Calendario berbero

Le stagioni in Marocco: i monti dell'Atlante in gennaio e in aprile.
(BER)

«Ttettesen iyaren, ttlalan-d
Iseggasen ttlalan-d ttmettan
U yettdimi day Rebbi
»

(IT)

«I mesi si coricano e rinascono
Gli anni nascono e muoiono
Dio solo è eterno»

Per calendario berbero si intende il calendario agrario tradizionalmente in uso nelle regioni del Maghreb. Questo calendario è noto in arabo anche con l'epiteto di ﻓﻼﺣﻲ, fellāḥī ("contadino") o ﻋﺠﻤﻲ, cajamī ("non arabo"). Esso viene impiegato per regolare i lavori agricoli stagionali, al posto del calendario islamico che, essendo di tipo lunare senza alcun legame coi cicli delle stagioni dell'anno, è utile per calcolare le festività religiose ma si presta male ad un uso in agricoltura.[2]

I calendari più antichi[modifica | modifica wikitesto]

Sulla divisione del tempo presso i berberi dell'antichità ben poco è dato di sapere. Alcuni elementi di un calendario preislamico e quasi certamente anche preromano emergono da alcuni scritti medievali studiati da N. van den Boogert. Alcune coincidenze con il calendario tradizionale dei Tuareg fanno pensare che effettivamente nell'antichità esistesse, con una certa diffusione, un computo del tempo "berbero", organizzato su basi autoctone (van den Boogert 2002: 143-144, 148-149).

Tab. 1 - I mesi berberi
ricavati da opere medievali

  (van den Boogert 2002)
  Nome del mese "Significato"
1 tayyuret tezwaret Piccola luna 1°
2 tayyuret teggwerat Piccola luna 2°
3 yardut ?
4 sinwa ?
5 tasra tezwaret Il branco 1°
6 tasra teggwerat Il branco 2°
7 awdayeɣet yezwaren Il piccolo dell'antilope 1°
8 awdayeɣet yeggweran Il piccolo dell'antilope 2°
9 awzimet yezwaren Il piccolo di gazzella 1°
10 awzimet yeggweran Il piccolo di gazzella 2°
11 ayssi ?
12 nim ?

Non disponendo di elementi sufficienti a ricostruire integralmente questo calendario originario, si possono solo rilevare alcune caratteristiche interessanti, per esempio il fatto che parecchi nomi di mesi compaiono a coppie (nel mondo tuareg anche a gruppi di tre), il che fa pensare a una divisione del tempo diversa da quella odierna in mesi di circa 30 giorni (van den Boogert 2002: 141-146).

Qualche ulteriore informazione, difficile però da precisare e da mettere in relazione con la situazione del resto del Nordafrica, si può ricavare da quanto si sa del computo del tempo presso i Guanci delle Isole Canarie. Secondo un manoscritto del XVII secolo di Tomás Marín de Cubas, essi

«computavano il loro anno, chiamato Acano, per lunazioni di 29 giorni (soli) a partire dalla luna nuova. Esso cominciava in estate, quando il sole entra nel Cancro il 21 giugno: alla prima congiunzione (cioè alla prima luna nuova dopo il solstizio d'estate) facevano nove giorni di festa per il raccolto[3]»

Lo stesso manoscritto rileva (in modo poco chiaro)[4] che di questi eventi calendariali venivano fatte registrazioni grafico-pittoriche (tara) su diversi supporti, e su questa base alcuni studiosi moderni hanno voluto ritrovare descrizioni di eventi astronomici legati ai cicli annuali in una serie di pitture geometriche trovate in alcune caverne dell'isola di Gran Canaria, ma i risultati di questi studi sono per ora altamente ipotetici[5].

Si possiede anche il nome di un solo mese nella lingua autoctona, tramandato come Beñesmet o Begnesmet. Sembra fosse il secondo mese dell'anno, corrispondente al mese di agosto[6]. Tale nome, qualora fosse composto da qualcosa come *wen "quello di" + (e)smet (o (e)zmet?), potrebbe trovare, nella lista dei mesi berberi medievali, una corrispondenza con il nono e il decimo, mese, awzimet (propriamente aw "figlio di" + zimet "gazzella"). Ma i dati sono troppo scarsi per poter approfondire questa ipotesi[7].

Il calendario attuale (giuliano)[modifica | modifica wikitesto]

Il calendario agricolo berbero ancor oggi in uso deriva quasi certamente dal calendario giuliano, introdotto nell'Africa romana all'epoca della dominazione di Roma, come dimostrano diverse circostanze:

  • i nomi dei mesi di questo calendario (tanto in berbero che in arabo magrebino), derivano evidentemente dai corrispondenti nomi latini;
  • l'inizio dell'anno (il primo giorno di yennayer) corrisponde al 14 gennaio (anche se alcune fonti considerano il 12[8]) del calendario gregoriano, il che coincide con lo scarto di 13 giorni che si è prodotto nei secoli tra date astronomiche e calendario giuliano[9];
  • la lunghezza dell'anno e dei singoli mesi è la stessa del calendario giuliano: tre anni di 365 giorni seguiti da un anno bisestile di 366, senza eccezioni (e mesi di 30 e 31 giorni, con il secondo di 28). La sola, leggera, divergenza sta nel fatto che il giorno in più negli anni bisestili non viene di solito aggiunto alla fine di febbraio ma alla fine dell'anno[10].

