Assedio di Sarajevo

Assedio di Sarajevo
parte della guerra in Bosnia ed Erzegovina
Sarajevo nel maggio del '96 dopo l'assedio
Data5 aprile 1992[1] - 29 febbraio 1996[2]
LuogoSarajevo, Bosnia ed Erzegovina
CausaDichiarazione di indipendenza della Bosnia ed Erzegovina
EsitoAssedio sospeso per l'Accordo di Dayton
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
70.000 uomini[3]13.000 uomini[4]
12 000+ morti, 50 000+ feriti
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L'assedio di Sarajevo, avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, è stato il più lungo assedio nella storia bellica della fine del XX secolo, protrattosi dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996.

Vide scontrarsi le forze del governo bosniaco, che aveva dichiarato l'indipendenza dalla Jugoslavia, contro l'Armata Popolare Jugoslava (JNA) e le forze serbo-bosniache (VRS), che miravano a distruggere il neo-indipendente stato della Bosnia ed Erzegovina e a creare la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.

Si stima che durante l'assedio le vittime siano state più di 12 000, i feriti oltre 50 000, l'85% dei quali tra i civili. A causa dell'elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334 664 unità, il 64% della popolazione pre-bellica.[5]

La guerra in Bosnia[modifica | modifica wikitesto]

A partire dalla sua creazione, avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, il governo della Jugoslavia mantenne uno stretto controllo sugli spiriti nazionalisti dei popoli jugoslavi, che avrebbero potuto portare a disordini e al collasso della nazione. Con la morte del leader jugoslavo Tito, nel 1980, questa politica di contenimento subì un crollo. La prima vittima della guerra è motivo di contenziosi tra serbi e bosniaci. I primi sostengono che la prima morte sia stata quella di un serbo, Nikola Gardović,[6] padre di uno sposo durante una processione nuziale nel primo giorno del referendum, il 1º marzo 1992. I bosniaci sostengono invece che questa era una delle morti progettate politicamente nel primo quarto dell'anno, e considerano come prime vittime (sia della guerra in Bosnia che dell'assedio di Sarajevo) Suada Dilberović e Olga Sučić,[7] uccisi dai soldati serbi il 5 aprile nel corso di una manifestazione contro la guerra.

In quello stesso 5 aprile, i paramilitari serbi attaccarono l'Accademia di Polizia di Sarajevo, posizione di comando strategica a Vraca, nella parte alta della città.

L'assedio[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Massacro di Markale e Viale dei cecchini.

Nei mesi che precedettero la guerra, le forze della JNA iniziarono a schierarsi sulle colline che circondano la città: tutta l'artiglieria e gli altri equipaggiamenti essenziali per la prosecuzione dell'assedio furono accumulati proprio in questo periodo. Nell'aprile 1992 il governo bosniaco chiese formalmente al governo della Jugoslavia di ritirare questo contingente, ma Milošević acconsentì solamente a ritirare i soldati che non erano di nazionalità bosniaca (in numero insignificante). Queste forze serbo-bosniache dell'esercito furono trasferite al VRS, che aveva dichiarato l'indipendenza dalla Bosnia pochi giorni dopo che la Bosnia stessa si era separata dalla Jugoslavia.

Soldato norvegese dell'ONU all'aeroporto di Sarajevo

Il 2 maggio 1992 Sarajevo fu completamente isolata dalle forze serbo-bosniache. Le principali strade che conducevano in città furono bloccate, così come anche i rifornimenti di viveri e medicine. I servizi come l'acqua, l'elettricità e il riscaldamento furono tagliati. Solo poche organizzazioni umanitarie, come La Benevolencija, riuscirono a organizzare qualche servizio per fornire generi di prima necessità ai cittadini assediati. Sebbene inferiori di numero ai difensori bosniaci nella città, i soldati serbi intorno a Sarajevo erano meglio armati. Dopo il fallimento dei tentativi iniziali di assaltare la città con le colonne corazzate della JNA, le forze di assedio cannoneggiarono Sarajevo da almeno duecento bunker situati nelle montagne.

