattro, Volume 22. Pag. 152 - Tipografia di G. Marietti - Torino - 1836 . Fonte
  18. ^ L. TOMASSETTI et Collegii adlecti Romae virorum s. theologiae et ss. canonum peritorum, Bullarium Romanum (Tomi XXIV), Augustae Taurinorum: Seb. Franco, H. Fory et Henrico Dalmazzo editoribus: [poi] A. Vecco et sociis, 1857-1872 (pagg 533-535) Origine Archiviato il 24 settembre 2015 in Internet Archive.
  19. ^ Daniello Bartoli, Op. cit., Pag. 44 . Fonte
  20. ^ a b c Catholic Church. Congregatio Sacrorum Rituum, Voto dell'Em̃o e Rm̃o Signor Cardinale Decio Azzolini... nella causa Romana di beatificazione, e canonizzazione del ven. servo di Dio Roberto Cardinale Bellarmino, ecc. Pag. 37 - Stamperia della reverenda camera apostolica. Roma - 1749 . Fonte
  21. ^ Anton Maria Bonucci, Epistolae ad Innocentium X., Alex. VII. et Clement. XI. pro causa beatificationis Roberti Card. Bellarmini. Pagg. 127-131 - Stamperia della reverenda camera apostolica. Roma - 1713 . Fonte
  22. ^ Giacomo Fuligatti ((S.I.),Vita del cardinale Roberto Bellarmino della Compagnia di Giesù. Pag. 319-320. - Appresso l'Herede di Bartolomeo Zannetti, Roma - 1624 . Fonte
  23. ^ Serafino Montorio, Zodiaco di Maria, ovvero le dodici provincie del Regno di Napoli, come tanti segni, illustrate da questo Sole, etc.Pag. 479. Ed. Severini. Napoli - 1715 . Fonte
  24. ^ Barocco Pugliese, Santa Maria in Bethlehm - Mesagne . Fonte
  25. ^ italiavirtualtour, Chiesa Santa Maria in Betlemme - sec. XVIII (sito on line). Fonte
  26. ^ a b Antonio Cassiano, Vincenzo Cazzato, Santa Croce a Lecce: Storia E Restauri. Pag, 36. Ed. Congedo Galatina - 1997 . Fonte
  27. ^ Michele Paone, Lecce: Elegia del barocco. Pag. 153. Ed.Congedo. Galatina - 1998 . Fonte
  28. ^ Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, di D. Giulio Cesare Infantino,... ove si tratta delle vere origini e fondationi di tutte le chiese, monasterii, cappelle, spedali et altri luoghi sacri della città di Lecce...Pagg, 121-122. P. Micheli, Lecce - 1634 . Art.correlato

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Placido Padiglia, Farnese, Convito sacro discorsi del santissimo sacramento dell'eucharistia nei quali a pieno si tratta dell'essenza, eccellenza, & effetti suoi... Dal p.d. Placido Padiglia theologo, e predicatore dell'ordine di s. Benedetto della congregazione dei Celestini - Gio. Donato, e Bernardino Giunti, e compagni. Firenze - 1615
  • Massimo Carlo Giannini, Religione, conflittualità e cultura: il clero regolare nell'Europa d'antico regime. Bulzoni Ed. - Roma 2006
  • Libreria Colacci, I Celestini in Abruzzo: figure, luoghi, influssi religiosi, culturali e sociali: atti del Convegno: L'Aquila, 19-20 maggio 1995
  • L. TOMASSETTI et Collegii adlecti Romae virorum s. theologiae et ss. canonum peritorum, Bullarium Romanum (Tomi XXIV), Augustae Taurinorum: Seb. Franco, H. Fory et Henrico Dalmazzo editoribus: [poi] A. Vecco et sociis, 1857-1872
  • Cosimo Damiano Fonseca, L'Esperienza monastica benedettina e la Puglia: atti del convegno di studi organizzato in occasione del XV centenario della nascita di san Benedetto (Bari, Noci, Lecce, Picciano, 6-10 ottobre 1980). Congedo Ed. - Galatina (Lecce) 1984
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  • Anton Maria Bonucci, Epistolae ad Innocentium X., Alex. VII. et Clement. XI. pro causa beatificationis Roberti Card. Bellarmini. Pagg. Stamperia della reverenda camera apostolica. Roma - 1713
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  • Serafino Montorio, Zodiaco di Maria, ovvero le dodici provincie del Regno di Napoli, come tanti segni, illustrate da questo Sole, ecc. Ed. Severini. Napoli - 1715
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  • Antonio Cassiano, Vincenzo Cazzato, Santa Croce a Lecce: Storia E Restauri. Ed. Congedo Galatina - 1997
  • Michele Paone, Lecce: Elegia del barocco. Ed.Congedo. Galtina - 1998
  • Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, di D. Giulio Cesare Infantino,... ove si tratta delle vere origini e fondationi di tutte le chiese, monasterii, cappelle, spedali et altri luoghi sacri della città di Lecce... P. Micheli, Lecce - 1634

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]