Nonostante ciò, J. Servier ha espresso riserve sul fatto che questo calendario rappresenti un prolungamento senza soluzione di continuità del calendario giuliano di epoca latina, e ha ipotizzato, senza prove, che esso provenisse da un calendario copto portato in Nordafrica dagli Arabi[11]. Si tratta però di un'ipotesi senza fondamento. A parte il fatto che la struttura del calendario copto è estremamente diversa da quella del calendario berbero, le premesse da cui egli è partito (non si sarebbero mantenute tracce delle antiche denominazioni delle calende, idi e none del calendario romano) sono erronee: infatti, El Qabisi, un giureconsulto islamico di Qayrawan dell'XI secolo, condannava l'usanza di festeggiare nelle ricorrenze dei "pagani", e citava, tra gli usi tradizionali del Nordafrica, quello di celebrare le Calende di gennaio (Qalandas nel testo) (Idris 1954)[12].

I mesi[modifica | modifica wikitesto]

Tab. 2 - I nomi dei mesi in varie zone del Maghreb (in vari dialetti berberi e arabi)
Month Rif-Tamazight (Nord-Centro Marocco) Chleuh (Sud Marocco) Cabilo (Algeria) Berbero di Jerba (Tunisia) Arabo tunisino Arabo libico
Gennaio Yennayer Innayr (Ye)nnayer Yennár Yenna(ye)r Yannayer
Febbraio Yebrayer Xubrayr Furar Furár Fura(ye)r Febrayer
Marzo Mares Mars Meɣres Mars Marsu Mars
Aprile Yebrir Ibrir (Ye)brir Ibrír Abril Ibril
Maggio May Mayyuh Maggu Mayu Mayu Mayu
Giugno Yunyu Yunyu Yunyu Yunyu Yunyu Yunyu
Luglio Yulyuz Yulyuz Yulyu(z) Yulyu Yulyu Yulyu
Agosto Ɣuct Ɣuct Ɣuct Ɣuct Awussu Aghustus
Settembre Cutembir Cutanbir Ctember Ctámber Shtamber September
Ottobre Ktuber kṭuber (K)tuber Ktúber Uktuber Uktuber
Novembre Nwambir Duwanbir Nu(ne)mber Numbír Nufember Nuvamber
Dicembre Dujembir Dujanbir Bu- (Du-)jember Dujámber Dejember December

Le "Porte dell'Anno"[modifica | modifica wikitesto]

Al di là dei singoli mesi, all'interno del calendario agricolo tradizionale si trovano ulteriori ripartizioni, per "stagioni" o per "periodi forti", contrassegnati da particolari ricorrenze e celebrazioni. Per i momenti cardine dell'anno J. Servier utilizza il nome suggestivo di "Porte dell'anno" (cabilo tibbura useggwas, singolare tabburt useggwas)[13], anche se questo termine sembra di norma usato, al singolare o al plurale, per indicare in particolare il periodo del solstizio d'inverno[14] e l'inizio dell'anno "agricolo"[15].

Delle quattro stagioni non tutte hanno conservato una denominazione berbera: i nomi della primavera e dell'estate sono usati quasi dovunque, più raramente l'inverno e, tra i berberi del nord, solo nel Gebel Nefusa, in Libia, permane anche il nome berbero dell'autunno.

  • Primavera tafsut (ar. er-rbic) - Inizio il 15 furar (= 28 febbraio)
  • Estate anebdu (ar. es-sif) - Inizio 17 mayu (= 30 maggio)
  • Autunno amwal / aməwan[16] (ar. le-xrif) - Inizio 17 ghusht (= 30 agosto)
  • Inverno tagrest (ar. esh-shita') - Inizio 16 numbír (= 29 novembre)

Un elemento interessante è la contrapposizione esistente tra due periodi di 40 giorni ciascuno, quello considerato di maggiore freddo nell'inverno ("Le notti", llyali) e quello di maggior calore in estate ("La canicola", ssmaym, awussu)[17].

Llyali[modifica | modifica wikitesto]

Una pagina di calendario tunisino, che mostra la corrispondenza del 1 Yennayer 'ajmi (in rosso in basso) con il 14 gennaio del calendario gregoriano. La scritta in fondo segnala che è capodanno ajmi e che cominciano al-lyali al-sud ("le notti nere")

Il periodo di maggior freddo è costituito da 20 "notti bianche" (berbero lyali timellalin, arabo al-lyali al-biḍ), dal 12 al 31 dujamber (25 dicembre - 13 gennaio gregoriano), e 20 "notti nere" (berbero lyali tiberkanin, arabo al-lyali al-sud), con inizio il primo giorno di yennayer, corrispondente al 14 gennaio gregoriano, e fino al 20 dello stesso mese[18]. In alcune regioni, il periodo di venti giorni precedenti l'inizio di yennayer era caratterizzato da un digiuno (rispettato soprattutto dalle donne anziane)[19].

Yennayer[modifica | modifica wikitesto]

Il primo giorno dell'anno viene celebrato in modi diversi nelle diverse regioni del Maghreb. Perlopiù è tradizionale un pasto con cibi particolari, diversi da regione a regione (per esempio un cuscus alle sette verdure), ma in molte regioni è anche previsto il sacrificio di un animale (di solito un pollo).[20]

Un tratto caratteristico di questa festività, che spesso si confonde con quella islamica dell'ashura (vedasi più avanti), è la presenza, in molte regioni, di invocazioni rituali con formule tipo bennayu, babiyyanu, bu-ini, ecc., tutte espressioni che, secondo molti studiosi, potrebbero rappresentare la corruzione di antichi auguri di bonus annus/bonum annum[21].