Nella seconda metà del 1992 e nella prima metà del 1993 l'assedio raggiunse il suo apice per la violenza dei combattimenti. Furono commesse gravi atrocità, con i bombardamenti di artiglieria che continuavano a colpire i difensori. Gran parte delle principali posizioni militari e le riserve di armi all'interno della città erano sotto il controllo dei serbi, che impedivano i rifornimenti ai difensori. I serbi erano ovunque in città e il grido Pazite, Snajper! ("attenzione, cecchino!") divenne molto comune"[8]. Alcuni quartieri della città, come Novo Sarajevo, furono conquistati dagli attaccanti. Per aiutare la popolazione assediata, l'aeroporto di Sarajevo fu aperto agli aerei delle Nazioni Unite alla fine del giugno 1992. La sopravvivenza della città da allora dipese in larga parte proprio dai rifornimenti ONU.

Alcuni contrabbandieri bosniaci che si erano uniti all'esercito all'inizio della guerra portarono illegalmente le armi in città attraverso le linee serbe, e i raid sulle posizioni serbe all'interno della città li aiutarono nei loro intenti. Il Tunnel di Sarajevo, principale via per aggirare l'embargo internazionale di armi e per rifornire di munizioni i combattenti, venne completato a metà del 1993, e permise anche alla popolazione di scappare: per questo si disse che il tunnel aveva salvato Sarajevo. Tuttavia, nell'aprile 1995 vi erano solo 20 pezzi di artiglieria e cinque carri armati in difesa della città. La forza dei Primo Corpo stava nei considerevoli rifornimenti di granate, missili antiaereo e missili anticarro, che non potevano però essere utilizzate nelle azioni offensive necessarie.[9][non chiaro]

Il musicista Vedran Smailović suona nella Biblioteca Nazionale parzialmente distrutta a Sarajevo nel 1992.

I rapporti indicano una media di circa 329 esplosioni al giorno durante il corso dell'assedio, con un massimo di 3.777 bombe sganciate il 22 luglio 1993. Gli incendi causati dai proiettili danneggiarono seriamente le strutture della città, inclusi gli edifici civili (comprese le strutture sanitarie, di comunicazione e ONU) e culturali. Dal settembre 1993, i rapporti sottolineano il fatto che tutti gli edifici di Sarajevo erano stati danneggiati, e 35.000 completamente distrutti. Tra i danneggiamenti più rilevanti ci furono quelli della Presidenza della Bosnia Erzegovina e della Biblioteca Nazionale, che bruciò completamente insieme a migliaia di testi non più recuperabili.

Funerale di un civile ucciso a Sarajevo

I bombardamenti della città contribuirono significativamente all'aumento del numero delle vittime. Le uccisioni di massa dovute all'esplosione di ordigni fecero molto scalpore in Occidente. Il 1º giugno 1993 15 persone rimasero uccise e 80 ferite durante una partita di calcio. Il 12 giugno dello stesso anno 12 persone furono uccise mentre facevano la fila per l'acqua. La più grande di queste stragi fu un attacco al mercato della città - passato alla storia come il massacro di Markale - avvenuto il 5 febbraio 1994, in cui morirono 68 civili e 200 furono feriti. In risposta al massacro di Markale, l'ONU impose un ultimatum per le forze serbe affinché ritirassero le armi pesanti oltre un certo punto in un certo periodo di tempo, pena l'inizio di attacchi aerei. Quando si avvicinava la scadenza, le forze serbe accondiscesero. Il bombardamento della città calò d'intensità lasciando intravedere la fine dell'assedio.

La marcia per la pace dei pacifisti italiani[modifica | modifica wikitesto]

Durante i quattro anni di durata, l'assedio fu interrotto solamente per una giornata, tra l'11 e il 12 dicembre 1992, da un gruppo di 500 pacifisti, partiti dall'Italia insieme a don Tonino Bello, e coordinati dall'associazione padovana Beati costruttori di pace. Un secondo tentativo di rompere l'assedio, nell'agosto del 1993, da parte degli stessi organizzatori non ebbe successo, mentre nel corso di una analoga manifestazione svoltasi il 3 ottobre 1993, mentre cercava di deporre un fiore sul ponte Vrbanja sul luogo dove l'anno prima erano state uccise Olga e Suada, morì centrato da un cecchino il religioso e pacifista italiano Moreno Locatelli.

L'intervento della NATO e della Croazia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1995, dopo un altro attacco al mercato di Markale nel quale persero la vita 37 persone e 90 ne restarono ferite, le forze internazionali iniziarono a criticare fermamente gli assedianti. Quando i serbi effettuarono un raid contro un sito di raccolta delle armi dell'ONU, i jet della NATO attaccarono depositi di munizioni dei serbi e altri obiettivi militari strategici, era l'inizio dell'Operazione Deliberate Force. Gli scontri sul campo aumentarono di intensità, con l'intervento di forze armate bosniache e croate. Dopodiché i combattimenti diminuirono e i serbi persero via via sempre più terreno nell'area di Sarajevo. Il riscaldamento, l'elettricità e l'acqua poterono tornare in città.