Un aspetto curioso delle celebrazioni di Yennayer riguarda la data del capodanno. Benché la data di questa ricorrenza fosse un tempo dovunque il 14 gennaio[22], per un probabile errore introdotto da alcune associazioni culturali berbere molto attive nel restaurare usanze in via di sparizione, oggi in gran parte dell'Algeria è opinione comune che la data del "capodanno berbero" vada considerata il 12 e non il 14 gennaio. In precedenza la celebrazione in corrispondenza del 12, due giorni prima di quella tradizionale, era stata esplicitamente segnalata nella città di Orano[23].

Lḥusum/imbarken[modifica | modifica wikitesto]

Prima che finisca del tutto il freddo e cominci in pieno la primavera, vi è un periodo dell'anno molto temuto, di dieci giorni a cavallo tra i mesi di furar e mars (gli ultimi 5 di furar e i primi 5 di mars). È un periodo caratterizzato da forti venti e in cui l'uomo dovrebbe cessare molte attività (agricole e artigianali), non dovrebbe sposarsi né uscire la notte, e in generale dovrebbe lasciare campo libero a delle potenze misteriose, che in quel periodo sono particolarmente attive e celebrano i propri matrimoni (queste creature a Gerba vengono chiamate, per tabù linguistico, imbarken, cioè "i benedetti" e danno il nome a tutto questo periodo)[24].

Ssmaym/Awussu[modifica | modifica wikitesto]

Come il freddo intenso dell'inverno, anche la canicola dura 40 giorni,[25] dal 12 yulyuz (equivalente al 25 luglio) al 20 shutanbir (equivalente al 2 settembre). Il momento centrale del periodo è il primo di ghusht ("agosto") (anche il nome di awussu, diffuso in Tunisia e Libia, sembra risalire al latino augustus) In questa data vengono compiuti particolari riti, di evidente tradizione preislamica ma anche precristiana. Si tratta in particolare di falò estivi (che peraltro in molte località si svolgono intorno al solstizio d'estate: un'usanza già condannata come pagana da sant'Agostino[26]), oppure di riti d'acqua, come quelli, diffusi nelle località costiere della Tunisia e della Tripolitania che prevedono, per tre notti, di tuffarsi nelle onde del mare allo scopo di preservare la salute. In queste cerimonie sono solite entrare in acqua famiglie intere, portando con sé anche animali domestici. Anche se il rito è stato rivisitato in chiave islamica (quelle notti l'acqua del pozzo di Zemzem, a La Mecca, traboccherebbe, e nel mare vi sarebbero delle benefiche ondate di acqua dolce), molti chiamano questa festa "le notti dell'errore". Era infatti usanza che, per procurare fertilità e abbondanza, uomini e donne si accoppiassero tra i flutti.[27]

Iweǧǧiben[modifica | modifica wikitesto]

Un altro periodo molto importante per il calendario agrario è quello dell'aratura. La data che si considera fondamentale a questo proposito è il 17 di (k)tuber, in cui si può cominciare ad arare i campi.[28] Questo periodo in berbero viene chiamato aweǧǧeb o iweǧǧiben da un verbo che significa "essere opportuno, necessario" ; in arabo viene chiamato ḥertadem, vale a dire "l'aratura di Adamo", perché in quella data il nostro comune progenitore avrebbe cominciato i suoi lavori agricoli.[29]}

Interferenze col calendario islamico[modifica | modifica wikitesto]

A seguito dei contatti protratti per secoli con la cultura arabo-islamica, le manifestazioni che erano legate al calendario giuliano si sono a volte integrate nel calendario islamico, portando alla soppressione di alcune festività tradizionali od alla creazione di doppioni.

L'esempio più evidente è quello delle feste del nuovo anno, che in molti casi sono state trasferite al primo mese islamico, vale a dire muḥarram, e più precisamente alla festività di cashura, il 10 di quel mese. Una festività che nel mondo islamico ha un importante significato (luttuoso) nel mondo sciita, ma è praticamente ignorata nel mondo sunnita. Molti studi hanno messo in luce i rapporti tra il festeggiamento gioioso di questa festa in ambito nordafricano e antichi festeggiamenti del capodanno[30].

Tab. 3 - Corrispondenze tra i nomi arabi e berberi dei mesi islamici
  Nome arabo Nome berbero
1 muḥàrram  babiyannu (Ouargla)
 cashura'(Jerba)
2 sàfar u deffer cashura
3 rabìc al-àwwal elmilud
tirwayin (Marocco centrale)
4 rabìc al-thàni u deffer elmilud
u deffer n tirwayin (Marocco centrale)
5 jumàda al-ùla melghes (Jerba)
6 jumàda al-thania asgenfu n twessarin "il riposo (l'attesa) delle vecchie" (Ouargla)
sh-shaher n Fadma (Jerba)
7 ràjab twessarin "le vecchie"
8 shacban asgenfu n remdan "il riposo (l'attesa) di Ramadan" (Ouargla)
9 ramadàn sh-shaher n uzum' "il mese del digiuno" (Jerba)
10 shawwàl tfaska tameshkunt "la festa piccola" (Jerba)
11 dhu l-qàcda u jar-asneth "quello tra le due (feste)" (Jerba)
12 dhu l-hìjja tfaska tameqqart "la festa grande" (Jerba)

Il calendario tuareg[modifica | modifica wikitesto]

La costellazione della "cammella" (Orsa Maggiore più Arturo), la cui comparsa nel cielo segna l'inizio dell'anno astronomico tuareg.
Lo stesso argomento in dettaglio: Calendario tuareg.

Anche i Tuareg condividono molti elementi con i berberi del nord per quanto riguarda la divisione del tempo dell'anno. Anch'essi fanno riferimento a due cicli diversi, uno solare affine al calendario giuliano e uno basato sulla luna e di uso religioso.

Le differenze climatiche, biologiche e socio-culturali del deserto rispetto ai territori più temperati fanno sì che vi siano comunque delle differenze soprattutto nella divisione delle stagioni.[31]

Il computo degli anni[modifica | modifica wikitesto]

Il calendario berbero tradizionale non era legato ad un'era rispetto alla quale si contassero gli anni. Là dove si conservano modi tradizionali di calcolare gli anni (la civiltà tuareg), gli anni non vengono espressi con dei numeri ma hanno ciascuno un nome che lo caratterizza, a partire da particolari avvenimenti verificatisi in esso, come la morte di qualche personaggio importante, una battaglia sanguinosa o decisiva, ecc., ma anche eventi naturali: abbondanza di pascoli in una determinata regione, carestie, pestilenze o invasioni di cavallette.[32]

In qualche caso, gli storici hanno tramandato la memoria di alcuni anni dotati di un "nome" nei secoli passati in altre parti del Nordafrica. Per esempio, Abu Zakariyya' al-Warglani nella sua Cronaca ricorda che il 449 dell'egira (1057-1058) fu noto, nel mondo ibadita come "anno della visita" per via di una nutrita ambasceria fatta quell'anno da Tripolitani alla comunità di Ouargla; analogamente, nell'anno 461 (1068-1069) "morì Khalifa ibn Zâra e fu abbondante la pianta primaverile detta îjâl"[33].

A partire dagli anni Ottanta, però, in seguito a un'iniziativa di Ammar Neggadi, un berbero dell'Aurès che aveva fatto parte dell'Académie Berbère di Parigi e aveva poi fondato Tediut n'Aghrif Amazigh (Unione del Popolo Amazigh -UPA-)[34], si è diffuso nel mondo associativo berbero l'uso di calcolare gli anni partendo dal 950 a.C., data approssimativa di ascesa al potere del primo faraone libico in Egitto: la cosiddetta Era Sheshonq (per cui, ad esempio, l'anno 2007 del calendario gregoriano corrisponde all'anno 2957 del calendario berbero). Col passare del tempo questa che poteva sembrare un'innovazione eccentrica è stata adottata con convinzione da molti militanti della cultura berbera[35] e fa oramai parte del patrimonio identitario di questo popolo, integrata nell'insieme di usanze tradizionali relative al calendario nordafricano.

Foto scattata il 31 dicembre 2007 presso Tafraout (Marocco), con la scritta in tifinagh aseggas ameggaz ("buon anno") e in francese bonne année 2959 ("buon anno 2959" = 2009) con l'errore di 1 anno.

Neologismi e false tradizioni[modifica | modifica wikitesto]

Un aspetto interessante dal punto di vista antropologico, per quello che riguarda la nascita delle tradizioni, è il fiorire di innovazioni volte a "restaurare" pretese tradizioni andate perdute. È un fenomeno comprensibile, nel contesto di riscoperta di una identità a lungo negata e occultata, con l'ansia di reimpossessarsi di un patrimonio perduto o in via di sparizione[36]. In particolare è nell'ambito del calendario, sentito come particolarmente importante (ad esso è connesso il controllo del tempo), che si registrano numerose creazioni, che a volte guadagnano consensi e finiscono per essere adottate come autentico patrimonio tradizionale.[37]

I nomi dei mesi[modifica | modifica wikitesto]

Dal momento che non si conoscono i nomi dei mesi di epoca preromana (i nomi riportati nella tabella 1 sono noti solo agli studiosi), alcuni hanno cercato di ricostruire nomi "autenticamente berberi" dei vari mesi dell'anno[38]. Partendo dal mese più conosciuto, il primo (yennayer), vi è chi, ignorando l'evidenza dell'origine latina del nome[39], ha immaginato che esso fosse parola berbera composta da yan (il numerale "uno" in vari dialetti berberi) + (a)yur, "luna/mese", e su questa base ha ricostruito tutta la serie dei nomi di mesi: 1. yenyur o yennayur, 2. sinyur, 3. krayur, 4. kuzyur, 5. semyur, 6. sedyur, 7. sayur, 8. tamyur, 9. tzayur 10. mrayur, 11. yamrayur 12. megyur[40].