Fu raggiunto l'accordo del "cessate il fuoco" nell'ottobre 1995, e l'Accordo di Dayton fu siglato sempre nello stesso anno per ristabilire la pace. Seguì un periodo di stabilizzazione e di ritorno alla normalità, con il governo bosniaco che non dichiarò la fine dell'assedio di Sarajevo fino al 29 febbraio 1996.

I crimini di guerra[modifica | modifica wikitesto]

Condomini bruciati nel centro di un quartiere serbo di Sarajevo

Le forze serbe condussero una campagna di pulizia etnica nelle parti della città da loro occupate durante l'assedio. Furono anche obiettivo di violenze i non-nazionalisti serbi. Ne Il Ponte Tradito: Religione e Genocidio in Bosnia, Michael A. Sells scrisse:

«I serbi che rifiutarono di partecipare alle persecuzioni dei musulmani furono uccisi. In un esercito serbo che occupava l'area di Sarajevo, i militanti serbi uccisero un ufficiale serbo che era contrario alle atrocità contro i civili; lasciarono il suo corpo sulla strada per più di una settimana, per mostrare ciò di cui erano capaci. Durante una delle "selezioni" condotte dai militanti serbi a Sarajevo, un vecchio serbo di nome Ljubo si rifiutò di lasciarsi separare dai suoi amici e vicini musulmani; fu picchiato fino alla morte sul posto.»

Durante la guerra, le forze serbe violentarono sistematicamente donne bosniache musulmane dopo averle separate dagli uomini. Nel 2001 il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) condannò Dragoljub Kunarac, Radomir Kovac e Zoran Vukovic per il reato di stupro.

Le conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Sarajevo rimase pesantemente danneggiata durante i quattro anni di assedio. La collezione di manoscritti dell'Istituto Orientale della città, una delle più ricche collezioni di manoscritti orientali al mondo, fu deliberatamente distrutta da nazionalisti serbi. L'assedio di Sarajevo fu il peggiore e il più catastrofico periodo della storia della città a partire dalla prima guerra mondiale. Prima dell'assedio, la città si trovava in un periodo di grande crescita e sviluppo ed aveva ospitato anche le Olimpiadi Invernali del 1984.

La città era stata un modello di integrazione multietnica, ma l'assedio spinse le popolazioni a drammatiche divisioni. A parte le migliaia di rifugiati che lasciarono la città, un grandissimo numero di serbi abitanti a Sarajevo partirono per la Republika Srpska. La percentuale di serbi a Sarajevo, da più del 30% nel 1991 diminuì a circa il 10% nel 2002. Le regioni di Novo Sarajevo, che sono oggi parte della Republika Srpska, hanno formato Sarajevo Est, dove attualmente vive gran parte della popolazione serba d'anteguerra. Alcuni serbi che rimasero a Sarajevo furono trattati rudemente dai rifugiati che fecero ritorno alle loro case.

Dopo gli anni novanta, caratterizzati dalla negazione del ruolo serbo nelle guerre jugoslave, dal 2000 si è cominciato a coinvolgere bosniaci e croati nelle atrocità commesse, come quella di Srebrenica. Per quanto riguarda Sarajevo, viene contestato il fatto che dal 1992 al 1995 150 000 serbi subirono operazioni di pulizia etnica, e diverse migliaia furono uccisi. Questi fatti furono trasmessi dai media all'inizio del 2005 quando il Primo Ministro della Repubblica Serba, Pero Bukejlović, sostenne che durante l'assedio di Sarajevo fu commesso un genocidio contro i serbi, che superò di gran lunga le dimensioni del massacro di Srebrenica.