Tab. 4 - La settimana "berbera"
giorno Académie Berbère Composti con numerali
lunedì aram aynas
martedì arim asinas
mercoledì ahad akras
giovedì amhad akwas
venerdì sem asemwas
sabato sed asedyas
domenica acer asamas

I giorni della settimana[modifica | modifica wikitesto]

Anche per i giorni della settimana si ignorano antichi nomi autoctoni, e si è cercato di "rimediare" con creazioni nuove. Attualmente ne sono in circolazione due serie. La prima e più diffusa (anche se di origine oscura) risale probabilmente agli ambienti dell'Académie Berbère di Parigi (fine anni '60)[41], mentre la seconda serie non fa che ripetere con i giorni della settimana il procedimento impiegato per i mesi, con la creazione di un suffisso -as ("giorno") invece di -yur[42]. Da notarsi che la prima serie, che inizia col lunedì[43] e fa riferimento alle denominazioni "europee", non si presta ad equivoci, mentre la seconda, che fa riferimento a un ordine numerico dei giorni (iniziando anch'esso dal lunedì), si presta a interferenze con il sistema vigente in arabo, che ha però come primo giorno la domenica, col risultato che a volte i nomi vengono impiegati per designare giorni diversi[44]. Nella sostanziale "anarchia" in fatto di denominazione dei giorni della settimana, non mancano altri ordini (e altre denominazioni), per esempio a partire dal sabato[45].

Giorni e nomi di persona[modifica | modifica wikitesto]

Spesso, i calendari e gli almanacchi pubblicati da militanti e associazioni culturali berbere contengono, a imitazione dei calendari occidentali, l'associazione di un nome proprio di persona ad ogni giorno dell'anno. Questo risponde anche all'esigenza di riappropriarsi dei prenomi tradizionali, che le misure di arabizzazione in Algeria e Marocco tendono a sostituire con un'onomastica rigidamente araba[46]. Anche in questo campo, emozionalmente molto sentito[47], non è raro trovare liste di nomi improvvisate con nomi raccolti alla rinfusa, esito di letture casuali e a volte anche di vere e proprie sviste o refusi tipografici.

Tre calendari berberi. Si può osservare che i nomi dei giorni della settimana sono diversi tra quello in basso a destra e quello a sinistra. Anche i nomi dei mesi sono quelli "tradizionali" a destra e "inventati" a sinistra. Tutti si rifanno all' "era Sheshonq" (gregoriano + 950).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Delheure (1988, p. 128-129).
  2. ^ Su ciò si veda tra l'altro: Encyclopédie Berbère 11, p. 1713, Servier (1985: 365 ss.), Genevois (1975: 3 ss.).
  3. ^ Citazione proveniente da Barrios García (1997: 53), in spagnolo; testo inglese in Barrios García (1995: 4).
  4. ^ Barrios García (1997: 53) parla di una "confuse redaction of Marín".
  5. ^ (Si veda J. Barrios García 1995 e 1997)
  6. ^ Cf., tra l'altro, Barrios García (2007: 331 e passim).
  7. ^ Sul significato del nome dei mesi medievali awzimet yezwaren e awzimet yeggweran, nonché sul loro possibile rapporto coi mesi tuareg di ǎwžém yǎzzarǎn e ǎwžém as-eššin (Ahaggar ǎwhim wa yezzǎren e ǎwhim wa ylkemen), cf. van den Boogert (2002: 144).
  8. ^ Yannayer, le 12 ou le 14 janvier ?, su depechedekabylie.com. URL consultato il 5 marzo 2011.
  9. ^ "L'anno berbero corrisponde pressappoco all'anno russo; esso ha 13 giorni di ritardo sul nostro. Questo ritardo proviene dal fatto seguente: gli indigeni conoscono l'anno bisestile e aggiungono un giorno (...) ma dimenticano [sic] che, per essere esatto, l'ultimo anno del secolo deve essere normale; essi lo considerano bisestile e quindi hanno un giorno di ritardo ogni secolo. Nel 1899 avevano solo 12 giorni di ritardo; a partire dal 1900 ne hanno 13" (Salmon 1904, p. 232). All'epoca in cui furono scritte queste osservazioni l'aumento dello scarto tra i calendari si era appena prodotto. Va poi ricordato che, essendo il 2000 bisestile, lo scarto di 13 giorni si è mantenuto anche nel XXI secolo.
  10. ^ "Gli indigeni conoscono l'anno bisestile e aggiungono un giorno, non alla fine di febbraio ma alla fine di dicembre; lo chiamano al-kabs (il giorno intercalare)" (Salmon 1904, p. 232).
  11. ^ Si veda in particolare Servier (1985, p. 370).
  12. ^ Per questa confutazione delle tesi di Servier, cf. Brugnatelli (2005, p. 317-318).
  13. ^ Servier (1985, p. v e passim).
  14. ^ È in particolare Bouterfa (2002, p. 13 e passim) a sottolineare il legame del primo mese dell'anno (connesso col solstizio d'inverno), la divinità Giano (in latino: Ianus) e il nome latino della "porta", ianua.
  15. ^ Cf, Dallet (1982: 38, s.v. tabburt): "tabburt useggwas/tibbura useggwas, l'inizio dell'anno agricolo, il momento delle prime arature".
  16. ^ amwal è la forma registrata nel Gebel Nefusa (Giado); aməwan è il termine corrispondente in tuareg. Cf. V. Brugnatelli, "Notes d'onomastique jerbienne et mozabite", in K. Naït-Zerrad, R. Voßen, D. Ibriszimow (éd.), Nouvelles études berbères. Le verbe et autres articles. Actes du "2. Bayreuth-Frankfurter Kolloquium zur Berberologie 2002", Köln, R. Köppe Verlag, 2004, pp. 29-39, in partic. p. 33.
  17. ^ Su ciò si veda tra l'altro il capitolo "Llyali et Ssmaym" di Genevois (1975, p. 21-22).
  18. ^ Sulla durata di questo periodo si veda, tra gli altri, Salmon (1904, p. 233), Joly (1905, p. 303), il capitolo "Llyali et Ssmaym" di Genevois (1975, p. 21-22).
  19. ^ Così riferisce, per la Cabilia, Servier (1985, p. 376).
  20. ^ Servier 1985: 373-374; Henri Genevois 1975, Le rituel agraire: 10-12
  21. ^ L'etimologia, proposta per bu-ini dell'Aurès da Masqueray (1886: 164), è stata accolta ed estesa anche ad altri termini consimili legati alle festività di inizio dell'anno da diversi autori, tra cui Doutté (1909: 550), Laoust (1920: 195), Delheure (1988: 156). Drouin (2000: 115) definisce queste ricerche etimologiche "poco convincenti".
  22. ^ Infatti, come ricorda Genevois (1975: 11), "il calendario agricolo (antico calendario giuliano) ha dunque attualmente sul calendario gregoriano un ritardo di 13 giorni".
  23. ^ "A Orano le feste di Ennayer vengono fatte l'11 e il 12 di gennaio del calendario gregoriano, vale a dire due giorni prima del calendario agricolo comune..." Mohamed Benhadji Serradj, Fêtes d'Ennâyer aux Beni Snûs (folklore tlemcénien), in I.B.L.A., vol. 1950, pp. 247-258.
  24. ^ Anche a Ouargla vi è la credenza dell'arrivo di "spiritelli" detti imbarken nel periodo ventoso che dà inizio alla primavera (Delheure 1988, p. 355 e 126).
  25. ^ Genevois 1975 Le calendrier agraire et sa composition, p. 21.
  26. ^ Sermones 293/B, 5: ""Contra reliquias veteris superstitionis hac die persistentes"- Beati ergo Ioannis dominici praecursoris, hominis magni, natalem diem festis coetibus celebrantes, orationum eius auxilia postulemus. (...) Sed si volumus invenire eius gratiam, non faciamus iniuriam natali eius. Cessent reliquiae sacrilegiorum, cessent studia atque loca vanitatum; non fiant illa quae fieri solent, non quidem iam in daemonum honorem, sed adhuc tamen secundum daemonum morem. Hesterno die post vesperam putentibus flammis civitas tota flagrabat; universum aerem fumus obduxerat. Si parum attenditis religionem, saltem iniuriam cogitate communem. " ("Contro il sopravvivere di usanze superstiziose" Dunque, celebrando con adunanze festive il giorno della nascita del beato Giovanni, precursore del Signore, dell'uomo grande, imploriamo l'intercessione delle sue preghiere. (...) Ma, se vogliamo ottenere la sua grazia, evitiamo di profanare la sua nascita. Si faccia finita con quel che sopravvive di sacrilego, abbiano termine le passioni e i sollazzi delle vanità; è vero che quelle cose che abitualmente si fanno non avvengono più in onore dei demoni, tuttavia però ancora secondo il costume dei demoni. Ieri, dopo l'ora del vespro, l'intera città ardeva di fuochi maleodoranti; il fumo aveva oscurato tutta l'atmosfera. Se vi sta un po' a cuore la religione, consideratelo per lo meno una vergogna per tutti").
  27. ^ Su tutti questi riti e credenze relative a awussu, v. in particolare Paradisi 1964 e Serra 1990.
  28. ^ Laoust 1920, p. 308; Hanoteau & Letourneux 1893, t. I p. 480 (rist 2003: 383).