Nel 2004, gran parte dei danni agli edifici erano stati riparati; i progetti per nuove costruzioni hanno fatto diventare Sarajevo la città con il maggiore tasso di espansione dell'ex Jugoslavia. La popolazione dell'area metropolitana della città nel 2002 era di circa 401 000 unità, 20 000 persone in meno del 1991. Il Presidente del Consiglio dei Cittadini Serbi, Mirko Pejanović (membro in periodo di guerra della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina e Decano della Facoltà di Scienze Politiche all'Università di Sarajevo per il periodo 2007-2011), affermò:

«Nessuno, neanche Bukejlović, può mutare o coprire la verità per scopi politici. A Sarajevo, durante l'assedio di quattro anni condotto dalle forze militari di Karadžić e dalla SDS, ci furono morti di tutte le etnie. Tutti i popoli soffrivano e morivano di fame, freddo, venivano uccisi da bombe... tra i 12 000 morti, almeno un quarto era membro della nazione serba o aveva parenti serbi. Pertanto, non possiamo parlare di sterminio o genocidio di serbi, ma di una responsabilità delle forze militari per lo sterminio indiscriminato di Sarajevo e dei suoi abitanti, anche di etnia serba.»

Commemorazioni[modifica | modifica wikitesto]

In occasione del 20º anniversario dell’assedio di Sarajevo, il 6 aprile del 2012, migliaia di persone si sono ritrovate nella principale via della città, Viale Maresciallo Tito, per assistere a un concerto commemorativo delle vittime della strage. Sulla strada furono posizionate 11.541 sedie rosse, tante quante le persone uccise. Alcune di esse erano di piccole dimensioni per ricordare i 1500 bambini deceduti. Inoltre lungo il viale furono dipinte delle linee rosse per simboleggiare il sangue versato durante la guerra.[10][11][12][13]

L'assedio di Sarajevo nella letteratura e nell'arte[modifica | modifica wikitesto]

L'ex sede del giornale di Sarajevo Oslobođenje. Per anni dopo l'assedio rimase come memoriale

Canzoni[modifica | modifica wikitesto]

Videogiochi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il 5 aprile 1992 è stata la data del primo attacco a Sarajevo da parte dei paramilitari serbi e del JNA ed è pertanto considerato l'inizio dell'assedio. Tuttavia, il 1º marzo 1992 iniziarono ad apparire le prime barricate per le strade di Sarajevo.
  2. ^ Il 29 febbraio 1996 è la fine ufficiale dell'assedio, come dichiarato dal Parlamento bosniaco. La guerra finì con la firma dell'Accordo di Dayton il 21 novembre 1995 e con il Protocollo di Parigi il 14 dicembre 1995. La ragione per cui non fu dichiarata subito la fine dell'assedio è che i serbi non avevano attuato l'accordo di Dayton, che richiedeva il loro ritiro dalle aree a nord e ad est di Sarajevo, come anche da altre parti della città. I serbi violarono anche la pace di Dayton sparando razzi su Sarajevo il 9 gennaio 1996, uccidendo una persona e ferendone 19.
  3. ^ Stalemate Like a Victory for Sarajevo - New York Times
  4. ^ Bosnian Army Says Battle for Sarajevo Will Last Months
  5. ^ (EN) La storia di sarajevo Archiviato il 5 febbraio 2010 in Internet Archive.
  6. ^ Civilian Death Toll of Sarajevo "Siege" Grossly Over-Stated
  7. ^ GC25F95 Olga Sucic & Suada Dilberovic Bridge
  8. ^ Vanni La Guardia, Ventinove anni fa iniziava l’assedio di Sarajevo. Il racconto di R. e i suoi ricordi di bambino., su ciranopost.com, 5 aprile 2021.
  9. ^ [1][collegamento interrotto]
  10. ^ 11.541 sedie vuote, in L'Osservatore Romano, 6 aprile 2012 (archiviato dall'url originale l'11 dicembre 2019).
  11. ^ Undicimila sedie vuote per ricordare l'assedio di Sarajevo [collegamento interrotto], in Rai Giornale Radio, 6 aprile 2012.
  12. ^ Undicimila sedie vuote per ricordare [collegamento interrotto], in CORRIERE DEL TICINO, 27 marzo 2012.
  13. ^ A Sarajevo un concerto per undicimila sedie vuote, in Linkiesta, 6 aprile 2012.
  14. ^ The Kubert School
  15. ^ Amazon.com: Fools Rush In: A True Story of War and Redemption (9781932958508): Bill Carter: Books
  16. ^ Remember Sarajevo by Roger Richards - The Digital Journalist
  17. ^ Diario di Zlata, libro di Zlata Filipovic - sconto 25% - 9788817116626
  18. ^ (EN) Sunset Overdrive, This War of Mine, Super Smash Bros. and Civilization, in The New York Times, 26 novembre 2014. URL consultato il 30 novembre 2019.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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