  29. ^ Servier 1985 p. 128; Hanoteau & Letourneux 1893, t. I p. 480 (rist 2003: 383).
  30. ^ Tra i tanti, si può ricordare in particolare Doutté (1909: 528), che in proposito scrive: "era d'altra parte naturale per delle popolazioni che si islamizzavano attribuire all'inizio dell'anno islamico lunare cerimonie celebrate da tempi immemorabili al principio dell'anno solare."
  31. ^ Drouin 2000: 123.
  32. ^ * Charles de Foucauld, Dictionnaire touareg-français. Dialecte de l'Ahaggar, III vol., Parigi 1952, voce AWETAY, pp. 1538–1545 (rist. 2005 - ISBN 2-7475-8173-X).
  33. ^ Si veda la traduzione francese in Revue Africaine 106 [1962] p. 125 e 143).
  34. ^ Sulla figura di Ammar Neggadi e sull'attribuzione a lui di questa innovazione, si veda Noureddine Khelassi, "Ettes dhi lahna aya chawi. Figure mythique de l'amazighité dans les Aurès, Amar Neggadi retrouve les ancêtres", La Tribune 27-12-1980 Archiviato il 4 novembre 2012 in Internet Archive., p. 14, dove si ricorda che il primo calendario berbero con la nuova datazione è stato stampato da Tediut n'Aghrif Amazigh nel 1980/2930.
  35. ^ "Nel 1968 l'"Académie Berbère", con sede a Parigi, decise di diffondere un calendario berbero con l'anno approssimativo di ascesa al trono di Shoshenk come punto di partenza (950 a.C.). Ed è così che sul frontespizio del mensile Le Monde Amazigh pubblicato a Rabat troviamo entrambe le date del calendario gregoriano e di quello berbero (ma non di quello islamico!)" Bruce Maddy-Weitzman The Berber Identity Movement and the Challenge to North African States, Austin, University of Texas Press, 2011, p. 15. ISBN 978-0-292-72587-4
  36. ^ La letteratura sui processi di creazione e ricreazione di tradizioni è molto estesa. Un testo classico e ricco di esempi è: Eric J. Hobsbawm, Terence O. Ranger, The invention of tradition, Cambridge, University Press, 1992. ISBN 0521437733
  37. ^ Si pensi al fatto che in Algeria, su spinta dell'opinione pubblica, un decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2017 ha sancito come giorno festivo il 12 gennaio, capodanno berbero (benché tale data, molto diffusa all'interno delle associazioni culturali algerine, non coincida con quella tradizionale che è il 14 gennaio).(FR) Hasna Yacoub, Les surprises du président [Le sorprese del presidente], in L’Expression, Algeri, 28 dicembre 2017. URL consultato il 4 gennaio 2022 (archiviato dall'url originale l'8 novembre 2018).
    «Le chef de l'Etat a tenu, cette année, à présenter ses voeux de bonne année au peuple algérien en annonçant sa décision de consacrer Yennayer journée chômée et payée dès le 12 janvier prochain.»
  38. ^ Si veda Achab (1996: 270).
  39. ^ Le calendrier berbère entre emprunts et originalité [collegamento interrotto], su kabyle.com. URL consultato il 5 marzo 2011.ORIGINE du calendrier berbère Le calendrier agraire ou julien, qui nous intéresse ici, tire son origine, ou plutôt l'origine des dénominations de ses mois, du calendrier romain établi en 45 avant J-C sous le règne de l'empereur Jules César dont il porte le nom. - L'articolo accredita come fonte del calendario berbero quello giuliano
  40. ^ Secondo Achab (1996: 270) questa proposta di neologismo sarebbe stata presentata nel primo numero della rivista culturale marocchina Tifawt, curato da Hsin Hda (aprile-maggio 1994).
  41. ^ Si veda Seïdh Chalah, "Asezmez (Calendrium)", rivista Tira n° 02, Yennayer 2000/2950, p. 4, che attribuisce questa serie (con inversione di arim e aram, resi con lunedì e martedì) all'Agraw n Imazighen, cioè all'"Académie Berbère". Secondo questo autore, questa serie sarebbe stata all'epoca la più diffusa in Algeria, mentre quella con i nomi formati a partire dai numerali, sarebbe stata più diffusa in Marocco.
  42. ^ Su ciò, cf. in particolare Achab (1995: 270), che rileva come anche questo procedimento sia stato proposto nel primo numero della rivista Tifawt (aprile-maggio 1994), ad opera di Hsin Hda.
  43. ^ Così appare di solito l'ordine dei giorni nei calendari che ne fanno uso. Inoltre, sembra di scorgere, nei giorni sem ("venerdì" e sed "sabato") un'abbreviazione dei numerali berberi semmus "5" e sedis "6", il che presuppone appunto un inizio del computo dal lunedì. Circostanza già osservata da S. Chalah, art. cit..
  44. ^ Un esempio di questa confusione tra gli stessi fautori di questi neologismi: in Oulhaj (2000, p. 151), i giorni della settimana vengono presentati nell'ordine "europeo": aynas, il "giorno uno" viene fatto corrispondere al lunedì e asamas ("giorno sette") alla domenica. Ma in una frase del testo (p. 113) troviamo "Teddu s timzgida as n asedyas! 'Il faut aller à la mosquée le vendredi!'", con asedyas ("giorno sei") corrispondente a venerdì (come nell'ordine "arabo"), e non al sabato come nello specchietto di p. 151. La numerazione a partire dal lunedì sembra l'originale, secondo Achab (1995: 270); un esempio di uso a partire dalla domenica (dalla rivista marocchina Tifinagh del 1995) è visibile nell'immagine che qui presenta vari calendari berberi ("Tre calendari berberi").
  45. ^ Ad esempio, un calendario creato da un'associazione libica prevede, a partire dal sabato, i seguenti giorni: asnit, tedjet, tast, tcert, tegzit, asmis, elgemet, in cui solo elgemt "venerdì" (antico prestito dall'arabo) è un nome "tradizionale".
  46. ^ Un'analisi del fenomeno, della sua storia e delle implicazioni politiche e identitarie in: Mohand-Akli Haddadou, "Ethnonymie, onomastique et réappropriation identitaire. Le cas du berbère", in: Foued Laroussi (a cura di), Plurilinguisme et identités au Maghreb, [Mont-Saint-Aignan], Publications de l'Université de Rouen, 1997, p. 61-66. ISBN 2877752283
  47. ^ "In momenti di conflitti linguistici e di attrito culturale, i nomi si prestano a generare risposte (…) emozionali, e la loro forza simbolica non andrebbe mai sottovalutata": Yasir Suleiman, Arabic, Self and Identity: A Study in Conflict and Displacement, Oxford, University Press, 2011, p. 226-7. ISBN 9780199747016

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia specifica[modifica | modifica wikitesto]

  • voce "Calendrier", Encyclopédie Berbère, fasc. 11 (1992), Aix-en-Provence, Edisud, ISBN 2-85744-201-7, p. 1713-1719 (testo online)
  • "Il calendario degli uomini liberi", Africa (ed. Epicentro, Ferrara), anno V, n° 16 (gennaio/febbraio 2000), pp. 30–33 [in inserto: un calendario berbero per il 2000]
  • Ramdane Achab, La néologie lexicale berbère: 1945-1995, Paris-Louvain, Peeters, 1996 - ISBN 9068318101
  • José Barrios García, "Tara: A Study on the Canarian Astronomical Pictures. Part I. Towards an interpretation of the Gáldar Painted Cave", in: F. Stanescu (ed.) Proceedings of the III SEAC Conference, Sibiu (Romania), 1-3 September 1995, Sibiu, Lucian Blaga University from Sibiu, 1999, 15 pp. - ISBN 973-651-033-6
  • José Barrios García, "Tara: A Study on the Canarian Astronomical Pictures. Part II. The acano chessbord", in: C. Jaschek & F. Atrio Barandelas (eds.). Proceedings of the IV SEAC Meeting "Astronomy and Culture" (salamanca, 2-6 Sep. 1996, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1997, pp. 47–54 - ISBN 84-605-6954-3
  • José Barrios García, "Investigaciones sobre matemáticas y astronomía guanche. Parte III. El calendario", in: Francisco Morales Padrón (Coordinador), XVI Coloquio de historia canarioamericana (2004), Las Palmas de Gran Canaria, Cabildo de Gran Canaria - Casa de Colón, 2006 ISBN 848103407X, pp. 329–344.
  • Nico van den Boogert, "The Names of the Months in Medieval Berber", in: K. Naït-Zerrad Archiviato il 19 ottobre 2007 in Internet Archive. (a cura di), Articles de linguistique berbère. Mémorial Vycichl, Parigi 2002, pp. 137–152 - ISBN 2747527069
  • Saïd Bouterfa, Yannayer - Taburt u swgas, ou le symbole de Janus, Alger, El-Musk, 2002 - ISBN 9961-928-04-0
  • Gioia Chiauzzi, Cicli calendariali nel Magreb, in 2 voll., Napoli (Istituto Universitario Orientale) 1988.
  • Jeannine Drouin, "Calendriers berbères", in: S. Chaker & A. Zaborski (eds.), Études berbères et chamito-sémitiques. Mélanges offerts à K.-G. Prasse, Paris-Louvain, Peeters, 2000, ISBN 90-429-0826-2, pp. 113–128.
  • Henri Genevois, Le calendrier agraire et sa composition, "Le Fichier Périodique" n° 125, 1975
  • Henri Genevois, Le rituel agraire, "Le Fichier Périodique" 127, 1975, pp. 1–48
  • Mohand Akli Haddadou, Almanach berbère - assegwes Imazighen, Algeri (Editions INAS) 2002 - ISBN 9961-762-05-3
  • H. R. Idris, "Fêtes chrétiennes célébrées en Ifrîqiya à l'époque ziride", in Revue Africaine 98 (1954), pp. 261–276
  • A. Joly, "Un calendrier agricole marocain", Archives marocaines 3.2 (1905), p. 301-319.
  • Emile Laoust, Mots et choses berbères, Parigi 1920
  • Umberto Paradisi, "I tre giorni di Awussu a Zuara (Tripolitania)", AION n.s. 14 (1964), pp. 415–9
  • Luigi Serra, articolo "Awussu" in 'Encyclopédie Berbère, fasc. 8 (1990), pp. 1198-1200 (testo online)
  • Jean Servier, Les portes de l'Année. Rites et symboles. L'Algérie dans la tradition méditerranéenne, Paris, R. Laffont, 1962 (riedizione: Monaco, Le Rocher, 1985 -ISBN 2-268-00369-8)

Altri testi citati[modifica | modifica wikitesto]

  • Vermondo Brugnatelli, "Enseigner tamazight en tamazight. Notes de métalinguistique berbère" in : Marielle Rispail (sous la direction de), Langues maternelles : contacts, variations et enseignement. Le cas de la langue amazighe, [atti del colloquio internazionale su "L'enseignement des langues maternelles", Tizi-Ouzou 24-26 maggio 2003] Paris, L'Harmattan, 2005 (ISBN 2-7475-8414-3), p. 311-320.
  • Jean-Marie Dallet, Dictionnaire kabyle-français. Parler des At Mangellat, Algérie, Paris, SELAF, 1982.
  • Jean Delheure, Vivre et mourir à Ouargla - Tameddurt t-tmettant Wargren, Paris, SELAF, 1988 ISBN 2-85297-196-8.
  • Edmond Doutté, Magie et religion dans l'Afrique du Nord, Alger, Jourdan, 1909.
  • A. Hanoteau, A. Letourneux, La Kabylie et les coutumes kabyles, Paris: Challamel, 1893 (3 vols.); rist. Bouchene 2003, ISBN 2-912946-43-3
  • Émile Masqueray, Formation des cités chez les populations sédentaires de l'Algérie (Kabyles du Djurdjura, Chaouïa de l'Aourâs, Beni Mezâb), Paris, Leroux, 1886.
  • Lahcen Oulhaj, Grammaire du tamazight: eléments pour une standardisation, Rabat, Centre Tarik ibn Zyad pour les études et la recherche, 2000.
  • G. Salmon, "Une tribu marocaine: Les Fahçya", Archives marocaines 1.2 (1904), p. 149-261.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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